Il vino in Argentina ( 2°parte)5 min read

Ordunque veniamo a quello che è il cuore della regione vitivinicola argentina, la cosiddetta Oasi Norte, l’area che include i dintorni di Mendoza e che qui, credo ironicamente, chiamano la Valle del Rio Mendoza.

 

Dico ironicamente perchè l’idea comunemente accettata di valle è quella che descrive un terreno, più o meno vasto, delimitato da alture, più o meno pronunciate. La realtà però è che qui si vede solo una piatta distesa di terra lievemente inclinata verso est e la cordigliera delle Ande sullo sfondo occidentale.

L’Oasi Norte è sommariamente divisa in due parti: l’alta valle del Rio Mendoza, più vicina alla città e alla precordigliera, è quella dove si producono i vini di maggior qualità grazie a escursioni termiche più pronunciate e  dove ci sono i vigneti più antichi e consolidati. L’altra area cosiddetta "bassa valle", che si dispiega verso oriente, è il luogo dove si concentrano le aziende che fanno quantità e dove molti terreni e vigneti sono e sono stati oggetto di una forte speculazione immobiliare.

 

Ma, al di là di questa notazione geografica, la verità è che non ci sono molte differenze tra i vari Malbec prodotti nei distretti che circondano Mendoza, vedi Maipù, Medrano, la Consulta  Perdriel e altre. E quelle poche che potrebbero esserci, a mio avviso rischiano fortemente di essere ulteriormente ridotte da prudenti protocolli di vinificazione e da periodi di invecchiamento che, manco a dirlo, prevedono l’uso massiccio di barriques.

 

Tutt’altra storia invece per quanto riguarda Tupungato e la valle del Uco, la più recente area di espansione viticola situata ad un centinaio di km a sud-sud-ovest di Mendoza. Recente nel senso che, stando a quanto mi dicono, nella valle (si fa per dire) dell’Uco un po’ di vigne esistevano da tempo ma le uve finivano tutte nel grande calderone mendocino. Poi, a inizio anni 90, l’intuizione di Nicolás  Catena e il conseguente massiccio arrivo di capitali. Una Eldorado enoica che ha attratto in pochi anni, oltre al sempiterno Michel Rolland et compagneros, centinaia di milioni di dollari da Europa, Brasile e Stati Uniti, in un’area rurale povera con il risultato di creare disequilibri e scompensi: dal nulla sono spuntate cantine faraoniche, vere e proprie cattedrali (queste sì!) nel deserto. Capitali esclusivamente investiti nelle Bodegas e poco o nulla per migliorare le strade dissestate e per creare quel minimo di strutture ricettive, oggi pressochè inesistenti.

 

 

Ma il miraggio non dura per sempre e, come mi riferiscono alcuni operatori, la stretta sul commercio si fa sentire e molto di quel mercato nordamericano e brasiliano conquistato nell’ultimo ventennio, sta orientandosi verso vini cileni mediamente meno costosi.

 

Dunque storia differente, vini e varietà più articolate e tuttavia permane l’elemento comune e vitale della viticoltura argentina, la gestione dell’acqua e dell’irrigazione. È assolutamente impensabile fare uva senza l’acqua. I terreni sono altamente drenanti, se ne può vedere uno spaccato alto 4 metri presso la Bodega Salentein, sotto uno strato di circa mezzo metro di terreno "fertile" con poca o niente argilla e un po’ di sabbia, si trovano metri di materiale sassoso di vario calibro. 

Di conseguenza è di capitale importanza gestire l’irrigazione del vigneto, cioè avere il controllo della manopola del gas. Questo compito è affidato alla figura del "tomero", colui che stabilisce quando, quanto e come aprire i rubinetti o i canali.  Detto questo e glissando diplomaticamente sul locale abuso del termine "terroir", termino proponendo, tra i vini assaggiati, una piccola selezione di cantine e relativi vini, che varrebbe la pena di provare.

 


MENDOZA E AREE CIRCOSTANTI

 

Luigi Bosca Fam. Arizù.

Con oltre 700 ha, 5 milioni di bottiglie ed oltre un secolo di vita, la bodega Bosca è tra le realtà piú solide e prospere di Lujan de Cuyo e, nonostante sia nella parte "bassa" fa vini ineccepibili. Il vino più interessante tra quelli assaggiati mi è parso il Gala 1 Cosecha 2011. Un assemblaggio basato su 85% Malbec, 10% Petit Verdot ed il saldo di Tannat. Viola scuro, aromi eccessivamente legnosi, con sfondo di tabacco, peperone grigliato e lieve nota affumicata. Potente, lungo e con tannini e alcol ben distribuiti e bilanciato. Particolare interessante della noiosissima(credo di essere oramai alla 20 millesima) visita in cantina con spiegazione dei processi di vinificazione, sono i pannelli in terracotta raffiguranti la Via Crucis,di un bravo artista locale, tal Hugo Leites. Un toccasana per l’occhio, oramai saturo di barriques di ogni genere.

Famiglia Zuccardi.

Quasi 1000 ha distribuiti tra Maipù, Santa Rosa, Altamira, La Consulta e Tunuyàn, e oltre 20 milioni di bottiglie la "piccola" bodega famigliae Zuccardi coltiva, oltre a uva e olivi, la mania della qualità. Niente è men che perfetto: dall’olio di oliva ai distillati e ai vini sui quali spicca per bontà il Q Malbec 2011. Violetta, frutti neri, cocco e vaniglia con un attacco potente, una trama morbida che sfiora il dolce senza esserlo ed un finale generosamente succulento.

 
Achàval-Ferrer.

 L’estensione è microscopica se paragonata alle dimensioni medie delle bodegas mendocine. Solo 19 ettari tra Perdriel, Medrano e La Consulta, più 15 ettari in Tupungato. È assai probabile,stando ai si dice locali, che si debba a questa realtà ,la cui cantina è a ridosso del greto del Rio Mendoza (Finca Bellavista) in posizione spettacolare, la nobilitazione mondiale del Malbec. La serie dei quattro malbec, vinificati per parcella(finca) dimostra che l’esplorazione dei vigneti, al fine di estrarne le sfumature, è impresa possibile. Impressionante il Malbec Finca Mirador, l’unico assaggio da barrique della mia vita che mi abbia veramente colpito. Rosso cupo, intenso, vegetale e floreale, cioccolato bianco, terroso e con nota lattica. Saporito, fresco in bocca, spinge con misura ma deciso ed il finale è quasi piccante. Noticina: grazie a Roberto Cipresso ex socio della bodega ed attuale co-enologo, che ha propiziato questa visita.

 

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Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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