Ci sono progetti che nascono da un sogno, e altri che nascono da un bisogno più profondo: quello di tornare alle proprie radici. Feudo del Balio appartiene alla seconda categoria. È la storia di tre uomini — Giuseppe Rando, Giuseppe Perniciaro e Mario Papotto — che hanno scelto di costruire qualcosa di autentico nella loro terra, la Sicilia, senza compromessi, partendo dal rispetto per la natura e dalla consapevolezza che la qualità non si improvvisa.
L’avventura comincia a Trapani, nel cuore della Sicilia occidentale, dove le colline dolci e ventilate si affacciano sul mare e la luce sembra più viva che altrove. È qui che prende forma un progetto “artigianale ma ambizioso”, come amano definirlo i fondatori: una cantina urbana che dialoga con la città e con il territorio, capace di raccontare la Sicilia contemporanea con vini puliti, eleganti e di forte identità.
Al centro dell’azienda sorge una torre di avvistamento del XVI secolo, un tempo presidio di difesa costiera e oggi simbolo di rinascita. Restaurata e pronta a diventare, entro il 2026, il punto d’accoglienza e degustazione del Feudo, la torre racchiude in sé l’anima del progetto: tutela del bello, rispetto dell’ambiente e valorizzazione paesaggistica. È un luogo che rappresenta perfettamente la filosofia aziendale — custodire la memoria del territorio per trasformarla in futuro.

La voce dei produttori
«La nostra è una piccola produzione, in un territorio particolarmente vocato alla viticoltura da secoli, quello della Sicilia occidentale, in provincia di Trapani» raccontano Rando, Perniciaro e Papotto. «Qui non c’è nulla da stravolgere: basta rispettare ciò che la natura offre in modo meraviglioso. Il compito del viticoltore è proteggere la vigna e preservarla, anche a costo di perdere quantità. Le nostre bottiglie, poche e numerate, sono frutto di impegno, dedizione e rispetto. Lavoriamo in regime biologico e favoriamo la biodiversità tra le viti, perché il vino deve essere il risultato di un equilibrio naturale e non di un artificio.»
Un messaggio chiaro, che si traduce in un approccio produttivo coerente: poche etichette, rese basse, grande attenzione alla materia prima e una gestione in vigna e in cantina che mette al centro la sostenibilità e la verità del territorio.
I vigneti: tra mare e vulcano
Oggi Feudo del Balio si estende su 26 ettari complessivi, di cui 22 tra Paceco e Fulgatore, nel Trapanese, e 4 sull’Etna, tra contrada Fornazzo e Caselle. Due terroir lontani ma complementari, due espressioni dell’isola che si guardano da opposti versanti.
Nella Sicilia occidentale, i suoli sabbiosi e calcarei e la costante brezza marina regalano vini dalla spiccata salinità e luminosità aromatica. Qui crescono Catarratto, Grillo, Zibibbo, Nero d’Avola e Frappato, insieme a una preziosa vigna trentennale di Syrah in contrada Sorìa, testimonianza viva di un legame profondo con la tradizione trapanese.

Sull’Etna, invece, tutto cambia. A Milo, in contrada Fornazzo e Caselle, i vigneti si arrampicano tra i 700 e gli 800 metri di quota, su terreni vulcanici ricchi di sabbie nere e minerali. Qui regnano Carricante e Nerello Mascalese, vitigni che danno vita a vini tesi, minerali, di grande profondità, capaci di raccontare il lato più verticale e vibrante della Sicilia.
Questo dialogo tra Occidente e Oriente, tra il mare e il vulcano, è la cifra distintiva di Feudo del Balio. Come spiegano i fondatori: «Sul versante orientale dell’isola, la tenuta di Milo sull’Etna amplia la nostra visione: un ponte ideale tra due terre straordinarie».
A guidare la parte enologica di Feudo del Balio è Stefano Chioccioli, professionista di grande esperienza e sensibilità, che accompagna l’azienda nel suo percorso di crescita con una visione limpida e coerente. La sua mano si percepisce nella precisione stilistica e nella chiarezza espressiva dei vini: etichette che non cercano effetti speciali, ma raccontano con sincerità il territorio da cui nascono.
Due, a mio giudizio, i vini più rappresentativi:
L’Etna Bianco “Pietrarsa” 2024 è il volto elegante del vulcano: un Carricante in purezza che profuma di agrumi e fiori bianchi, con una vena minerale che ricorda la pietra bagnata e la cenere leggera dopo la pioggia. Al palato è teso, vibrante, scandito da una freschezza che non cede mai alla morbidezza. È un vino che parla sottovoce, ma lascia un’eco lunga e salina, come una brezza che risale dai crateri.

Il Nero d’Avola “Torremurata” 2022, invece, racconta la parte più mediterranea e solare della Sicilia occidentale. Rubino profondo, al naso intreccia ciliegia matura, prugna e note di macchia mediterranea, mentre al gusto rivela una trama setosa, ampia, sostenuta da tannini fini e da una scia sapida che rimanda al mare vicino. È un vino che abbraccia e accarezza, capace di coniugare struttura e delicatezza, calore e misura grazie anche ad un sapiente affinamento in anfora.
Il futuro si chiama territorialità, ma anche connessione: Trapani e Milo, il mare e il vulcano, la sabbia e la lava. Due mondi che Feudo del Balio unisce nel segno del rispetto, della sostenibilità e dell’amicizia.
Perché, come raccontano i fondatori, tutto è cominciato da una frase semplice: “Guarda quelle vigne… vedi quello che vedo io?”
Oggi, in quelle vigne, si vede chiaramente un pezzo del futuro del vino siciliano: autentico, sostenibile, e profondamente legato alla sua terra.
