Guida vini. Montefalco Rosso e Montefalco Sagrantino: quando “moderno” e “arcaico” convivono bene4 min read

Andare a degustare a  Montefalco vuol dire rendersi conto che sotto lo stesso meraviglioso “ombrello” delle colline umbre  convivono un vino moderno e un vino arcaico, il Montefalco Rosso e il Montefalco Sagrantino. Vogliamo precisare che il termine arcaico non è per niente offensivo nei riguardi del Sagrantino ma solo evocativo, perché ricorda un periodo, alla fine non molto lontano, in cui i tannini erano una merce importante, di cui si doveva tener conto. Come del resto il termine “moderno” ha indubbiamente molti pregi ma spesso nasconde qualche problemuccio, perché la modernità non è sempre e solo positiva.

La campagna umbra vista da Montefalco.

Ma vediamo di far capire meglio quello che abbiamo appreso negli assaggi fatti al Consorzio Vini Montefalco (che ringraziamo!), partendo dal vino moderno, il Montefalco Rosso.

Questo è un vino che crediamo sia nato non solo per affiancare il Sagrantino ma per provare a spianargli la strada verso il mercato. Poi le cose sono cambiate e il principino ha spodestato il sovrano nelle vendite e quindi nel cuore pulsante, quello economico, della denominazione.

Assaggiandone un bel numero abbiamo anche capito perché: siamo di fronte ad un uvaggio in cui il sagrantino è nettamente minoritario, con invece il sangiovese che comanda e altre uve, dal merlot alla barbera al montepulciano, che hanno il ruolo di damigelle d’onore. Questo porta il Montefalco Rosso ad essere un rosso giovane di media struttura e ogni anno che passa ci sembra sempre più un ottimo vino, che riesce ad unire aromaticità importanti con un buon corpo. Un bel vino moderno, adatto a molti piatti e con buone possibilità di invecchiamento, quest’ultime però non è che siano fondamentali perché molti produttori lo considerano spesso l’opposto, cioè un rosso con buone possibilità d’invecchiamento che può essere bevuto anche giovane.

Qui secondo noi sta il problema: invece di puntare su un rosso da bere nei primi 3-4 anni di vita si pensa di “sagrantinizzarlo” e portarlo così verso l’invecchiamento. Nei nostri assaggi abbiamo apprezzato tantissimo la parte aromatica e l’equilibrio tra corpo, freschezza e parte tannica del vino e secondo noi questo è il vero punto di forza del vino, non tanto le eventuali (e possibili) caratteristiche di invecchiamento. Per questo quando si parla di Montefalco Rosso Riserva, anche se ce ne sono di molto buoni, a noi sembra che si tocchi il concetto di lesa maestà nei confronti del Sagrantino e di confusione per quanto riguarda il mercato. In generale comunque la qualità dei Montefalco Rosso (riserva compresa) è indubbiamente alta  dato che oltre il 70% dei vini degustati ha superato gli 80 punti (che per noi, lo ripetiamo sempre, non sono pochi) e due sono arrivati tra i Vini Top.

Veniamo al “Sovrano arcaico” del territorio, a quel Montefalco Sagrantino che da anni si prova a far dimagrire (dal punto di vista tannico) senza cambiargli i principali connotati. Indubbiamente rispetto a 20 anni fa siamo di fronte ad un vino meno impegnativo e imponente,  ma soprattutto con una tannicità importante molto più rotonda. Anche qui la qualità media è alta ma occorre essere chiari: anche se dal punto di vista economico è un concetto difficile da far digerire ai bravi produttori locali, un buon Montefalco Sagrantino non si può godere appieno prima di almeno 6-8 anni dalla vendemmia. Berlo prima vuol dire non solo non percepire appieno le sue caratteristiche ma scambiare per difetti quelli che sono “arcaici” pregi, come una certa ruvidezza al palato. Siamo di fronte ad un grande vino, che giustamente va vestito con abiti moderni ma che non può e non deve perdere le sue importanti caratteristiche. Del resto essere tra vini che non si dovrebbero bere prima di almeno 6-8 anni lo pone di diritto accanto a prodotti come l’Amarone, il Taurasi e naturalmente a una sempre più piccola parte di Barolo e Brunello di Montalcino.

 Insomma gli assaggi di Montefalco Sagrantino, a noi che lo degustiamo e conosciamo da quasi 30 anni, non solo ci hanno soddisfatto ma ci hanno fatto capire che, pur sotto abiti più moderni, la sua anima, la sua potenza e pienezza è intatta e questo è un fattore molto positivo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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