Incontri Rotaliani 2021: bella iniziativa, anche per parlare del futuro del Teroldego Rotaliano5 min read

La mattina uno si affaccia alla finestra del bell’albergo di Mezzocorona, sente che fa un freddo boia e sentenzia “Sarà una giornata fredda!” salvo doversi correggere dopo due ore perché un sole meraviglioso ti riporta alle migliori mattinate di settembre.

Pensandoci bene  i due giorni di Incontri Rotaliani 2021 sono stati zeppi, da parte mia, di pre-valutazioni errate: di solito i convegni sono noiosi e invece i due presenti nel programma sono stati interessanti, quasi sempre le degustazioni sono lente e verbose e invece quelle a cui ho partecipato hanno avuto un bel ritmo. Inoltre molto spesso, quando c’è un gemellaggio con un territorio estero, i vini che arrivano sono di medio livello, ma quelli della Rioja assaggiati nei tasting erano indubbiamente centrati e, last but not least, oramai vengono invitate persone che ben poco sanno di vino ma a Incontri Rotaliani ho avuto il grande piacere di incontrare tanti colleghi bravissimi, italiani e esteri.

Insomma se avevo qualche preconcetto la perfetta organizzazione di Incontri Rotaliani li ha fugati del tutto e mi ha permesso di approfondire la conoscenza di un territorio, la Piana Rotaliana, dove il Teroldego (Rotaliano) ha trovato casa almeno fin dal XV° secolo.

Incontri Rotaliani aveva diversi scopi: quelli palesi erano di far conoscere e riconoscere la Piana Rotaliana, i suoi prodotti (vino in primis), le sue bellezze paesaggistiche e architettoniche, di incontrare un grande territorio estero (quest’anno la Rioja, due anni fa la Borgogna) e provare a confrontarsi.

C’era anche uno scopo non scritto, che si poteva immaginare leggendo il programma del convegno sui 50 anni della DOC Teroldego Rotaliano, svoltosi nell’auditorium della Fondazione Mach a san Michele all’Adige.

Ci ha messo un po’ a venire fuori, ma alla fine il grido di dolore (neanche tanto metaforico) dei giovani e piccoli produttori di Teroldego di alta qualità si è sentito forte e chiaro. Per questo nel prossimo futuro gli enti preposti alla salvaguardia e alla tutela, cioè il Consorzio di tutela, la Provincia e naturalmente le grandi cooperative locali e tutti i produttori dovranno mettersi attorno ad un tavolo per trovare una quadra. Oramai non si può più far finta di niente, non si può pensare che comunque le cose andranno avanti. Si dovrà intervenire!

Il problema è questo: ci sono tra Piana Rotaliana e vigneti collinari attorno circa 600 ettari di Teroldego: di questi quasi la metà viene venduto sfuso e non rivendicato, il resto va in maggioranza in bottiglie da pochi euro vendute nella GDO e solo una piccola fetta viene prodotto come vino di qualità e proposto a prezzi consoni per uno che lavora la terra e produce ottimi vini.

Ma la cosa non finisce qui e vi elenco ancora una serie di problemi che il Teroldego Rotaliano dovrà affrontare se non vorrà morire.

  • La DOC ha la resa forse più alta d’Italia con 170 quintali ad ettaro (più il 20% in annate etc) e questo porta in moltissimi casi a privilegiare la quantità sulla qualità.
  • Anche se il Teroldego è un vitigno con un patrimonio fenolico altissimo che lo mette ai primi posti tra le uve mondiali, rese del genere ucciderebbero qualsiasi uva.
  • La stragrande maggioranza del vino è in mano delle grandi cooperative trentine, che dettano legge sui prezzi e sulla collocazione commerciale della maggior parte del Teroldego Rotaliano (e non solo).
  • Le cooperative hanno come primo scopo quello di dare soddisfazione ai soci, remunerando le uve e solo poi cercano sbocchi commerciali per il vino.
  • Il Teroldego Rotaliano rappresenta circa il 7.5% della produzione globale trentina, una fetta molto piccola del totale specie se si considera che la regione produce per quasi l’80% uve bianche. Quindi il peso economico e soprattutto politico della denominazione è molto basso e le grandi cooperative (Cavit, Lavis, Mezzacorona, Cantina Rotaliana) non hanno interesse ad investirci, sia dal punto di vista viticolo che promozionale.
  • Nonostante questo, visto la resa per ettaro e quanto viene pagata l’uva ai viticoltori Il costo di un ettaro di vigna è arrivato anche a 1.000.000 € a ettaro, anche se normalmente i prezzi si attestano attorno alla metà.
  • In una situazione del genere investire per produrre Teroldego di qualità nella Piana Rotaliana non è antieconomico, è folle.

Ho cercato di riassumere in alcuni punti chiari la situazione denunciata dai giovani dell’associazione Teroldego (R) Evolution, che sono praticamente la stragrande maggioranza dei produttori di qualità della Piana Rotaliana.

Hanno ragione a protestare, perché in una situazione del genere vendere un Teroldego Rotaliano a più di 10 euro è un’impresa. Eppure i costi aziendali per produrre qualità non sono certo bassi, nonostante le grandi cooperative mettano in campo bottiglie a prezzi stracciati.

Riusciamo a capire anche le ragioni della cooperazione, che deve comunque fare i conti con un prodotto che non rappresenta una parte importante del loro  fatturato e quindi difficilmente potrà raccogliere una parte importante dei loro investimenti. Per questo crediamo che non basterà il  grido di dolore dei piccoli produttori a far cambiare qualcosa, però potrebbe servire almeno a mettere le parti in causa intorno ad un tavolo.

Se questo capitasse mi permetto di dare alcuni consigli. La proposta di una DOCG, magari con il solo nome Rotaliana, per me è da scansare come la peste.

Abbiamo vari esempi in tutta Italia che dove si rinuncia al nome del vitigno, bello o brutto che sia, la situazione non migliora, anzi. Una denominazione piccola, specie se vuole cercare nuovi sbocchi sul mercato, non può rinunciare ad una gamba importante come il nome del vitigno, perché ben pochi capirebbero il cambio o sarebbero interessati a capirlo.

Inoltre quali sbocchi può cercare una denominazione che certifica annualmente 30.000 ettolitri di vino e ne commercializza meno di 20.000, di cui solo una minima parte a prezzi da vino di pregio?

Durante il convegno ho sentito parlare di Cina, Giappone, Russia, mentre secondo me si dovrebbe parlare di Verona, Milano, Roma, Vienna o Monaco di Baviera al massimo. È inutile pensare a cosa c’è oltre il fiume se non riesci nemmeno ad arrivare al ponte. Non per niente tutti questi piccoli produttori da qualche anno stanno producendo altri vini, bianchi o spumanti, perché bene o male bisogna campare.

Parlo di campare, ma la mia paura è che se non cambierà qualcosa, piano piano il Teroldego Rotaliano di qualità andrà a morire.

Per chiudere voglio  citare una  bellissima frase  di Attilio Scienza, che ha presieduto il convegno, e che si attaglia perfettamente a quanto scritto: “In un mondo in cui si parla di globalizzazione, di trasformare e inglobare le periferie del mondo, ricordatevi che i piccoli sono, saranno e rimarranno sempre la periferia mentre i grandi sono, saranno e rimarrano sempre il centro”.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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