Guida vini. Teroldego Rotaliano: la maturità sofferta di un terroir4 min read

La situazione del Teroldego in Trentino potrebbe essere vista come il classico bicchiere pieno d’acqua a metà: qualcuno potrebbe dire che è mezzo vuoto, altri che è mezzo pieno

I seguaci della versione pessimistica potrebbero affermare che dopotutto si sta parlando di nemmeno 600 ettari di vigneto, a malapena il 6% del patrimonio vitato provinciale che, tra l’altro, è quasi al 75% piantato con uve bianche.

Gli ottimisti potrebbero invece vedere gli stessi dati come positivi: vero il fatto dei 600 ettari ma è comunque la prima uva rossa locale, quella che negli ultimi 40 anni in cui la Provincia di Trento è passata dall’80% al 25% di uve a bacca rossa,  è diminuita di meno, passando dal 7% del 1980 al 5.9% di adesso.

Teroldego Rotaliano: mappa

Dal nostro punto di vista, che è quello di conoscitori abbastanza attenti del territorio, ci sentiamo di dire che negli ultimi 40 anni in questo piccolo territorio è successo di tutto e il fatto che abbia mantenuto i suoi ettari praticamente immutati vuol dire che, volenti o nolenti,  siamo di fronte a quello che si definisce terroir.

Se prendiamo infatti la puntuale, precisa, inattaccabile e profonda definizione di Armando Castagno non possiamo che ritrovarci la Piana Rotaliana e il suo vitigno.

ll terroir è uno spazio geografico delimitato, abitato da una comunità umana e caratterizzato da una comunità agricola. Il prodotto agricolo è messo in valore nel corso del tempo dal lavoro della comunità, determinato dall’attitudine del luogo, custodito dal vigore della sua biodiversità, e qualificato dalla virtuosa interazione tra luogo e cultivar. La comunità umana discute, elabora e adotta un patrimonio collettivo di regole produttive di base, condivise e accettate: pone a disposizione di tutti l’esperienza accumulata lungo tale percorso di conoscenza in ogni modo possibile. Nessun Terroir viene a crearsi per mera iniziativa individuale, o per via progettuale, opportunistica o politica. Tanto il terroir pone in valore il bene finale cui dà vita quanto il bene finale valorizza il suo terroir di nascita. Spetta al consumatore finale il riconoscimento eventuale del valore in tal modo venutosi a creare.

E’ vero che questa “comunità umana” è formata da soggetti molto diversi, che le grandi cooperative hanno avuto e hanno idee quasi opposte dei piccoli produttori riguardo al Teroldego, che i mercati stentano a riconoscerlo come vino importante e che nello stesso tempo le sue caratteristiche peculiari non lo presentano certo come “vino d’annata”.

Senza dubbio è un vino che ha cercato varie strade per essere conosciuto e riconosciuto: da vino iperconcentrato, quasi da tagliare con il coltello a vino ipernaturale, le vie seguite dal Teroldego e dalla Piana Rotaliana non hanno mai portato alla sua esplosione sui mercati nazionali e internazionali.

Ma quei 600 ettari ci sono sempre stati, non sono mai diminuiti, segno che per i produttori locali c’è una vera e propria simbiosi storica con il vitigno.

Teroldego

Il bello è che adesso questa simbiosi non  solo sta portando sempre più il Teroldego Rotaliano ad un livello qualitativo veramente alto ma lo sta portando in ogni sua espressione:  cioè nel  vino “base”, nelle selezioni più o meno importanti e nelle Riserva.

Sul livello “base” sono anni che, grazie anche a tanti giovani e appassionati produttori, la qualità è alta, sulle selezioni abbiamo visto cambiare il modo di approccio, rendendole meno corpose e più dinamiche, sulle Riserva, per noi sempre anello debole della catena, abbiamo trovato un uso più equilibrato del legno, una minore concentrazione, un’eleganza più rispondente alle caratteristiche del vitigno in invecchiamento.

Quest’anno nei nostri assaggi abbiamo trovato tutto questo ma, oltre alla qualità alta, ciò che ci ha colpito di più è che in tutte e  tre le tipologie i vini “sapevano” di Teroldego, avevano sia al naso che in bocca le caratteristiche particolari di questo vitigno.

Questa è stata veramente la cosa che ci ha fatto capire che forse, dai e dai, alla fine questi 600 ettari, questo terroir, è cresciuto ed ha raggiunto la maggiore età. Certo, come in ogni famiglia che si rispetti i problemi ci sono e ci saranno (come li abbiamo evidenziati qui) ma intanto c’è un ottimo vino, molto riconoscibile, con cui e di cui discutere.

Però non faranno certo discutere i  ben sei Vini Top e l’oltre 70% di Teroldego che hanno superato i nostri fatidici 80 punti (e come sapete non non spariamo punteggi come mortaretti a capodanno), con altri vini che non sono rientrati tra gli “over 80” proprio per un soffio.

In definitiva una prova di gruppo molto convincente.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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