Il Vermouth e il suo secret: il lato “strano ma vero” del bere bene3 min read

In un’epoca in cui pubblico e privato si accavallano impunemente e tutto sembra alla portata di tutti, qualcosa si muove ancora tra il fascino delle ricette segrete, i secret bar e il gusto accattivante di atmosfere vintage.  Ce lo racconta Elena Maffioli, autrice del libro ‘Soul Vermouth – Il piacere di scoprirlo in ogni sua forma‘ (Trenta Editore).

“Francamente ero stufa di essere guardata con stupore ogni volta che ordinavo un Vermouth – racconta Elena – così, complice il mio percorso di studi (Elena è Sommelier AIS e ha conseguito il Master in Marketing e Comunicazione del Vino presso l’Alma Wine Academy ndr), ho deciso di scrivere qualcosa che potesse raggiungere un pubblico giovane e far scoprire il piacere di berlo”

Un testo fresco, dinamico che offre una pennellata su un’eccellenza made in Italy in fase di rinascita (il 22 marzo 2017 un decreto del Mipaaf ha riconosciuto l’Indicazione Geografica Vermouth di Torino).

Cosa si scopre quando si degusta Vermouth per la prima volta?

“Che non è il classico Martini come molti credono. Martini è per motivi storici simbolo del Vermouth poichè lo produce dall’inizio del ‘900. Basti pensare che Domenica Bertè scelse come nome d’arte Mia Martini perchè negli anni ’70 pizza, spaghetti e martini erano le 3 parole italiane più conosciute al mondo.”

E cosa ne ha decretato in seguito l’oblio?

“L’avvento delle discoteche, la frequentazione dei bar ‘mordi e fuggi’, la spinta dei consumi verso cocktail american style lo rendono superato. Eppure è la stessa America che ne rilancia le sorti giocando con la miscelazione: Negroni e Manhattan, tanto in voga negli USA, sono a base di Vermouth”.

Vino per almeno il 75% della sua composizione, dolcificato, aromatizzato con un’infusione alcolica a base di erbe (la cui principale è l’assenzio nella variante Pontica e Romana). Proprio le erbe rappresentano l’aspetto originale del ‘vino non vino’…

“Le erbe aromatiche sono la componente segreta del Vermouth: la base è sempre un vino bianco (tranne un’eccezione ma questo ve lo racconteremo la prossima volta ndr), ma quali e in quale quantità non è dato saperlo. Il produttore affida la conoscenza degli ingredienti a più persone: un’erba per persona. Solo lui le conosce tutte e sa la quantità esatta prevista dalla ricetta. Ad esempio Federico Ricatto, storico distillatore del Vermouth Del Professore, spiegandomi i metodi produttivi, mi ha mostrato la sua collezione privata di boccette di essenze e tinture, raccomandandomi con severità di non rivelare a nessuno il loro contenuto”.

Sentendo raccontare questo prodotto da chi se n’è appassionato solletica la voglia di scoprirlo.

Ma ce la farà il Vermouth a riemergere dall”aura di naftalina’ che lo relega all’idea di consumatori ‘maturi’?

“Può riemergere attraverso cocktail, atmosfere vintage e talentuosi professionisti della mixology che possono farlo apprezzare grazie a ricette estrose, ottenendo l’attenzione dei giovani. I barman già ora alternano diversi tipi di Vermouth per calibrare il sapore di un Negroni”.

Un buon cocktail a base di Vermouth dove possiamo berlo?

“A Tokyo al High Five ad esempio (tra i cocktail bar migliori al mondo), dove vi consiglierei un Bamboo cocktail a base di Sherry. Senza prendere l’aereo mi piace molto anche la filosofia del The Spirit di Milano, dove preparano diversi cocktail a base di ‘vino non vino’. Sempre a Milano, da 1930, un secret bar selettivo (entri solo con la parola d’ordine)  è in linea con l’anima di questo prodotto”.

Ed Elena Maffioli cosa predilige bere?

“Un Martini cocktail, un banco di prova per i barman: per trovare l’equilibrio tra Gin e Vermouth è necessario conoscere bene la propria arte”.

Abbiamo inteso che quella del Vermouth è un’anima complessa, ma azzarderesti un abbinamento gastronomico?

“In Soul Vermouth ne ho suggeriti alcuni e anche se il cioccolato rimane la sua ‘morte’, proporrei quello Del Professore con del foie gras, oppure con una tartare di gamberi.  Con dei formaggi piemontesi erborinati è perfetto quello firmato Cocchi, che grazie alla sua dolcezza smorza le note amarotiche del formaggio. Diversi chef cucinano col Vermouth e un tempo era molto impiegato in pasticceria. E se si vuole provare a pasteggiare con il ‘vino non vino’, consiglio un Vermuttino:  Vermouth, soda e scorza di limone” a tuttopasto.

 

La foto di copertina e una foto dell’articolo sono di Claudia Calegari, che ringraziamo.

 

Barbara Amoroso Donatti

Appassionatissima di vino e soprattutto “liquidi con qualche grado in più”. Punto di riferimento del giornale per tutto quanto riguarda il mondo dei superalcolici.


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