Grands Jours de Bourgogne: un labirinto di godimento3 min read

Al terzo tentativo ce l’ho fatta! Ho ottenuto il nulla-osta famigliare per andare a Les Grands Jours de Bourgogne. Con il pass ben stretto in una mano, il libro di Gravina e Favaro nell’altra e l’invito alla cena di gala a Clos Vougeot ben nascosto nella piccola tracolla sotto la maglietta della salute, il rude e sanguigno sottoscritto è partito, con un gruppetto di amici alla volta del Regno della Seta.

 

Magari il termine  Eldorado (lo è sicuramente per i borgognoni!) calzerebbe più a pennello  per quella piccola striscia di terra, pardon di terroir, che va da Macon a Digione e che rimanda a enoici luoghi leggendari, talvolta forse solo immaginari e immaginati.

 

Ma se di fantasie e sogni si è nutrito il viaggio dalla Romagna alla Borgogna, di cruda realtà si è alimentato il soggiorno iniziando dall’albergo, privo non solo di bidet (meno pinot, più bidet era il nostro accorato grido quotidiano) ma anche di una porta di separazione dal bagni alla camera da letto, un inconveniente come potete immaginare, dai risvolti indicibili.

 

Sfilano lungo la strada 974 le insegne dei Domaines, i cui nomi cercano invano di attivare ricordi di letture recenti, note di degustazione di altri, rimasugli di studi giovanili che, ovviamente, mi fanno salivare più di un Blanc de Morgex. Avendo “bucato” i  Grands Jours per due volte, ho pensato ingenuamente che fosse una mossa astuta prenotare tutti gli eventi previsti dal programma. Attacco dunque, gasato come una Perrier, e martedì do il via alla grande bouffe. Programma del giorno: Joyaux en Cote de Nuits per colazione, Vosne Millesime-Noblesse des Clos Vougeot per pranzo, da Chambolle a Morey è lo spuntino pomeridiano e Nuits-Saint-Georges et ses Climats per cena. Butto un occhio al taccuino modello enciclopedia britannica della giornata e registro che ci saranno all’incirca 400/500 vini da assaggiare, suddivisi in quattro differenti location ove si degusta dalle 9 alle 17.

 

Entriamo nella sala della Mason de Marsannay e non posso fare a meno di pormi la domanda del secolo: come potrò anche solo far finta di capirci qualcosa e diventare il capo del nostro piccolo gruppetto? Impresa impossibile, anche organizzando gimkane tra i banchetti! Il tempo basta appena per qualche assaggio random che già bisogna pensare alla navetta per la prossima tappa.

 

Ma l’ostacolo più difficile da superare non è tanto quello di farsi largo per assaggiare dal produttore scelto “lombrosianamente”, quanto quello di trovare una sputacchiera libera. Il rischio che altri, nella tua stessa condizione, incidentalmente “spittino” nel tuo bicchiere mentre cerchi di vuotarlo, è altissimo. Ma è al Clos de Vougeot che ho battuto ogni record di ritenzione borgognona: davanti all’affollatissima postazione di Cecile Tremblay ho resistito 2 minuti e 25 secondi prima di arrendermi alla necessità di dover ingoiare il Vosne-Romanee Vieilles Vignes 2012. Ad un certo punto, a causa del ripetersi di questi episodi di deglutizione forzata, ho avuto la netta impressione di trovarmi nel bel mezzo di un suicidio di massa, o di una colossale orgia satanica mentre invece ero nel paradiso.

 

Ma l’ho capito solo la sera della cena di gala, e prima di entrare nel salone vero e proprio cosa mi va a capitare? Un anticipo di paradiso palesatosi sotto forma di copiosi assaggi di 36 Grand Crù, equamente divisi tra bianchi e rossi. Più o meno è andata avanti così per tutti e tre i giorni e da sopravvissuto, a distanza di giorni, mi chiedo come io abbia potuto anche solo ipotizzare di potermi districare tra Climats, Crù e Domaine.

 

Ritorno a casa sgasato come la Perrier aperta da un mese, con la netta sensazione di aver capito poco o nulla ma con tre carnet pieni zeppi di appunti utili per la prossima volta; perché una cosa è sicura,  ai  Grands Jours ci ritornerò, ma solo per bere a sbafo un sacco di vini dai prezzi proibitivi, alla faccia della cuginanza franzosa.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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