Il Vinitaly un giorno prima3 min read

Non ricordo più da quanti anni vengo al Vinitaly; dapprima come curioso, poi come appassionato  ed infine per lavorarci.

 

Ma oramai ho smesso di contare gli anni, in parte perché così sembra che il tempo non passi e che la magia della prima volta ritornerà. Una pia illusione, naturalmente.

 

Ma  ieri, per la prima volta da quella prima, invece di aiutare ad allestire lo stand del Consorzio Vini di Romagna (come al solito), mi sono fatto un giro di ricognizione. Un “prima della prima” che mi ha svelato una parte di Vinitaly nota sì, ma non per questo meno sorprendente  anche se forse il termine non rende giustizia al kaos ordinato che popola questa specie di back stage provvisorio che assomiglia più a Cinecittà che ad una fiera internazionale.

 

Sempre più gli stand sembrano dover assolvere ad altre funzioni che quella primaria di accogliere ospiti e clienti per far assaggiare  i nuovi vini o per discutere di affari. Si vuole stupire a tutti i costi, come se spostare l’attenzione sulle scenografie servisse a vendere di più e meglio oppure a far conoscere i propri vini e la propria zona.

 

E così in Emilia-Romagna, tolti gli ingombranti salumi e prosciutti della passata edizione, si espongono pezzi di storia motoristica; un ape car, o un motore nudo e crudo, un 36 cilindri di chissà quale mostro di strada.

 

Ma c’è chi, in Piemonte,  sta con i piedi per terra e allestisce lo stand con stivali e scarpe inzaccherate di fango; iconografico tributo al lavoro contadino e alla tradizione.  Eppoi si testano gli altoparlanti per inondare gli stand di musica, si installano friggitrici, affettatrici e si lucida il pentolame per lo show del giorno dopo.

 

Mentre una umanità multietnica ramazza, avvita, taglia, incolla e pulisce senza sosta  viali e i padiglioni in una specie di bolgia dantesca,  cresce nell’osservatore disincantato il dubbio atroce che quest’anno no, non si farà in tempo a sistemare tutto per l’apertura. 

 

Sappiamo già che così non sarà. Lo sa anche la ragazza di colore che si avvicina al nostro stand, già consapevole della risposta negativa, per chiedere se c’è un lavoro per lei; piccola figurina di un album già completato e che ogni anno si ricompone con gli stessi o con nuovi attori poco importa.

 

Quanto sembrano lontane, mentre scrivo questo pezzo dalla sala stampa, le polemiche e le critiche sul Vinitaly,  eppure a me sembra ancor oggi un miracolo poter osservare la folla ordinata che entra, i padiglioni a lucido, hostess tirate a balestra ed  espositori pieni di entusiasmo come se fosse la prima volta.

 

Anche i colleghi in sala stampa sembrano rilassati ed in attesa che il circo riparta, come al solito, per darne conto.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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