Intervista a Matteo Ascheri: “In Langa perdere le aziende familiari sarebbe una tragedia.” E sul Barolo 2019 e Barbaresco 2020 dice che…12 min read

Abbiamo intervista Matteo Ascheri, Presidente del Consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, langhe, Dogliani dopo quanto ha affermato qualche giorno fa sul futuro della Langa. Ne è venuto fuori un quadro chiaro ma con alcune “criticità sociali”. Inoltre abbiamo parlato di Barolo 2019, di chi sarà il prossimo presidente del consorzio e di molte altre cose.

Winesurf. “Circa una settimana fa ha fatto sensazione una tua dichiarazione, nelle vesti di presidente del Consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, langhe Dogliani, che metteva in guardia da quello che potrei definire un cambiamento economico-sociale a cui la Langa potrebbe o sta andando incontro. Ho detto bene?”

Matteo Ascheri “ Aggiungerei  solo un altro aggettivo, finanziario.”

W. “E questo cambiamento anche finanziario a cosa sarebbe dovuto?”

M.A. “Il motivo scatenante è stata la notizia che Renzo Rosso aveva acquistato Josetta Saffirio. Nulla di personale, io non lo conosco nemmeno, però questa è l’ennesima dimostrazione che la  Langa e la zona del Barolo in modo particolare, è appetita da investitori che nulla hanno a che vedere con il mondo del vino. Questi provengono  soprattutto dal mondo finanziario, come fondi d’investimento, grandi imprenditori che vogliono diversificare etc. Da una parte può essere una buona cosa, ma dall’altro va a scardinare i principi e le caratteristiche della nostra zona, in particolare quelle che sono  le aziende familiari. Una cosa è se una cantina viene comprata da una cantina più grande, un’altra è se la compra uno che viene dal mondo della finanza e non conosce niente di vino.”

W.”Un po’ come una squadra di calcio che viene comprata da un fondo d’investimento.”

M.A. “I fondi d’investimento lo sai come funzionano. Nel mondo ci sono tantissimi poveri e pochissimi ricchi che però hanno un sacco di liquidità da investire. Così creano dei fondi di investimento gestiti da manager, pagati anche con dei “bonus” in base al guadagno, e questi devono cercare come far fruttare i soldi nel medio periodo, parliamo di 3-5 anni. Così hanno scoperto la nostra zona.”

W. “Ma queste aziende vengono comprate perché vanno bene o svendute perché vanno male?”

M.A. “No, le aziende vanno bene. Bisogna stare attenti:  come hanno scoperto i cinesi in Africa esiste un valore patrimoniale legato soprattutto al terreno e questi acquirenti puntano molto sulla sua rivalutazione. Però questo non ha nulla a che vedere con la parte economica: è un investimento patrimoniale di carattere finanziario, che tra l’altro va a stravolgere gli equilibri della zona, perché le nostre aziende, anche se vanno bene, non hanno la forza di comprare ettari di terra a 4 milioni ad ettaro, e questo è un problema.”

W. “Questa domanda mi ha chiesto di fartela un mio amico produttore di vino. Pensi che i vini di territorio, come il Barolo e il Barbaresco possano rimanere tali se passano in mano ad investitori, sia come valore intrinseco legato alle comunità che li esprimono e sia come valore qualitativo assoluto, in quanto in futuro più sensibili alle variazioni dettate dal gusto variabile dei consumatore?”

M.A. “Come sai la qualità è un concetto importante ma non sufficiente la cosa importante è l’unicità, la riconoscibilità e questa è data da pochi fattori: clima suolo, tradizione etc, quello che i francesi chiamano terroir. Noi  siamo fortunati ad avere vitigni che fanno grandi vini qui e non in altre zone, poi lavoriamo su vini da monovitigno e terzo pilastro della nostra qualità e unicità sono le aziende familiari, che danno la caratterizzazione unica e irripetibile dei nostri prodotti. Se togli questo pilastro il resto rischia di omologarsi.”

W. “Alcuni territori del vino di grande successo hanno perso del tutto la propria comunità: all’estero ad esempio Vosne-Romanee  attorniata dai migliori gran cru di Francia è completamente deserta e hanno difficoltà a lavorare i vigneti, non ci sono più giovani…”

M.A. “Il mio è un grido d’allarme, il cercare di mantenere il legame tra il proprietario e chi il vigneto lo coltiva.”

W. “A questo proposito molte aziende, sia in Langa che in altre zone d’Italia, usano  squadre esterne di operai, quasi sempre stranieri e che non risiedono in zona, per lavorare il vigneto. Anche qui  sempre meno langaroli vanno a lavorare le loro vigne.”

M.A. “Noi abbiamo fatto anche un convegno su questo: è un problema legato alla manodopera. Però devi anche capire che nelle aziende familiari c’è stata un’evoluzione:  le nuove generazioni magari una volta lavoravano in vigna, poi hanno fatto la scuola enologica, sono passati in cantina e la vigna non la guardano più. Con la terza evoluzione adesso girano il mondo a vendere il vino, fanno gli export manager.”

W. “Ma così non è che si perde comunque quella realtà sociale di cui si parlava?”

M.A. “Proprio di questo stiamo parlando.”

W. “Però allora cosa si dovrebbe fare, convincere  i giovani a ritornare in vigna?”

M.A. “Bisogna capire come uno si vuole sviluppare: nessuno ha la verità in tasca e questi sono discorsi piuttosto complessi. Io posso dire solo questo: più vigneti pianti, più hai impatto ambientale, più hai problemi con la manodopera e quindi con le cooperative, più hai vino da vendere e più i prezzi rimangono bassi. Questo è un tipo di sviluppo e non dico che sia positivo o negativo. Un altro tipo di sviluppo è se fai una crescita consapevole, dove hai meno vigneti, meno impatto ambientale e inquini di meno, hai una gestione forse un po’ più etica della manodopera, hai meno vino da vendere e lo fai ad un prezzo più elevato.”

W. “A proposito di modelli di sviluppo, il riconoscimento Unesco, visto come un veicolo per portare in Langa e Roero tanti turisti, credi che abbia fatto solo del bene al territorio?”

M.A. “Come sempre quando gli effetti sono grandi bisogna valutare anche le conseguenze. Per me ci sono più effetti positivi che negativi e la pandemia ci ha fatto riscoprire un turismo più italiano. Ma bisogna capire su che fronte uno si vuole sviluppare, sui numeri o sulla qualità dell’offerta. E praticamente lo stesso discorso del vino.”

W. “Nel Barolo gli imbottigliatori occupano circa un 30% del mercato, poi, come è stato detto abbiamo un 20% in mano di aziende  in mano a grossi gruppi. Quindi le piccole aziende sono attorno al 50%…”

M.A. “E’ un discorso diverso: l’imbottigliatore è su un altro livello. Lui acquista vino e lo fa anche dalle aziende agricole, sia che imbottigliano e ne cedano una parte, sia che vendano tutto sfuso.”

W. “Comunque, non ti pare  che adesso, tra imbottigliatori e acquisizioni “finanziarie”  sia un po’ tardi per chiudere la porta della stalla?”

M.A. “Noi non possiamo che lanciare un allarme, non possiamo sostituirci alle aziende, che e hanno i loro problemi, ma andando avanti così arriveremo a quello che dicevo sopra. Poi magari ci saranno lati positivi, come più investimenti, però si perderà quella che è la nostra natura.”

W.“ Fino a 50 anni fa in tanti comuni langaroli di collina non c’era l’acquedotto, da allora ad oggi c’è stato più che una rivoluzione, c’è stato un cambiamento epocale e un arricchimento rapido e generalizzato. Non credi che questo benessere, già da solo, sfaldi il tessuto sociale?”

M.A. “Certo, sono d’accordo. Anche questa sfumatura fa parte del quadro generale. Chi è stato “Colpito da improvviso benessere”, tanto per citare Bartolo Mascarello nonchè un bel film, adesso, come ho detto prima, non lavora più la vigna e sta o in cantina o a vendere il vino. Però se la cantina familiare è il nostro punto di forza cerchiamo di mantenerlo, non possiamo pensare che se arriva un gruppo finanziario che investe in azienda le cose rimangano uguali a prima.”

W. “Adesso parliamo di vino. Annata 2019 di Barolo e 2020 di Barbaresco, voglio 4 aggettivi per ognuna.”

M.A. “La 2019 è stata un’annata classica, poco produttiva, forse l’ultima annata piovosa della Langa con dei vini molto, molto buoni. C’è la classicità del barolo espressa al meglio. 2020 è stata un’annata più calda, quindi vini più rotondi, più pronti, più morbidi.”

W. “Perfetto Adesso, che è stata tutta venduta, dimmi il tuo parere sulla 2018 del Barolo”

M.A. “Non è stata un’annata eccelsa ma una buona annata. Vedi, noi produttori abbiamo tre livelli di giudizio per un’annata: il primo è alla vendemmia e giudichi l’uva, il secondo è a vino appena fatto, verso novembre, il terzo lo dai dopo il periodo di affinamento. Questi sono tre giudizi tecnici e poi ce n’è un quarto, che non ha nulla a che vedere con la parte tecnica ma è quello del consumatore. Il 2018 tutti in zona l’avevano considerata un’annata media, poi invece dal punto di vista commerciale è andato benissimo, è un vino che si beve e si vende molto bene.”

W. “Nell’ultima intervista che ti feci  dicesti che per te nel vino sono importanti  unicità e riconoscibilità, cosa che in qualche modo incarna l’idea di MGA. Ora io ti domando, visti anche i cambi climatici, meglio un vino da vigna unica o un blend che interpreta meglio l’annata? In altre parole, in annate difficili e tutte diverse come le ultime meglio un cru abbastanza buono o un blend di vigneti diversi  buono o buonissimo?”

M.A. “La mia scelta personale è di fare i cru solo nelle grandi annate. I cru sono espressione massima della riconoscibilità, però sono molto più estremi. I blend tra diversi vigneti porta a dei grandi vini, più caratterizzati sul vitigno, mentre i cru sono, appunto, più estremi e servono per evidenziare le differenze. Il barolo fatto da blend è più facile da capire, ma non a tutti piace la stessa cosa.”

W.”Ma si possono fare Barolo da blend di MGA mettendo i nomi sulla bottiglia? Tipo un Cannubi-Bussia-Castellero?”

M.A. “No questo purtroppo non si può fare?”

W. “Ma non potrebbe essere un modo per prendere due piccioni con una fava? Negli anni buoni  fare le MGA separate e in altri meno buoni un blend di alto profilo con le MGA in etichetta?”

M.A. “Puoi farlo e lo chiami Barolo.”

W. “Però non puoi rivendicarlo come MGA.”

M.A. “Si, ma abbiamo un’altra fascia intermedia che è la Menzione Comunale. In questa piramide i livelli sono quelli giusti.”

W. “Parliamo del cosiddetto pericolo Langhe Nebbiolo  alle luce del fatto  che per  tanti giovani,  i consumatori di domani,  l’interesse è verso vini più facili ma di buon livello qualitativo e questo vino, in Langa si chiama proprio Langhe Nebbiolo.”

M.A.”  Il Langhe Nebbiolo ha una caratterizzazione in base a chi lo fa. Se produci Barolo lo fai più leggero, fresco, ma se sei fuori dalla zona del Barolo provi a fare un vino più potente e strutturato, diciamo come un Barolo. E’ una denominazione più flessibile.”

W. “Ma guardando avanti nel tempo, considerando che viene visto come vino  più facile rispetto ad un Barolo, e partendo dal fatto che molti giovani i vini molto importanti non li amano e li considerano anche un po’ superati, non potrebbe accadere che tra qualche anno il Langhe Nebbiolo superi come bottiglie il Barolo e diventi il vino trainante del territorio?”

M.A. “I langhe Nebbiolo stanno crescendo a doppia cifra anno dopo anno, anche perché può esistere  come riclassificazione di vini più importanti. Comunque son d’accordo con te, è un ottimo vino per introdurre il consumatore al nebbiolo.”

W. “A proposito di nebbiolo, sto estremizzando ma  non è che tra poco vi trasferirete tutti in Alto Piemonte vista la situazione climatica?”

M.A. “Il caldo, in questo momento, ha effetti diversi ad altitudini diverse. Questo accade adesso ma nessuno sa cosa accadrà domani .”

W. “Quanto manca alla scadenza del  tuo mandato come presidente?”

M.A. “Un anno circa.”

W. “Ti ricandiderai?”

M.A. “Non posso farlo per regolamento abbiamo il limite di due mandati.”

W. “Ma potresti ripresentarti la volta successiva.”

M.A “Potrei ma non lo farò, bisogna lasciare spazio ad altri.”

“W. “Non hai la palla di vetro per leggere il futuro ma proviamo a giocare. Quale figura vedresti  come prossimo presidente?”

M.A. “(ride) Non ne ho proprio idea.”

W. “Ma non è che voglio un nome.”

M.A. “Per carità! Posso solo dire che, come in politica, sarà espressione del paese.”

W. “Allora visto quello che è accaduto in politica, a questo punto verrà eletta una donna.”

M.A. “Purtroppo ne abbiamo poche e questo è un grosso problema perché sarebbe fantastico.  Sono molto più pragmatiche degli uomini.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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