Interviste al Contrario: Maccario Dringeberg. “Il vino è una cosa viva, è un’incognita con molte variabili”12 min read

Per le nostre interviste al contrario oggi incontriamo Giovanna Maccario, produttrice di Rossese di Dolceacqua.

“Buongiorno Giovanna, partiamo subito dalla veste dei vini. Oltre a trovare bottiglie leggere, che è sempre un bel modo per difendere l’ambiente, mi hanno colpito le tue retroetichette. Dovrebbero essere utilizzate da tutti per legge: come ti è venuto in mente di farle?”

“Mi sono venute in mente perché pensavo a qualcosa che fosse intelligente, utile e non ricascasse sempre sulla storia aziendale o sugli abbinamenti. Così ho preso dei punti chiave e ho cercato di sintetizzare. Comunque in quelle del 2020 ci sarà qualcosa in più.”

“Per chi non ha visto bene le tue retro ci hai inserito: altitudine, composizione del terreno, sistema di allevamento, selezione delle uve, metodo di vinificazione, affinamento e temperatura di servizio.”

“In qualcuna ho anche messo degli abbinamenti, il metodo di conservazione e la temperatura di servizio.”

“E’ veramente una retroetichetta che spiega cose basilari serve a molte cose, quindi brava. Ma hai accennato che aggiungerai qualcosa, in particolare?”

“Spiegherò meglio il vigneto, perché ho visto che alla fine i vini sono completamente diversi a seconda delle caratteristiche delle vigne da cui provengono.”

“Sempre sulle bottiglie. I colori delle etichette hanno un significato o sono solo delle varianti cromatiche casuali?”

“Si, hanno dei significati. L’etichetta del Classico era l’etichetta che aveva mio padre prima che vinificassi separatamente i cru e quindi l’ho tenuta. Ma, per esempio, Il Brae che è il più leggero ha un colore azzurro chiaro che ricorda un cielo terso, quello delle Alpi Marittime che sembrano  vicinissime da questa vigna a 500 metri, mentre Il Posaù, da cui si vede il mare, ha i colori della macchia mediterranea.”

“La prima volta che arrivai a Dolceacqua mi domandai dove fossero le vigne, perché le vigne sovrastano il paese ma da lì non si vedono. Ma quanti ettari ci sono di Rossese?”

“Penso che siano circa 80, anche se nei primi del ‘900 erano quasi 3000.”

“Ho capito bene?”

“Purtroppo si. C’è stato anche uno spopolamento della montagna e della collina impressionante. Pensa che in un paese come Triora c’erano seimila famiglie e adesso non si arriva nemmeno a cento persone. Accanto all’abbandono dei paesi dell’entroterra abbiamo assistito alla cementificazione della costa ligure.”

“Domanda cattiva: se l’entroterra si è spopolato,  se da 3000 ettari di Rossese siamo passati a 80, tu cosa ci fai lì, come ti è venuta la voglia e il coraggio di difendere un territorio che tutti abbandonavano?”

“Sono nella fascia di mezzo tra la costa e la montagna, sono nel primo entroterra, da sempre vocato per l’agricoltura, sia che fossero viti o olivi e addirittura si coltivavano fichi e agrumi. Poi negli anni ’50 c’è stato il boom delle rose, coltura intensiva che rendeva tantissimo ma che è una delle più inquinanti in assoluto, perché sia il fiore che le foglie devono essere perfette ma purtroppo sono costantemente attaccate da maree di parassiti, altro che la viticoltura. San Biagio era proprio il paese delle rose ma poi è arrivata la crisi e oggi costa molto meno produrre una rosa in Kenia che a Sanremo”

“Magari compreso anche il trasporto dal Kenia fino a qua.”

“Certamente. Comunque mi sono trovata qua perché mio nonno prima e mio padre poi avevano i vigneti e così alla morte di mio padre nel 1991 ho preso il suo posto.”

“Ma tu cosa hai studiato?”

“Architettura, ma dal punto di vista “scientifico”: mi hanno sempre interessato le tecniche costruttive, come mi è sempre piaciuta la matematica.”

“A proposito di matematica : secondo me fare vino è la cosa meno matematica che possa esistere., nel senso che molti seguono strade diverse per non dire opposte ma ottengono comunque lo stesso buon risultato.”

“Lo sai perché? Perché il vino è una cosa viva: è un’incognita con molte variabili . Almeno io la vedo così, forse perché mi manca la preparazione da enologo.”

“Ma hai un enologo?”

“Ho un enologo che non scende mai in cantina, non assaggia mai i vini.”

“Hai un enologo astemio, sei l’unica in Italia!”

“No, (ride)  è una gran brava persona che segue l’azienda da più di 40 anni. Era amico di mio padre ed è praticamente di famiglia.”

“Quanti ettari aveva tuo padre?”

“Nel 1991 di proprietà erano un ettaro e mezzo. C’era Posaù e altre vigne da cui nasce il Classico. Oggi siamo arrivati a sette ettari ma molti li ho in gestione, avuti d persone anziane che non ce la facevano più a coltivarlo e piuttosto che far morire la vigna me l’hanno data in gestione in cambio di vino o semplicemente per tenerla in vita.”

“Mi hai detto che sei nella prima fascia dell’entroterra: quindi sei ad un tiro di schioppo dal mare e dalla montagna. Tra il mare e la montagna chi aiuta di più o dà maggiori problemi per coltivare la vite?”

“Aiutano tutti e due perché le valli del Rossese sono perpendicolari tra i 2000 metri delle Alpi Marittime e il livello del mare e tutto questo in meno di 30 chilometri in linea d’aria. Nei vigneti più bassi ho un’influenza maggiore del mare, con una temperatura più mite, mentre su altri ha maggior rilevanza la temperatura fresca della montagna. Però, essendo valli perpendicolari ,c’è un “effetto camino” tra mare e montagna. Dalle 10 di mattina in poi sale la brezza del mare ma quando tramonta il sole scende il fresco dalle montagne e c’è questo scambio continuo tra aria mite e aria fresca. Lo si vede chiaramente guardando i campanili dove ci sono i galletti.”

“Cosa c’è sui campanili?”

“Quelle “banderuole” a forma di galletto che girano con il vento: di giorno sono rivolti con la testa verso la montagna e di notte si girano. Questa scambio  è molto importante perché permette di fare pochi trattamenti nelle vigne più vocate. Non per niente dopo l’invaiatura praticamente non ne faccio più.”

“Quindi quanti trattamenti fai mediamente in un’annata?”

“Adesso, a  giugno, siamo al secondo trattamento ma l’annata ha qualche difficoltà più del normale.”

“Quindi diciamo che al massimo ne farai cinque.”

“Nelle vigne più vicine all’azienda magari ne faccio uno in più mentre in quelle più alte, tipo Luvaira  o Brae, dato che ho spesso della rugiada, faccio un trattamento in più di zolfo.”

“Torno un attimo alla retroetichetta. Una delle cose che hai scritto è “forma di allevamento: alberello provenzale”, che differenza c’è con l’alberello a tre branche?”

“I nostri sono più grandi e hanno più branche: ho alberelli anche con 6/7 branche.”

“Hai la Dea Kali dell’alberello.”

“In effetti ho anche piante centenarie molto grandi con molte branche e producono sempre bene, magari chicchi più leggeri ma con molta glicerina che porta ad un vino molto morbido pur con una bella acidità.”

“A proposito di alberello: mediamente una delle tue piante quanta uva produce?”

“Non mi sono messa mai a pesarla ma penso attorno al chilo e mezzo.”

“Premetto che potrebbe essere una domanda stupida ma dato che sei la prima donna che intervisto in questa rubrica te la faccio: secondo c’è un modo maschile e femminile di fare il vino? “

Attimo di silenzio…

“Puoi anche dirmi no, oppure non ci ho mai pensato.”

“In effetti bisogna pensarci un po’. Forse l’unica cosa che ho trovato nei vini fatti da donne è che erano più profumati e eleganti rispetto a vini della stessa tipologia fatti da uomini, però posso essere anche solo mie idee, senza certezze. Magari qualche volta vini fatti da uomini arrivano a delle esagerazioni di struttura che a me non piacciono, però non credo esistano caratteristiche precise e riconoscibili.”

“Il tema principale della nostra chiacchierata potrebbe essere “I tannini del Rossese esistono”.  Molti Rossese  da me degustati in passato erano morbidi e con tannicità leggerissime, mentre nei tuoi vini i tannini ci sono: belli e rotondi ma ci sono.”

“Il più tannico è il Curli che ne ha veramente tanti! Lo sto vinificando dal 2012 e ho sempre trovato un pH molto basso (3.20) che nel Rossese è quasi impossibile e poi dei tannini importanti e un’acidità che è quasi il doppio rispetto agli altri Rossese. Ha anche un colore molto più scuro. Gli altri miei vini sono più morbidi, però i tannini ci sono. Quando vado in vendemmia cerco di avere il maggior equilibrio possibile, tendendo a prediligere l’ acidità.”

“Quando vai in vendemmia, mediamente?”

“Quando sono entrata in azienda, all’inizio degli anni novanta, le vigne per il Classico, le prime che si raccoglievano, le vendemmiavo ai primi di  ottobre, poi sono arrivata nel 2003 a raccogliere  nei primi giorni di settembre e addirittura nel 2017 ho vendemmiato il 25 agosto. Il 2019, l’annata che hai assaggiato, ho iniziato il 5 settembre le vigne del Classico e del Posaù, finendo con le vigne più in alto e nell’entroterra verso il 25 di settembre.”

“Quindi hai un mese di anticipo medio rispetto agli anni novanta.”

“Si, c’è stata solo un’annata in questi anni che ho vendemmiato a ottobre ed è stato nel 2013, che è stata fredda.”

“Le tue vigne hanno grosse diversità pedologiche o hanno più o meno la stessa conformazione?”

“Ci sono diversità tra terreni: Posaù e i vigneti per il Classico hanno un terreno in prevalenza calcareo e a Posaù c’è anche tanta silice perché la roccia brilla e tanto sodio. Sono terreni di origine marina con poco terreno e tantissima roccia.  Luvaira ha una roccia di origine argillosa, sedimentaria, una marna blu molto morbida che trattiene molto l’acqua. Il Curli ha una prevalenza calcarea però lì c’è una forte influenza del clone e del clima, che non è più marino.”

“A parte i due cani che ti aiutano molto, hai qualcuno che ti aiuta?”

Certo, siamo in quattro: c’è mio mari to, un ragazzo che da febbraio non sta facendo altro che sfalciare , perché noi questo lavoro lo facciamo solo a mano, e poi c’è mia cugina che mi da una mano. Sia io che mia cugina, facciamo ogni tipo di lavoro, in vigna e in cantina.”

Sei a conduzione biologica?

“Non sono biologica, faccio la lotta integrata. Per quanto riguarda il biodinamico non credo nell’esoterismo, il biologico è molto interessante e condivido varie cose ma in annate come questa, dove ci sono state molte piogge, ho usato sostanze definite chimiche perché altrimenti non ce la farei. Avendo tutte vigne terrazzate e facendo i trattamenti a mano con una lancia per irrorare non riuscirei  a fare tutti i trattamenti  che potrebbero servire. Però nelle annate buone come la 2019 o la 2017 uso rame e zolfo. Insomma se la stagione me lo permette uso prodotti biologici.”

“Adesso ti do modo di distruggere un concetto che ogni tanto torna a galla: c’è somiglianza tra Rossese e Dolcetto?”

“Sono assolutamente due cose diverse anche se qualcuno , sbagliando, chiama il Rossese il Dolcetto di Dolceacqua. Dolcetto è l’Ormeasco. Il rossese di Dolceacqua è il tibouren francese, vitigno provenzale, che non ha niente a che vedere con il Dolcetto o con l’Ormeasco.”

“Arriviamo ai vini. Ti spiego come li ho “torturati”. Ho aperto le sei bottiglie, non le ho assaggiati subito ma dopo due ore, poi li ho lasciati nel bicchiere fino al giorno dopo e li ho riassaggiati. Come ti ho detto la prima cosa che mi ha colpito è la tannicità importante ma soffusa e vellutata, mentre dal punto di vista aromatico sono rimasto impressionato dall’assoluta differenza aromatica tra l’uno e l’altro vino. Se ti devo dire quelli che mi sono piaciuti di più ne metto due a pari merito, Il Curli  e il Posaù Biamonti . Nel primo  ho sentito una marea di profumi: frutta bianca e rossa in particolare mirtillo e fragola ma anche agrumi e addirittura  chinotto e bergamotto, poi spezie, timo e ho trovato una bocca nervosa, fresca, con una tannicità presente ma controllata, con un tannino ampio che lo rende lunghissimo.”

“Lo sai che quando metto l’uva del Curli nella gramola sembra di lavorare del mirtillo?”

“Urka! Il secondo invece mi sembra un vino fatto espressamente per l’invecchiamento. E’ giovane e pimpante ma è corposo, di  maggiore spalla e con tannini fitti e sapidi. Qui i profumi vanno più su la menta e la terra bagnata, con grandi “innesti” di frutta rossa. Sembra un vino che darà il meglio di sé in futuro.”

“Hai ragione infatti lo chiamo il mio vino difficile anche perché può andare facilmente in riduzione.  Però bisogna aspettarlo.”

“Ma anche gli altri sono buonissimi e visto che la caratteristica dei tuoi vini e del vitigno sono i profumi mi sono divertito ad andarli a cercare come un cane da tartufi: nel Posaù  c’ho sentito soprattutto pepe, e poi grafite…”

“Questi profumi vengono fuori dalla roccia calcarea”

“Nel Luvaira invece ho trovato tantissima liquirizia, fieno tagliato e tanto frutto nero: mi è sembrato il più armonico del gruppo.”

“Forse è perché in lui vanno le uve delle vigne centenarie.”

“Nel Brae ho sentito cose particolari, un po’ cupe come il carbone, terra, poi di vaniglia, frutta rossa e un leggero vegetale.”

“In realtà il vegetale c’è perché è un vigneto a nord e non riesce ad arrivare ad una maturità fenolica equilibrata come gli altri.”

Come lavori in cantina?

“Uso solo acciaio e visto che si vendemmia ormai sempre prima e quindi in quei giorni fa caldo, uso delle fasce da mettere sulle vasche per raffreddare i mosti e non vado mai, durante la fermentazione, sopra ai 27 gradi.

“Hai anche legno per l’affinamento?”

“No, ho solo acciaio e metto in bottiglia i vini abbastanza velocemente, tipo verso il mese di agosto dell’anno successivo. Questo anche perché non credo che faccia bene al vino rimanere in acciaio per tanto tempo.”

“Hai mai pensato a vasche di altri materiali, cemento, anfore…”

“Avevo le vasche di cemento di mio padre e le ho tolte nel 2001/2002.”

“Il Rossese è visto come un vino da bere giovane. I tuoi come si evolvono nel tempo? “

Nelle annate migliori si evolvono sulla spezia e su note floreali al naso e anche Il colore tiene molto bene. In passato, quando c’era mio padre i vini avevano maggior acidità e meno alcol, ma oggi è impossibile farlo: io cerco di vendemmiare sempre con una bella acidità perché sono convinta che vini di 15 gradi, magari opulenti  invecchiano molto male, meglio rimanere sui 13 e con più freschezza.

Posaù

“In chiusura  facciamo il gioco del Conte Ugolino. Sei rinchiusa nella Torre della Muda come il Conte Ugolino e i suoi figli ma puoi uscirne portando però con te solo uno dei tuoi “figli” cioè vini, lasciando gli altri a morire. Quale scegli?”

“Il Posaù!”

“Perché?”

“Perché è il vigneto dove mi sento meglio, è quello che appartiene alla mia famiglia da più tempo. Lì c’è sempre caldo, anche quando vai a potare a dicembre ci vai in maglietta. Da lì vedi il mare e senti comunque la brezza. Inoltre non mi ha mai deluso, né nelle annate fredde né nelle calde.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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