Il Vello d’oro4 min read

Avete presente un formaggio? Avete presente una pecora? Mescolate forte queste due idee ed il risultato sarà il “Sir iz Mlieka” che nella lingua Erzegovina vuol dire, appunto, formaggio nella pelle di pecora. Quando si dice nella pelle si dice in “tutta” la pelle. Il nostro “Sir” è grosso come un bambino di 6 anni e pesa almeno 30 chili. Ma andiamo con ordine. Ci troviamo a Nevesinje, nel sud dell’Erzegovina, una delle due regioni che formano la Bosnia-Erzegovina. Siamo praticamente nel cuore della penisola balcanica, in una zona montuosa da sempre dedita all’allevamento degli animali. Gli animali in questione sono sia pecore che vacche: il latte delle prime si utilizza in tutti i mesi, un pò meno  in quelli invernali, quando le abbondanti nevicate impediscono letteralemente alle pecore di uscire, anche per fare solo quattro passi. Nei mesi invernali quindi il nostro megaformaggio nasce prevalentemente da latte di mucca. La sua storia si perde nella notte dei tempi ma può essere raccontata brevissimamente. Difficilmente i pastori locali avevano (ed hanno) molti capi di bestiame. Quindi il latte che si ottiene ogni giorno è poco. Il contenitore „in pelle“ è troppo grande per una sola cagliata e così è tradizione che all’interno del nostro „Sir“ si trovino diverse cagliate, di almeno una settimana. La lavorazione è semplice: subito dopo la mungitura il latte viene portato a 35° ed innestato con il caglio animale. La coagulazione avviene di media in circa 2 ore, sempre mantenendo la temperatura bassa. Siamo quindi di fronte ad un formaggio a latte crudo. Una volta coagulato lo si separa dalla parte liquida e lo si pone a spurgare in un altro contenitore. Per effettuare bene questa operazione si stende del cotone sopra alla cagliata e sopra a questo una grossa pietra. Rimane così per 12 ore circa, dopo di che viene spezzato, salato e messo nella nostra pelle di pecora che in precedenza era stata bollita, pelata, rovesciata ed asciugata al fumo del camino. Chiusi i cinque  buchi delle zampe e della coda il formaggio viene inserito dalla testa. Ogni giorno si aggiunge la nuova cagliata avendo l’attenzione di vuotare la pelle, rimescolare il tutto e poi reinserire il formaggio. Alla fine arriviamo al nostro megaformaggio di circa 30 chili che, prima di essere messo a stagionare, viene definitvamente sigillato, chiudendo anche il buco della testa. La stagionatura si può protrarre per un massimo di due mesi in stanze con  il 70% circa di umidità. Il formaggio matura in un ambiente completamente senz’aria, proprio come un pecorino di fossa. Il risultato è quindi un mega-iper-super formaggio di fossa del peso di 30 chili. Guardare quel cacione, quel palloncino cresciuto e pesantissimo, quella belva in agguato, pronta ad aprirsi e a seppellirti sotto una valanga di formaggio dà delle sensazioni uniche. L’apertura, che avviene incidendo la schiena ed infilando le mani dentro, ricorda un parto cesareo, qualcosa di ancestrale, che si rifà a riti orfici e dionisiaci. Infilare le mani in questo magma caseario ti comunica forza, annusare un pezzo di questo formaggio, che si rompe in pezzi grossi circa come un limone è un’esperienza da non perdere. Mettere sotto i denti la pasta consistente, scagliosa, ma anche morbidamente succosa è esperienza quasi divina. Inoltre al centro il formaggio è più piccante e sui bordi più austero: il tutto con numerose sfumature.
Alla fine di una bella serie di assaggi, sazio e felice, mi si sono risolti anche alcuni problemi di ordine mitologico. Mi ero sempre domandato chi glielo facesse fare agli Argonauti di rischiare ripetutamente la vita per una semplice pelle di montone, anche se d’oro. Adesso ho capito! Chi ha scritto la leggenda ha frainteso: gli argonauti cercavano il nostro „Sir“, non il vello d’oro. Cosa volete che gliene fregasse a dei rudi soldati di una grinzosa pelle anche se preziosa: il loro scopo era rimpinzarsi e nel farlo godere tanto da arrivare al settimo cielo ed essere così uguali agli dei.

Il demiurgo di questo strumento per raggiungere il paradiso non è un nerboruto pastore ma una giovane e slanciata fanciulla. Si chiama Slavica Samardzic, Bratac bb, 88280 Nevesinje, Bosnia  Herzegovina, mail: slavica9200@yahoo.com

Una giovane pastorella quindi, a cui vanno i ringraziamenti per avermi permesso di vedere, annusare, toccare  e gustare questo „antropomorfico“ formaggio. Sono sicuro che di lei sentiremo parlare molto.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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