I vini bianchi italiani, non solo del 2024, cosa ci stanno dicendo?4 min read

Anche lo scorso anno, in questo periodo, dedicammo un articolo ai bianchi italiani d’annata e non, basandoci sulle degustazioni che stavamo facendo per la guida vini di Winesurf. Quindi mi sembra giusto farlo anche quest’anno, con l’obiettivo di presentare le caratteristiche dell’annata 2024 trovate nei calici di quasi 1000 bianchi d’annata, ma soprattutto per lanciare alcuni spunti di discussione sui bianchi italiani, giovani e non.

Per quanto riguarda l’annata 2024 la prima notizia, cosa che era chiara sin dallo scorso ottobre, è che non siamo di fronte ad una grande annata ma quasi sicuramente (non certo grande consolazione) superiore, in molte parti d’Italia, a quella relativa ai rossi. Se infatti i secondi sono stati spesso vendemmiati negli intervalli tra una serie di piogge i bianchi in generale hanno beneficiato del gran caldo dei mesi estivi pur beccandosi una serie di piogge a fine maturazione che in diversi casi hanno “diluito” la concentrazione ma apportando maggiore finezza ai profumi.

A proposito di profumi: mi spiace dirlo ma in molte parti d’Italia per i vini d’annata non aromatici ormai non si può più parlare di “riconoscibilità del vitigno” ma solo di riconoscibilità dei sistemi di vinificazione e affinamento, almeno per quanto riguarda i primi 8-10 mesi dalla vendemmia, periodo in cui vengono degustati da tutte le guide. Andando verso il secondo anno e oltre le cose cambieranno ma per quanto riguarda appunto  tanti vini non aromatici o semiaromatici (e in parte anche per questi) prevale più la mano di cantina che l’uva che vi arriva. Questo, viste anche le annate che si stanno susseguendo non è necessariamente un male, ma in un momento in cui le parole come  terroir, unicità, parcella,  vanno per la maggiore è abbastanza strano constatare, in generale, l’esatto contrario.

Di passaggio un’altra annotazione, oramai bere i bianchi italiani d’annata è un errore madornale, perché i miglioramenti tecnici in vigna e in cantina portano a vini che hanno bisogno di almeno 10-12 mesi per distendersi e assumere le giuste e apprezzabili caratteristiche.

Ma veniamo ai bianchi 2024 e proviamo a dare qualche consiglio, fermo restando che ancora i nostri assaggi non sono completi (mancano nomi importanti come Soave, Vermentino di varie zone, Gavi, Etna Bianco e altri) e che, per fortuna, da qualche anno degustiamo almeno il 40/50% di vini di annate precedenti, cosa che, visto quanto detto sopra, ci fa molto piacere. Una segnalazione particolare va fatta sicuramente per i Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore, vini che riescono nella titanica impresa di essere buoni sin da subito e dopo diversi anni. Forse non è l’annata migliore ma comunque abbiamo trovato buone strutture e aromi che quasi sempre riportano al vitigno. Visti anche i prezzi abbordabili è un consiglio che diamo senza se e senza ma.

Di seguito ci piace segnalare anche, in ordine sparso, Arneis, Vernaccia di San Gimignano, Sauvignon altoatesini, Custoza, Greco di Tufo, Pinot Bianco del Trentino, Friulano sia del Collio che dei Colli Orientali. Naturalmente non facciamo nomi e cognomi, perché quelli potrete trovarli sulla nostra guida online ma crediamo che in questo ampio spettro troverete sicuramente buone cose da bere.

Torniamo un attimo ai bianchi italiani in generale per confermare quanto avevamo scritto lo scorso anno. Oramai la qualità media è salita moltissimo ma, anche andando in annate precedenti, mancano quelli che potremmo definire grandi bianchi. Questo è strano perché una bella fetta di bianchi italiani non solo, come detto,  deve invecchiare almeno 1-2 anni per esprimersi bene ma può invecchiare almeno 5-8 anni migliorandosi anno dopo anno. Nonostante questo mancano quelle punte che ti fanno sobbalzare e che 10-15 anni fa erano presenti come fari nella nebbia. Inoltre il fatto che sempre più aziende propongono bianchi di 2-3-4 anni agli assaggi denota che la voglia per puntare al grande bianco c’è. Quindi è un bel dilemma e non si tratta di uso o non uso del legno ma forse di un cambiamento climatico che da una parte crea incertezze e problemi, e dall’altra innalza Ph, abbassa acidità e quindi crea situazioni diverse rispetto al passato. Però queste sono, come diceva la canzone, “solo parole” e aspettiamo con grande piacere contributi in tal senso.

A proposito di legno e non legno: dopo anni di utilizzi inferiori e meglio mirati ci ha fatto pensare trovare molti bianchi altoatesini, in particolare  Chardonnay e Pinot Bianco di annate precedenti al 2024,  con dosi di legno indubbiamente eccessive e ridondanti. E’ forse un segnale di “ritorno al passato?”

E di segnali ve ne abbiamo lasciati tanti così, ripetiamo, aspettiamo i vostri pareri perché se c’è una certezza è che noi, sul vino e oltre, di certezze ne abbiamo pochissime.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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