I Pastorelli7 min read

Mia mamma faceva Pastorelli di cognome. Lo stesso cognome, naturalmente, di suo padre Leonildo: ma anche  mia nonna Giselda, sua moglie, prima di sposarsi si chiamava Pastorelli.

Giselda e Leonildo Pastorelli con i figli.

I miei nonni avevano lo stesso cognome ma non erano parenti. La famiglia veniva dalla montagna amiatina, da un gruppo di case nella vallata della Zancona che però nel solo spazio di un cento metri conta ben tre piccoli gruppi di case, che non si possono definire nemmeno borghi, ognuno con il proprio  nome: Le Macchie, Poggio Marco e I Pastorelli!

Monte Amiata

Quest’ultimo tanto per ribadire il cognome e il territorio!

Mentre mia nonna Giselda era scesa nella Vallerotana in Maremma, sua sorella Ada era rimasta in montagna, proprio alle Macchie e a Poggio Marco. La zia Ada abitava alle Macchie, in una casetta piccolissima, che sembrava quella delle fate. Nel senso che le stanze erano piccole, le porte erano piccole, le scale per salire al piano superiore erano talmente piccole che sembrava di avvolgersi intorno alle pareti per salire.

ZIa Ada

Dire che era accogliente è dire poco. Forse anche perché era tutta pervasa dalla dolcezza della zia Ada. Fisicamente assomigliava un po’ a mia nonna Stella, piccolina e vestita di nero, anche lei con i capelli raccolti in una crocchia sempre ordinata, fermata da quelle forcelle doppie e ricurve che usavano allora, anche lei con gli occhiali. Ma aveva anche una vocina melodiosa con la quale riusciva a rendere grazioso e gradevole il non sempre elegante cantilenare del dialetto amiatino.

C’ho fatto diverse volte la vacanze dalla zia Ada e da suo marito Pietrone Biagioli, a partire da quando avevo circa dieci anni. Dormivo nella stanzetta vicino alla cucina a pianterreno.

Un lettino che c’entravo appena, ma in compenso nell’angolo del muro, proprio attaccato al letto, oltre il guanciale, c’era uno ziro pieno a metà di miele. In cucina sapevo dove trovare il latte fresco munto ogni sera e messo a riposare fuori dalla finestra, così che la mattina una parte era panna e una parte latte scremato. Nella notte un bel cucchiaione di miele bello rugoso e un bicchierone di latte dietro per pulirsi la bocca e stemperare il dolcissimo del miele era un bel punto esclamativo per ritornare a sognare nel lettino.

Di giorno andavo a Poggio Marco dove loro possedevano una casetta ad uso rimessa di attrezzi e prodotti della terra che lo zio Pietrone coltivava proprio lì vicino. Al piano superiore c’erano dei bauli pieni di riviste che il loro figliolo Gino aveva collezionato nel tempo, con in testa Tempo e Epoca. Erano settimanali con fotografie e storie che io non mi stancavo di sfogliare e leggere. Il ricordo di quelle giornate è accompagnato dal perenne e intenso profumo delle mele verdi conservate in quel locale che riempivano con il loro fresco e penetrante aroma tutto lo stabile, muri e legni compresi.

Lo zi’ Pietrone  aveva dei baffetti irti e pungenti che ogni volta che mi baciava mi conficcava sulla bocca. Coltivava la terra con le patate, le verdure da orto come i fagiolini gialli larghi, le taccole, le bietole, e alcuni alberi da frutta. Più ovviamente gli odori per casa come salvia e ramerino ai margini della terra.

Pietro Biagioli

C’aveva anche un po’ di vigna per il vino, ma pe’ fallo bono veniva a prendere un po’ d’uva in Vallerotana, perché diceva che il suo da solo era troppo debole e asprigno. Il sapore degli ortaggi di montagna hanno una intensità ed una purezza inimitabile. Credo per via della natura dei terreni, il loro naturale drenaggio, la purezza dell’acqua e le temperature che variavano assai tra il giorno e la notte

Zia Ada, manco a dirlo era una grande cuoca. Quando faceva il pollo o la faraona o il coniglio, cioè la carne, già dall’enfasi che dava ai preparativi ti faceva capire il reale valore di quello che mangiavi, sottolineando cioè che era roba che veniva dal lavoro e dal sacrificio e non pioveva dal cielo.

Ti faceva sentire un privilegiato ammesso a gustare queste bontà. Il resto lo aggiungeva lei con quei pochi profumi che metteva e con le cotture lente e amorose. Non parliamo poi delle patate arrosto con aglio e ramerino. Sarà che erano quelle coltivate lì a Poggio Marco, sarà che aveva trovato una formula fatata, ma erano quanto di più buono si potesse mai immaginare.

Dove però è rimasta irraggiungibile è nella preparazione di un minestrone di verdure fatto nella padella di ferro. Ricordo solo che ci metteva pochissime cose: delle patate a fette spesse, delle bietole, dei fagiolini larghi e schiacciati, qualche fagiolo, una costola di sedano, un’idea di conserva, due foglie di basilico, l’acqua della fonte fori dell’uscio e una cottura al dente di tutto il piatto, un goccio d’olio a crudo. Ricordo perfettamente il profumo, il sapore e la croccantezza delle verdure: semplicemente divino.

Glielo dicevo alla zia quanto mi piacevano quelle cose e lei ne era tantissimo felice. E allora ogni volta che tornavo mi diceva: “Robertino, birbante, oggi ti faccio la minestra che ti piace tanto e poi ti faccio anche il pollo con le patate arrosto, ti piacciono, sei contento?” “’A’ voglia te zia”, gli dicevo, “Fai le cose più bone mai mangiate in vita mia”. Era vero.

Simili a quelle di nonna Stella, ma forse anche più fresche e genuine, povere ed eleganti, frutto anche di una produzione di eccelsa qualità in proprio, di quasi tutti gli ingredienti che lo zii Pietrone produceva nel suo piccolo appezzamento a Poggio Marco. E che lei cucinava nella sua cucina a legna anche d’estate perché il gas ancora non c’era.

Nelle sere di estate tutti stavano fuori della porta di casa per prendere un po’ di fresco e per chiacchierare. Io ero affascinato da questi vecchietti che parevano avere una pazienza infinita con me. Ed io amavo ascoltare le loro storie.

A Poggio Marco c’era un signore molto anziano che si chiamava Aristodemo e che era particolarmente paziente e bravo a raccontare le cose. Mi affezionai a lui e lui a me. Mia mamma mi aveva detto che era in pezzo grosso dei Giurisdavidici, cioè i discepoli del “Santo Davide” al secolo Davide Lazzaretti vissuto negli anni settanta del XIX secolo.

Lo interrogai diverse volte su questo argomento finchè una bella sera mi disse: mi sembri maturo e cosciente per divenire uno dei nostri! A me non mi pareva di aver fatto niente di speciale, ma lui volle nominarmi Vescovo dei Giurisdavidici, stante lui responsabile per me!

Quando lo dissi alla mia mamma rimase impressionata perché sapeva che era un graduato dei Giurisdavidici e che se l’aveva detto lui, lei non lo metteva in dubbio. Non credo che la carica data fosse una cosa seria, assai più probabile detta e fatta per farmi piacere. In effetti allora il vero capo riconosciuto dei giurisdavidici lazzarettisti di Arcidosso era  Turpino Chiappini, ottavo capo sacerdote, sempre della zona, in Casa Salustri di Zancona.

Proprio dal borgo I Pastorelli parte la strada che porta alla Torre dei Giurisdavidici situata nella sommità del monte Labro. In questa torre conobbi una estate la Papessa e il Papa dei Giurdavidici, Elvira Giro e Leone Graziani, una coppia che abitava a Roma e venne per farsi omaggiare dai discepoli in occasione di un Ferragosto.

Rimasta sola, con problemi seri alla vista, la  zia Ada ha finito la sua vita all’ospizio di Via Ferrucci a Grosseto, senza che nessuno di noi, poveri stolti, abbia potuto godere del privilegio della sua presenza in casa propria fino all’ultimo.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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