Il Terrano: un rosso molto “roccioso”.3 min read

Girovagando per il Carso grazie a Teranum, bella manifestazione incentrata sul Terrano, vitigno rosso per antonomasia di questa terra, mi venivano in mente dei versi e delle parole. Versi di Ungaretti e parole di Fernand Braudel.

I versi erano quelli famosissimi del poeta che descrive la pietra del San Michele, mentre le parole del grande storico mi riportavano al suo concetto “altimetrico” di storia, che teorizza appunto sviluppi storici e sociali diversi tra pianura e montagna. Perché questa botta di cultura? Forse perché il Carso è una terra limite, di confine, che confina con tutto il resto del mondo e che richiede pensieri al confine tra saggezza e follia.

Trieste infatti, a pochi chilometri, sembra più lontana della luna e gli stessi triestini sentono il Carso come una cosa lontana, pur avendola praticamente sopra la testa. Ecco quindi venire buone le parole di Braudel, con la pianura/Trieste  sempre all’avanguardia nei secoli per sviluppo culturale ed economico e la montagna/Carso storicamente lasciata a se stessa, quasi dimenticata. Perché è facile dimenticare una terra fatta solo di pochissima terra e tanta roccia, una specie di gigantesca spugna di pietra che assorbe anche i venti per poi liberarli dalle proprie viscere. Una terra in cui è difficile vivere, in cui da tutte le parti spuntano le pietre “fredde, dure, prosciugate” di ungarettiana memoria.

In questa terra cresce un uva rossa che è unica pur non essendolo. Il Terrano è infatti parente stretto del Refosco dal Peduncolo Rosso ma nello stesso tempo è completamente differente. Merito o colpa, appunto, di questa terra-non terra con radici di pietra profondissime che riescono nell’impresa di smussare ed ingentilire i tannini del cugino friulano, riproponendoli però sotto forma di acidità. Quest’acidita  se non viene controllata con un grande lavoro di vigna rende il Terrano un vino tagliente come una lama, di roccia ovviamente.

Conobbi il Terrano durante il servizio militare nei primi anni ottanta e vi garantisco che allora parlare di vino-lama era veramente appropriato. Lo reincontrai alla fine degli anni novanta grazie al caro amico Sergio Nesich che, da buon triestino chiamava il Carso “Carsolandia” e mi presentava una visita in zona quasi come un viaggio alla fine del mondo. L’ultima visita di questi giorni  mi ha fatto capire che di strada il Terrano ed i vini del Carso, ne hanno fatta tanta. Questo grazie ad un nucleo sempre più nutrito di giovani produttori (non solo italiani ma anche sloveni) che da un vino estremo hanno tirato fuori un vino estremamente unico. Oggi il Terrano può essere bevuto giovane ma  forse dà il meglio di se dopo almeno 2-3 anni di invecchiamento.

Sicuramente la versione più “esportabile” sul mercato nazionale è la seconda, che presenta meglio le varie sfaccettature del vitigno. Siamo sempre e comunque di fronte ad un vino difficile, che andrebbe spiegato ai consumatori sempre più abituati a gusti morbidi. Per questo è meritorio il lavoro di promozione fatto, che andrebbe allargato anche ad altre piazze italiane.

Chiudo in maniera molto meno dotta e leggermente scherzosa notando che mai nome di vino fu più in sintonia con la terra che lo cresce. “Terra-no”, per un vino che nasce praticamente sulla roccia, mi sembra infatti nome azzeccato in pieno. Unica variante poteva essere “Roccia-si” ma io preferisco la prima. E voi?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE