Il Merlese! Ne sentivamo la mancanza…5 min read

Il più noto probabilmente è il Muller-Thurgau, ottenuto verso la fine del secolo scorso incrociando Riesling con Sylvaner, (o Chasselas secondo le ultime ricerche) ma ce ne sono anche altri. C’è l’Incrocio Terzi n.1, da  Barbera e Cabernet Franc, ci sono la lunga serie degli Incroci del Prof.Manzoni e della scuola di Conegliano Veneto, tra cui i più noti sono il Manzoni Bianco 6.0.13 (da un incrocio di Riesling Renano x Pinot Bianco) ed il Manzoni Rosso 13.0.25 ( incrocio tra Raboso Piave x Moscato d’Amburgo). Abbiamo anche il Rebo da Merlot e Teroldego, il Pinotage fra il Pinot Nero e il Cinsault, ed ancora l’Albarossa, Barbera con Nebbiolo di Dronero.

Quindi perche non anche il Merlese?

Sto parlando del nuovo incrocio Sangiovese x Merlot presentato al pubblico il 7 settembre scorso (giorno in cui a Montalcino c’era l’assemblea dei produttori n.d.r.)  dal vivaista romagnolo Dalmonte che l’ha “creato” unendo appunto i due vitigni. Creare non è il termine adatto perché la varietà risulta  comunque già iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite con il n°400, ed è protetta da un brevetto ottenuto nel 1983 dall’Università di Bologna.

Non è una novità che si tenti di incrociare il Sangiovese con altri vitigni, partendo dalla considerazione (discutibile ma non contestabile) che il Sangiovese sia un vitigno estremamente difficile, a volte per alcuni fin troppo difficile da coltivare. Le ragioni di questa difficoltà sono oramai note e trovo superfluo ricordarle qui; basti sapere che i bravi viticoltori stanno da tempo attuando rimedi “autoctoni”.  Ad esempio scelgono oculatamente i terreni (suoli, esposizioni etc) dove piantarlo.  Selezionano i cloni più adatti ( ce sono un’ottantina regolarmente classificati), senza contare chi impiega ceppi “casalinghi” propagati per selezione massale. E poi selezioni nel vigneto, diradamenti, ed ogni altra pratica colturale volta a salvaguardare le caratteristiche uniche del Sangiovese.

 Certamente per quanto bravo il viticoltore, nulla potrà fare però per contrastare un cattivo andamento meteorologico, che metterà a repentaglio il livello qualitativo dei suoi vini, evidenziandone le carenze.

Ed è proprio per combattere o limitare i danni da malattie ed avversità che l’uomo cerca di supplire a queste carenze incrementando la resistenza delle piante attraverso il miglioramento genetico. Quindi non mi scandalizza, né sorprende che questa possa avvenire, oltreché per la tradizionale selezione clonale intravarietale, anche attraverso l’incrocio di più varietà. Cosa che poi avviene regolarmente per tutte le altre piante da frutto.

Non è comunque una novità questa dell’incrocio del Sangiovese con altri vitigni, risulta infatti che presso il dipartimento di Ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze siano stati effettuati nel 1990 incroci del “Sangiovese – clone R10” con “Abrusco”, “Colorino”, ”Cabernet Sauvignon”, Pugnitello”, “Tinturier”. Se e quando si sia poi proceduto a vinificazioni, non ne sono al corrente. 

Tuttavia, per quanto non scandalizzato né sorpreso, non posso fare a meno di pensare  che la pratica di incrociare vitigni per  modificare di taluni tratti essenziali non sia degna di attenzione, in particolar modo per il Sangiovese, i cui vini mai come in questo periodo risultano essere al centro dell’attenzione e del dibattito di critica, produttori e consumatori.
Da più parti lo si vorrebbe imbrigliare entro canoni produttivi e gustativi ritenuti più conformi agli standard internazionali (che cosa sarebbero esattamente e chi li stabilisce non è del tutto chiaro) e modificarne i tratti essenziali attraverso l’impiego del taglio con vini cosiddetti migliorativi, che però Armando Castagno, in un suo intervento, ha sagacemente ridefinito “peggiorativi” in rapporto al Sangiovese.

Ora si tratta di capire se quelle che vengono definite caratteristiche negative, di fatto non siano invece aggettivabili come peculiari e che la loro eliminazione consegnerebbe all’oblio dei consumatori un importante capitale viticolo.
Comunque In attesa di capire chi abbia ragione, riporto  le caratteristiche del Merlese, in puro gergo nazional-vivaistico.

Clone disponibile su portainnesto CAB1, Caratteristiche: Il Merlese è un vitigno di vigoria media, con portamento semi – assurgente, buona fertilità delle gemme basali e buona produttività (leggermente inferiore al  Merlot) Germogliamento: II° decade di Aprile, Fioritura: I° decade di Giugno, Maturazione: medio precoce (subito dopo il Merlot e prima del Sangiovese). Grappolo: Il Merlese presenta grappoli di dimensioni medie (paragonabili a quelle del Merlot), di forma piramidale, alato, spargolo. L’acino è medio, di colore blu nero, arrotondato, con buccia poco pruinosa. La polpa non è colorata.  Sensibilità alle malattie ed avversità: Poco sensibile a Botritys e Marciume acido. Caratteristiche enologiche: Il vino ottenuto dal Merlese si presenta con ottima limpidezza, colore rosso violetto di media intensità con riflessi violacei ed è caratterizzato da una concentrazione di sostanze polifenoliche più elevata rispetto quelle dei genitori. All’olfatto è intenso, armonico e molto persistente, in particolare spiccano aromi gradevolmente fiorali, fruttati (more, lamponi, ciliegia) con note di speziato e vegetale fresco (peperone) nonchè aromi di frutta secca (mandorla, nocciola). Al gusto è secco e sapido, giustamente acido, non tannico e non amaro. Nel complesso il vino ha presentato un profilo aromatico molto interessante perchè ampio e con sfumature diverse ma ben armonizzate fra loro.

Fin qui quanto sostiene il vivaista Dalmonte. Quale futuro dunque per questo nuovo vitigno? Non ho molte informazioni su cosa ne pensino i  produttori romagnoli (alcuni, interpellati telefonicamente al riguardo, mi hanno mandato gentilmente a cagare).

Difficile anche capire se e quali possibilità concrete di impiego si potranno palesare per questo incrocio, ma nella sostanza è probabile che l’unico vero affare possa essere per chi vende le barbatelle anche se di questi tempi, credo proprio che a tutto pensino i nostri vignaioli fuorché a impiantare il Merlese.

Mentre però sto scrivendo, mi giunge notizia che i cugini Francesi, allarmati dalla possibile diffusione planetaria del Merlese, stiano già preventivamente brevettando la contromisura:  un incrocio che si chiamerà Sangiot. Il guanto di sfida oramai è stato lanciato e ne vedremo delle belle.

 

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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