Il mistero misterioso del buon Verdicchio5 min read

L’Italia è un paese pieno di misteri. Anche se lasciamo un attimo da parte quelli di competenza di Santa Romana Chiesa troviamo misteri ovunque: dalla politica alle stragi, passando per l’economia e la semplice vita di tutti i giorni.

In particolare da diversi anni, diciamo dalla fine degli anni ottanta, un mistero misterioso avvolge le Marche: il suo nome è Verdicchio. Come è infatti possibile un vino-vitigno che anno dopo anno, con una regolarità sconcertante, sforna prodotti di altissimo livello a prezzi assolutamente concorrenziali non venga riconosciuto e apprezzato come merita a livello nazionale e internazionale?

I nostri assaggi annuali che, grazie all’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, si sono svolti in una Jesi assediata da un caldo meno torrido del solito, hanno forse ancora più acuito il mistero.

Anche quest’anno infatti, sia si parli di Verdicchio di Jesi Classico, Superiore o Riserva o del cugino di Matelica, i risultati non possono essere fraintesi.

Siamo di fronte ad un vitigno a bacca bianca che sforna vini di buona/ottima struttura, di gran corpo, spesso di ottima finezza, magari non di grande intensità aromatica (di questo parleremo dopo..)ma con belle finezze al naso, che in più reggono bene l’invecchiamento. Questo quasi a prescindere dall’annata presa in considerazione, dato che abbiamo preso in esame 2011 per il Classico, 2011-2010 per il Classico Superiore e 2010-2009-2008 per le Riserve.

 

 

Vediamo nel dettaglio qualche numero partendo dalla base, cioè dal Verdicchio Classico (o non, a seconda della zona di produzione), un vino che si trova in vendita tra i 5 e i 7 euro. Una media stelle di 2.59, il 67% dei vini con punteggi uguali o superiori a 2.5 stelle. Parametrandolo con i prezzi medi, se non si rischiasse di svilire la categoria, potremmo definirli “perfetti vini da supermercato”: prezzi bassi e qualità quasi sempre sicura.

Come si sale al Classico Superiore la situazione non cambia, anzi. Pur (solo a causa della nostra profonda tirchieria nei punteggi)  non essendoci un vino da 4 stelle ce ne sono ben 11 da 3.5 e 18 da 3! Questo vuol dire che più del 50% (52.7) dei vini assaggiati si pone su livelli di eccellenza.

Eccellenza che assume toni da marcia trionfale se passiamo alle Riserve con due vini addirittura a 4.5 stelle e gli altri (i campioni assaggiati non erano molti, una quindicina) non molto lontano. La stratosferica media stelle di 3.26 non può essere spiegata in altro modo.

 

Ma lasciamo la fredda matematica e veniamo al sodo. Come detto per i Classici abbiamo assaggiato l’annata 2011: vendemmia non certo eccezionale, con un caldo africano dalla metà di agosto in poi.

I verdicchio hanno mostrato però un ottimo adattamento, con vini non certo di grande acidità ma di buona sapidità e generale freschezza. Anche le aggiunte di acido tartarico (ricorrenti in tutta Italia nel 2011) non hanno portato agli squilibri di altre zone.
L’unico vero problema, riscontrato anche e soprattutto nei Superiori (qui c’era in campo anche un buon numero di 2010) è quello della “sauvignonizzazione” del Verdicchio.

Da alcuni anni è prassi trovare alcuni vini con note aromatiche che non possono non far pensare all’utilizzo di altre uve; quest’anno la cosa si è allargata a macchia d’olio, portando molti vini a note che ricordano addirittura il frutto della passione. Chiariamoci: la vinificazione in riduzione e  l’uso del ghiaccio secco in vendemmia può portare a sentori che ricordano da vicino tanti Sauvignon della Nuova Zelanda. Ma Adesso non ci resta che domandarci quante aziende in zona abbiano adottato questo metodo, perché anche cantine da sempre contrarie a queste metodiche mostrano nei loro vini sentori non certo classici per il Verdicchio.

Ognuno può vinificare come meglio crede, l’importante (se di questo si tratta) è dichiararlo “urbi et orbi” perché oramai i fini aromi di anice, fiori e mandorla sono sempre più un ricordo. Lancio quindi una proposta che Alberto Mazzoni, direttore e “deus ex machina” di IMT sono sicuro potrà recepire e fare sua. Organizzare un convegno dove i metodi di vinificazione del Verdicchio ( vecchi e nuovi) vengano discussi di fronte alla stampa nazionale e, naturalmente, agli altri produttori. Ci sarebbe da imparare molte cose e soprattutto si farebbe chiarezza tra aromi e aromi. Questo ovviamente nel caso in cui non si sia semplicemente di fronte ad aggiunte (autorizzate peraltro dal disciplinare) di un 15% di altre uve.

Tale problema sembra non toccare le riserve, mai convincenti come quest’anno. Ancora forse qualche legno di troppo ma soprattutto grande polpa, finezza, sostanza e capacità di invecchiamento.

Su Matelica, visti i pochi campioni presentato, possiamo dire ben poco, se non confermare la nostra fiducia ad un territorio che anche quest’anno ci ha dato uno dei migliori vini assaggiati. Quasi lo stesso dicasi per gli spumanti: troppo pochi ma con punte di livello.

 

Come accennato uno dei grandi pregi di questo vitigno è il suo riusciere ad esprimersi bene in condizioni e annate molto diverse. Riesce a farlo talmente bene che purtroppo è da sempre nel mirino di grandi imbottigliatori e una bella fetta del prodotto viene imbottigliata regolarmente fuori zona. Questa è forse la piaga maggiore! Così senza grandi controlli arrivano nei supermercati italiani e europei verdicchi che ben poco hanno da spartire con quelli da noi assaggiati. Attenzione, non stiamo parlando di un 10% della produzione totale ma di una cifra molto più alta, che ottimisti quantificano attorno al 30% e pessimisti valutano superiore al 40%.

Fino a quando i 2200 ettari di questo vitigno (erano 3200 nel duemila…) continueranno a viaggiare a due velocità, le belle ali qualitative da noi assaggiate saranno impossibilitate a volare da un ventre molle pesante e troppo ingombrante.

Eccovi una valida spiegazione del mistero misterioso del verdicchio. Mistero facile da svelare ma difficile da risolvere.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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