Il vino in Cile6 min read

Probabilmente l’unica cosa che hanno in comune i vini argentini e quelli cileni, oltre alla bottiglia, è la catena montuosa delle Ande che li sovrasta.

Certo, il versante non è il medesimo; abbondante, esteso e dolcemente digradante verso il sol “dell’avvenir” quello argentino, stretto e conteso tra mare e monti, e intento a catturare gli ultimi bagliori di luce prima del buio, quello cileno.

 

Ma a dispetto della scarsità di terreni coltivabili a vite, vuoi per ragioni geografiche che per regole di governo del territorio, il Cile del vino dimostra di possedere più dinamismo e capacità produttiva del vicino di casa. E, stante i valori forniti da “i numeri del vino”, è quasi impossibile non notare che negli anni dal 2006 al 2012 il Cile ha eguagliato e superato il numero di ettolitri di vino prodotti dall’Argentina, piazzandosi al quarto posto nella classifica mondiale dei maggiori paesi esportatori per quantità.

 

Una vitalità resa ancor più apprezzabile se si pensa che la valuta locale, al contrario di quella argentina, si è parecchio rafforzata, un elemento che di certo non ha facilitato le esportazioni. E in termini di export, a margine va anche annotato che il primo mercato per il Cile è l’Europa, mentre per il vino argentino sono gli USA.

 

In un paese che si allunga per oltre 4.000 km, una distanza quasi ogni oltre immaginazione, nei vini si riflettano stili differenti; nella zona nord vicino a Perù e Bolivia la luce è quasi perpendicolare e le temperature raggiungono livelli elevatissimi, mentre nella area australe sono le precipitazioni a caratterizzare il clima. In una annata considerata media, nella “centrale” Aconcagua possono cadere più o meno 200 mm di pioggia, mentre raggiungono i 1.200 nella meridionale regione di Biobio.

 

Inoltre, per quanto stretto possa essere il Cile, i vigneti posti nelle aree più pianeggianti e occidentali della Valle del Maipo, godono di maggior calore rispetto a quelli localizzati ai piedi delle Ande dove, una volta tramontato il sole, inizia a spirare un vento freddo proveniente dalla cordigliera. Ma non sono solo le Ande ad influenzare il clima, anche l’oceano Pacifico e la fredda corrente di Humboldt che lo attraversa da sud a nord, agisce moderando le temperature più elevate nelle aree più vicine al mare. Come tutto questo si rifletta nei vini posso solo immaginarlo, e scriverlo riportando il frutto (solo il succo però) di una lunga conversazione con l’enologo e vignaiolo Felipe Marin.

 

Allora, avanti come al solito partendo dalle regioni vinicole del Cile che sono state recentemente oggetto di una nuova e articolata zonazione-classificazione. Per comodità segnalo qui (http://www.winesofchile.org/chilean-wine/wine-regions/) agli interessati il link utile per consultare ed eventualmente scaricare il documento completo. 

 

In sintesi, le numerose zone si possono raggruppare in tre grandi aree: le aree costiere, le aree intra-cordigliere (si contano due catene montuose, la cordigliera di costa e la cordigliera delle Ande) e le aree andine. 

Poi ci sono le Regioni e le Denominacion de Origen (tra parentesi) che sono, da Nord a Sud: ATACAMA (Copiapò Valley,Huasco Valley) COQUIMBO (Elqui Valley,Limarì Valley,Choapa Valley) ACONCAGUA (Aconcagua Valley, Casablanca Valley, San Antonio Valley) CENTRAL VALLEY (Maipo Valley, Cachapal Valley,Curicò Valley, Maule Valley) SOUTHERN (Itata Valley,Bio-Bio Valley,Malleco Valley) AUSTRAL (Cautin Valley, Osorno Valley).

 

Si intuisce, dall’articolazione del sistema di denominazioni, la volontà del “legislatore” di dare ordine e metodo, di classificare le zone per isolare e mettere in evidenza quei caratteri specifici che un territorio così vasto e variegato in quanto a climi, microclimi e suoli, potenzialmente è in grado di trasferire nei vini. Dicevo prima che posso solo immaginare come potrebbe essere, alla prova di assaggio, la grande varietà di vini cileni, visto che, nonostante ne abbia sempre approfittato, le occasioni non sono poi state così numerose come avrei voluto. Infatti, oltre alla approfondita degustazione alla Bodega Casa Marin, è solo grazie alla fornitissima Enoteca El Mundo del Vino di Santiago che ho potuto sperimentare una più vasta gamma di vini locali.

 

Effettivamente è una gamma molto ampia con una copiosa serie di etichette alcune riconducibili ad un solo gruppo, come nel caso di Concha Y Toro, il più grosso gruppo vinicolo sud-americano, ma altrettanto numerose sono le bottiglie di piccole aziende artigianali che tuttavia, potendo contare su una collaudata e ben oliata filiera, se la giocano quasi alla pari con i big. E questa multiforme realtà produttiva, fatta di multinazionali e di piccole aziende, di climi e suoli talvolta opposti, si è inevitabilmente (e fortunatamente) tradotta in altrettanta ricchezza e varietà di gusto.

 

Il palmares del vitigno più espressivo lo assegno al Sauvignon Blanc. Nell’area di San Antonio, settore Lo Abarca, una sub regione dell’Aconcagua Valley, il Sauvignon Blanc che si alimenta in un suolo granitico-argilloso, è davvero peculiare. Sarà per via di una maturazione lenta, o per la vicinanza dell’oceano, ma i Sauvignon di San Antonio, che tra l’altro è un’area relativamente recente sono, di fatto, insospettatamente eleganti. Hanno freschezza e mineralità, l’aroma tropicale è spesso presente ma in forma delicata. Le note erbacee non sono acri, piuttosto ricordano il prato appena tagliato. Insomma niente di caricaturale o esagerato, e l’alcol non è mai eccessivo.

 

Migliori etichette assaggiate: il Cipreses Vineyard 2012 di Casa Marin, piccola azienda da poco più di 200 mila bottiglie, e il Matetic EQ 201, più grasso e ampio, realizzato da Matetic, altra aziendina da 400 mila bottiglie.

 

Tra i rossi ho pochi dubbi: il Cabernet Sauvignon Marques de Casa Concha 2010 di Concha Y Toro, colosso da oltre 300 milioni di bottiglie. L’enotecario me lo racconta: è una edizione limitata e le uve vengono dalla pregiata zona di Puente Alto,Valle del Maipo. Lo trovo un vino concentrato e tuttavia nervoso e pieno di slancio, totalmente privo di caratteri erbacei e veramente godibile.

 

Altro grande rosso è il Carmenere Single Vineyard Alto de Piedra di De Martino, azienda di medie dimensioni da un milione e mezzo di bocce. Un vino che sa di pepe e frutti neri, poderosamente tannico e fresco ma che allo stesso tempo si beve d’un fiato. Entrambe bottiglie sui 30/35 dollari.

 

Senza tirare alcuna somma, il vino cileno è una gradevole scoperta, divertente da scoprire, mai noioso o uguale o piatto e le aziende sono ospitali e aperte alle visite. Certo non potete pretendere di andare da Concha Y Toro la vigilia di Natale e per di più senza appuntamento. Nel caso vi trovaste in simili condizioni, e per di più con poco tempo, fate come il sottoscritto: cercate l’enoteca più fornita e….trattate sul prezzo!

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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