Galeotta fu la cena4 min read

E’ una bella storia da raccontare: c’è dentro enogastronomia di qualità, solidarietà, e tanta voglia di riscatto da parte di chi è partito con il piede sbagliato ed è alla ricerca di una seconda possibilità.

Tutto si svolge all’interno del carcere di Volterra e l’occasione è data dalla manifestazione “Cene Galeotte”, giunta alla tredicesima edizione. E’ un progetto ideato dalla direzione della Casa di Reclusione di Volterra e realizzato in collaborazione con Unicoop Firenze e la Fondazione Il Cuore Si Scioglie Onlus che dal 2006 fa della struttura toscana non solo un luogo unico di integrazione e solidarietà, ma anche un punto di riferimento per tanti altri Istituti italiani che propongono oggi analoghi percorsi rieducativi.

Il successo viene confermato dai numeri: oltre 1.000 partecipanti la scorsa edizione e più di 16.000 dall’esordio di un’iniziativa che propone ai detenuti un percorso formativo attraverso cene mensili aperte al pubblico e realizzate con il supporto, a titolo assolutamente gratuito, di chef professionisti.

La natura solidale delle cene galeotte risiede nel fatto che il ricavato di ogni serata è interamente devoluto dalla Fondazione il Cuore si scioglie Onlus (www.ilcuoresiscioglie.it) per progetti di beneficenza realizzati in collaborazione con il mondo del volontariato. Questa edizione in particolare andrà a sostenere organizzazioni onlus e iniziative di solidarietà di respiro nazionale ed internazionale dedicate al mondo dell’infanzia.

Il ricavato della cena del 5 aprile scorso è andato a sostegno della terapia ricreativa di Dynamo Camp, una Onlus che offre gratuitamente a bambini con gravi patologie gravi e croniche momenti di svago e divertimento: una vera vacanza concepita per ridare loro ciò che la malattia ha tolto, per ritrovare la fiducia nelle proprie capacità.

Di particolare interesse poi l’aspetto enogastronomico: la cena era curata dello chef Fabio Barbaglini del ristorante “La Menagère”, un concept-restaurant – in buona sostanza un spazio multifunzionale dove oltre al ristorante ci sono anche altre attività, nella fattispecie un fioraio e un negozio di oggetti da arredamento – situato nel centro di Firenze.

Un ottimo menu che ha esaltato la sapienza dello chef, tenuto conto anche e soprattutto di alcune difficoltà logistiche: l’aperitivo è stato servito all’aperto, ed il fatto di essere praticamente al buio ha consentito ai partecipanti di esercitare l’olfatto e il gusto facendo giocoforza a meno della vista. E ciò lo ha fatto apprezzare ancor di più giocando ad intuire l’ottimo crudo di vitella con senape e paprica dolce, il baccalà mantecato, o il suadente filetto di maiale cotto al rosa con salsa di scalogno e rafano fresco.

La cena si è poi svolta nella ex chiesa, peraltro ad un centinaio di metri dalle cucine, ma ciò non ha impedito di apprezzare l’alta qualità dei piatti serviti. Piatti, come ha ricordato lo stesso Barbaglini, in qualche modo dedicati a famosi chef italiani.

Ecco quindi l’ottimo risotto mantecato intitolato a Nino Bergese, conosciuto anche come “il cuoco dei re, il re dei cuochi” e che, a proposito di risotto, ha lavorato anche per i conti Arborio Mella di Sant’Elia (anche se non è da ricercarsi qui l’origine del nome del riso), cerimonieri di Casa Savoia. Al risotto è’ seguito il Pollo alla Kiev, piatto di ovvia origine russa e rivisitato negli anni ’60 da Gualtiero Marchesi. Altra pregevolezza l’orata in una riduzione di vino rosso, ricetta questa rielaborata dall’indimenticato Angelo Paracucchi.

Dulcis in fundo, difficile anch’essa da dimenticare, una torta sabbiosa con crema di mascarpone (la leggenda narra che si chiama così perché la ricetta sarebbe stata trovata abbandonata in una bottiglia tra le sabbie del Po).

Interessanti anche i vini in degustazione della Tenuta di Valgiano in  Lucchesia, serviti dai sommelier della delegazione storica della Fisar di Volterra. Non erano abbinamenti facili per i piatti appena descritti, ma prima il bianco “Palistorti 2017” (prevalente vermentino, poi trebbiano, malvasia e grechetto), seguito dal “Palistorti rosso 2016” (70% Sangiovese, poi Merlot e Syrah) e con il gran finale dell’elegante – biodinamico – “Tenuta di Valgiano rosso 2015” (60% Sangiovese, poi Syrah e Merlot), hanno accompagnato degnamente la cena.

L’evento della Cena Galeotta è un momento vissuto con grande coinvolgimento da parte dei detenuti, che grazie al lavoro di sala e cucina acquisiscono un vero e proprio bagaglio professionale. La loro professionalità l’abbiamo toccata con mano, perché tutto il personale che ha preparato e servito la cena (chef e sommelier esclusi) è composto da carcerati. Doveroso allora chiedere ad uno di loro un commento su questa esperienza, le sue sensazioni, le emozioni ecc., ma la prima risposta è alquanto disarmante: “Dopo cinque anni ho rivisto le stelle!” (e non sono quelle Michelin).

In ogni caso giova ricordare che per oltre trenta detenuti questa esperienza si è tradotta in impiego presso ristoranti e strutture esterne, grande opportunità quindi per il fine pena.

E’ stata infine una bella cena anche per un altro motivo: in carcere non si portano i telefoni cellulari, si lasciano quando si entra e si riprendono quando si va via. Non si sono registrate eccessive crisi di astinenza da whatsapp, finalmente niente teste abbassate alla ricerca degli ultimi post, tutti a parlare a testa alta riscoprendo con piacere la vera convivialità. Ci voleva la galera per capirlo?

 

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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