En Magnum, n. 27: Barolo e quei “poveracci” di Saint Emilion6 min read

Un grande Decanter a forma di campana, ispirata a quella d’oro che decora l’etichetta del grand vin dello Château Angélus , che subito ne ha ordinato un grosso lotto firmato Angélus, è l’immagine della copertina di questo numero speciale ampiamente dedicato a Saint-Émilion e ai suoi vini. Poche le “enclaves” riferite ad altri territori: la prima è un bel servizio fotografico, rigorosamente in bianco e nero, dedicato alle vigne del Douro, l’altra al grande rosso piemontese, il Barolo, sempre più nel cuore dei francesi.

Tutto il resto, invece , è per  Saint-Emilion, che fagocita anche la consueta puntata di “Têtes de Cuvée”, la consueta galleria di foto dei personaggi celebri del vino, e quella delle magnum di En Magnum. I servizi che la rivista dedica alla celebrazione di questo grande territorio bordolese, appena uscita dalle polemiche del nuovo classement del 2022, sono numerosi.

Si comincia  con l’ampio report di Louis Victor Charvet , dal titolo significativo de “Il tunnel e la luce”, nel quale si ricostruiscono gli anni dei grandi cambiamenti e delle lacerazioni generate dalle vicende degli ultimi due classements.  Un articolo  che potrei definire didattico di Bettane e Desseauve  sui diversi terroirs di Saint-Émilion, l’ampia intervista a Hubert de Boüard, proprietario dello Château Angélus , mai così attaccato da tutte le parti, e tre degustazioni “orientate”.

La prima, raccontata da Desseauve, dal titolo “Défilé di stili”, volta a rappresentare i diversi stili degli Châteaux  di vertice di Saint-Émilion, un’altra, curata da Bettane su “L’ingresso nella grande gamma”, riguardante i vini che non fanno parte dell’élite, ma che sono più interessanti per gli amatori. La terza, infine, è la nuova puntata dell’Amarcord di Bettane, dedicato ai Saint-Émilion “della mia vita”.

A conclusione di questo ampio Dossier Saint-Émilion é l’articolo di Pascale Cassagnes dedicato al delizioso borgo di Saint-Émilion e alle sue grandi tavole. Consulente di eccezione è François Despagne, proprietario dello Château Grand-Corbin Despagne e attuale Presidente dell’Associazione dei Grands Crus Classés di Saint-Émilion, con le sue dritte.

Non essendo possibile rendere conto di tutta questa enorme materia, ho scelto di concentrami su due di essi: l’analisi dei terroirs di Saint-Émilion fatta dalla inossidabile coppia  Bettane-Desseauve, e l’ omaggio al Piemonte  di Gilles Durand-Daguin, che fornisce alcune informazioni su come la Francia interpreta questo territorio e come esso  sia riuscito a far breccia nella diffidenza verso i vini del nostro paese, giudicati sempre buoni vini, ma mai grandi.

Comincerò da quest’ultimo. La luna di miele col Barolo in Francia è ancora timida ma crescerà. Intanto per i produttori è già motivo di soddisfazione essere approdati in questo paese. La reputazione dei suoi vini è comunque già molto alta tra gli appassionati che sottolineano le somiglianze delle Langhe con la Borgogna. Pur essendovi altre varietà, sia la Borgogna che il Piemonte ne hanno una nettamente egemone: il pinot noir da una parte, il nebbiolo dall’altra. L’una e l’altra regione sono fortemente contadine nelle quali  un tempo si  praticava la policoltura. La tradizione barolista basata sull’assemblage di uve di diversi terroirs ha trovato uno sviluppo analogo a quello borgognone nella crescente ricerca delle specificità comunali e dei diversi crus, ora riportati sempre più spesso nella denominazione dei vini. La principale differenza tra le due regioni, per l’autore, è- o meglio era- la maggiore rusticità del nebbiolo, accentuata dalla difficoltà a raggiungere una maturazione ottimale, sicché tra gli anni 50 e ’80 erano relativamente pochi i millesimi veramente grandi.

Il riscaldamento ha ora cambiato abbondantemente le cose e i Barolo e i Barbaresco, almeno quelli di cantine come  Giacomo Conterno e Angelo Gaja   hanno cominciato ad essere conosciuti e inseriti nelle grandi carte dei ristoranti francesi. Poi il duello tra tradizionalisti e innovatori ha contribuito a rendere i grandi langhigiani più internazionali e ora i produttori che esportano quantitativi sempre più importanti sono molti di più. Durand-Daguin si sofferma su quattro di essi, delineandone un breve ritratto: Giacomo Conterno, col suo Monfortino porta-bandiera, Angelo Gaja, l’uomo che ha cambiato tutto, Bartolo Mascarello, il guardiano della tradizione, e Roberto Voerzio, l’osservatore.

Saint-Éimilion, con oltre 5.300 ettari,  è la più grande delle due appellation più famose del Libournais . Pomerol , con 800 ettari, è assai più piccola, poi ci sono i satelliti dell’una e dell’altra. E’ anche assai più varia di Pomerol, costituita quasi interamente da ghaie e argilla, con il merlot unico o assolutamente dominante protagonista. I suoi suoli possono variare enormemente da una zona all’altra  e anche l’”encèpement” prevede un contributo non da semplice comprimario del cabernet franc.

Come suddividere il terroir di Saint-Émilion? La Revue du Vin de France e En Magnum hanno adottato dei criteri di organizzazione molto diversi che mi limito a confrontare rapidamente. Mentre la RVF  ha adottato una suddivisione in sette aree diverse, basandola su un criterio principalmente geografico,   muovendosi dal lato ovest,  confinante con Pomerol , a est, in direzione della Côte de Castillon, Bettane e Desseauve su En Magnum hanno preferito un criterio più sintetico, che prevede al centro il Plateau storico , comprendente  il  lato nord-occidentale del plateau storico, chiamato dalla RVF silicioso-argilloso, il più vicino a Pomerol, di cui condivide alcune caratteristiche  dei suoli, ma anche quello di sud-ovest con annessa porzione della Côte adiacente.

A parte poi sono il territorio più ampio e assai più eterogeneo delle Côtes , che la RVF distingue in quattro diversi settori, ciascuno denominato in base alla loro posizione rispetto ai punti cardinali  (nord, ovest,sud ed est), e infine le aree minori, situate a sud e a nord-est della C te. Ovviamente anche i raggruppamenti degli Châteaux principali  ne risultano fortemente differenziati.

Posto che i Premiers Grands crus classés A e B risultano principalmente situati sul Plateau storico, e quindi tutti insieme o la maggior parte di essi nel primo grande settore distinto da Bettane e Desseauve, nello schema della RVF risultano distribuiti  tra il lato nord-ovest (Figeac e Cheval Blanc) e il lato  sud-ovest  (Ausone, Angélus,  Fourtet, Canon, Beauséjour Duffau-Lagarrosse, Beauséjour -Bécot, Belair-Monange,).  E Pavie? E’ collocato dalla RVF nella Côte sud e da En Magnum nella vasta area delle Côtes. Infine, per non lasciare il lettore con la curiosità, i Saint-Émilion “della vita”di Bettane   sono ugualmente distribuiti tra gli ultimi due secoli : nel Novecento, 1929 Pavie, 1945 Larcis-Ducasse, 1952 La Gaffelière, 1966 Canon, 1977 Tertre-Roeteboeuf, 1982 Figeac ,  e nel secolo attuale, a parte il 2009 di Larcis-Ducasse, concentrati nei tre grandi millesimi 2018 (Valandraud), 2019 (Cheval Blanc e Pavie, 2020 Canon e Trottevieille). A parte è Ausone: per Bettane sono indimenticabili l’annata 1964 e tutte quelle dal 1985 al oggi.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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