Il mondo della ristorazione italiana è estremamente vario, esistono migliaia di locali “rassicuranti”, che fanno una cucina classica, più o meno territoriale, senza particolare fantasia ma solidamente ancorata al concetto di piatti saporiti e abbondanti, perfetti per le tante persone che a tavola vogliono riempirsi lo stomaco senza cercare particolari emozioni, sensibili più alla sopravvivenza (fame) che alla cultura.
Piatti che spesso si ripetono come un capo d’abbigliamento, soprattutto nelle piccole località dove trovi lo stesso tiramisù, le stesse pappardelle al ragù di cinghiale, lo stesso abbacchio alla scottadito, qualcuno più buono qualcuno meno.
È il regno di Trip Advisor, dove tutti giudicano liberamente a prescindere dalle loro capacità di lettura di ciò che si trovano nel piatto, spesso creando seri problemi a ristoratori che hanno avuto la sola sfortuna di trovarsi loro malgrado inseriti in questo circo mediatico senza regole.
Ovviamente non è tutto così, ma provate a cercare i ristoranti segnalati in una zona specifica e troverete che i “migliori” sono spesso i più dozzinali, quelli dove vedi foto pietose di piatti che a casa faresti cento volte meglio, o forse non faresti affatto, mentre quelli che ci hanno messo anni di studi ed esperienze per fare una cucina di qualità dove la materia prima è lavorata in modo ottimale, si trovano valutati molto più in basso, con la critica di piatti incomprensibili, scarsi e prezzi troppo alti.

Ma la ristorazione di qualità grazie a Dio c’è, la possiamo trovare sia in una trattoria di uno dei tanti borghi del nostro amato Paese, sia in locali più raffinati, magari stellati o in odore di stella.
Nel centro Italia, ad esempio, ci sono locali dove il godimento non è solo di pancia ma coinvolge tutti i sensi, come alla Trattoria del Cimino a Caprarola (VT), Da Gregorio a Morrano Nuovo (TR) o da Essenza Trattoria Moderna a Monterotondo (RM), da Antico Mulino a San Felice Circeo (LT), esempi in cui si va ben oltre i soliti piatti, si punta alla qualità delle materie prime, a una cucina radicata nel territorio ma non succube di tradizioni intoccabili, dove la creatività è legata a ricerca e studio, niente improvvisazione ma accostamenti meditati, che toccano corde ben più profonde e impongono una maggiore attenzione ad ogni assaggio.
Giorni fa, approfittando di una gita sul Lago di Bolsena, sono stato da Pepe Nero a Capodimonte, il ristorante di Salvo Cravero, a mio avviso un punto di riferimento nel territorio della Tuscia viterbese, che guarda caso su Trip Advisor è uno di quelli totalmente sottovalutati, e come mi aspettavo è stata una bellissima esperienza.
Salvo, molisano classe 1977, ha oltre trent’anni di carriera come chef, ha studiato presso l’Ipsar Alberghiero di Termoli, ha fatto le sue prime esperienze come aiuto cuoco in vari locali e poi nel 1998 si è trasferito a Viterbo iniziando a lavorare presso il Grand Hotel Salus.
Come spesso accade, l’incontro con la donna della sua vita, Sara, è determinante nel dare una svolta al suo percorso di chef.

Fa esperienze allo stellato Sans Souci e a L’Antico Bottaro a Roma, partecipa a numerosi corsi di approfondimento, entra nella mitica associazione Euro Toques fondata da Gualtiero Marchesi, dove il contatto con chef internazionali gli ha permesso di ampliare le sue conoscenze e, finalmente, con Sara apre il suo primo ristorante a Vetralla (VT), L’Etoile, che lo porta a importanti successi nelle guide di settore e a una sempre maggiore notorietà televisiva. Nel 2018, insieme a Joe Bastianich, cura i menu per la prima classe “Magnifica” dell’Alitalia (sigh!) e poi per l’ITA Airways.
Ma le sue esperienze abbracciano vari ambiti, come quella con la famiglia Masciarelli al Castello di Semivicoli, dove cucinava pensando ai migliori abbinamenti possibili con i loro vini.
Da alcuni anni Salvo Cravero insegna, ha nel cuore l’esigenza di trasmettere tutta la sua conoscenza alle giovani promesse della cucina italiana, lo ha fatto da Boscolo Etoile Academy e Coquisdei fratelli Troiani e collaborando tutt’ora con la Gambero Rosso Academy, dove contribuisce nel formare nuovi talenti. Inoltre conduce corsi di caseificazione, da grande appassionato di formaggi, tanto da avere una piccola produzione con al centro il caprino a latte crudo, frutto di una collaborazione con un amico allevatore. Infine, perché la cucina è un campo vastissimo, complesso e articolato, dal 2020 ha dato vita ai “Corsi arte bianca”, su pizza, pane e lievitati, rivolti a professionisti e appassionati.

La cucina odierna di Salvo Cravero, a mio avviso, mette al centro le materie prime, selezionate ove possibile sul territorio locale, con un equilibrio ottimale negli accostamenti e nella presentazione, inutile realizzare impalcature che rendono quasi impossibile l’utilizzo delle posate, pena un crollo rovinoso, tradizione e modernità con gusto, in ogni portata. I sapori sono veri, diretti, mai prepotenti ma capaci di indurre tra profumi e sapori un senso di completezza, freschezza e profondità.
Il menu prevede due percorsi di degustazione: “Radici e alchimie” (4 portate a 65 euro o 6 portate a 80 euro) e “Il viaggio del gusto” (4 portate a scelta ad eccezione del “Nudo e crudo”, a 65 euro); alla carta c’è un’offerta ponderata, direi perfetta, non troppe portate ma neanche poche, infatti abbiamo 5 possibili antipasti, 5 primi, 4 secondi, 3 contorni e 5 dessert (compreso un piatto di formaggi caprino, vaccino e pecorino).
Essendo in due abbiamo potuto ordinare cose diverse, ma prima abbiamo apprezzato il pane fatto con lievito naturale e grani selezionati, abbinato ad un ottimo olio EVO da monocultivar caninese. La qualità del pane era evidente: cottura perfetta, croccante fuori, mollica tenera, giusta umidità e sapore fine e persistente, nessun segno di acidità (il lievito madre tende a produrla naturalmente per la presenza di batteri lattici e lieviti).
Tra gli antipasti abbiamo scelto “L’Astice e l’orto”, ovvero una diversa interpretazione dell’astice alla catalana, con astice al vapore, cipolla rossa in osmosi, olive taggiasche, verdure di stagione, erbe, pomodorini e maionese allo zenzero: un piatto freschissimo, estivo, dai mille profumi dove l’astice esprimeva una carne tenera e saporita.
Il secondo antipasto era “Mare & fumo”: cappesante provenienti da Hokkaidō, molto diverse per consistenza e sapore, affumicate con legni aromatici, guarnite con spuma di peperoni rossi alla brace, olio al basilico e popcorn di maiale, piatto che mi ha colpito per eleganza degli accostamenti e una tenerezza e ricchezza di sapore della cappasanta davvero emozionante.
Come primi abbiamo scelto la “Marinara evoluta”, ovvero cavatelli con sugo di cozze alla marinara, albumi e semola, dressing di prezzemolo e polvere di limone nero (black lime), un piatto che ho apprezzato molto per consistenza, Salvo Cravero ha voluto esaltare l’importanza della masticazione come mezzo per far fondere i sapori in progressione, rivelandosi ad ogni morso, obiettivo perfettamente riuscito.
L’altro primo era “Assoluto di gambero ventiventicinque”, spaghettone artigianale, estratto di gambero rosso, battuto di gambero rosso, foglie di maggiorana fresche, e olio al peperoncino habanero; un piatto il cui “sugo” non era ottenuto da pomodoro ma dalla lavorazione stessa del gambero. Spaghettone cotto alla perfezione, al dente ma non quasi crudo come a volte capita in certi ristoranti stellati, la leggera piccantezza dell’olio esaltava il sapore del gambero, notevole l’equilibrio dei sapori.
Come spesso accade, se partiamo dall’antipasto spesso dobbiamo scegliere o il primo o il secondo per ragioni di “capienza”, ma questa volta almeno un secondo lo abbiamo preso, ovvero la “Frittura d’autore” perché invece dai soliti calamari e gamberi, era composta di calamaretti spillo, lattarini, gamberi rosa, aromatizzati con paprika dolce, cipollotto, basilico, pepe rosa e lime. Ne è valsa la pena, frittura asciutta, gustosa, per nulla pesante, che abbiamo accompagnato con un’ottima “Giardiniera fatta in casa con verdure di stagione”.
Ad accompagnare quest’ottimo pranzo sulla riva del lago, un classico di Franz Haas, il Petit Manseng, classe 2023, un vino che ha saputo adattarsi perfettamente alle diverse portate, dal profumi intenso di frutta esotica, agrumi, erbe aromatiche e riverberi minerali. A proposito, la carta dei vini è ampia e comprende anche interessanti etichette internazionali.

Infine i due dessert: “Terra di Tuscia”, composta da streusel di nocciole (burro, farina, zucchero, nocciole, infornate e poi sbriciolate), ganache montata alla nocciola, olio EVO e miele, nocciola pralinata, terriccio di cacao, polvere di funghi, erbe spontanee, corteccia di nocciola, fiore di finocchio, mentuccia e spugna di finocchio. Una dimostrazione di quanto la pasticceria possa essere complessa e variegata, e proprio per questo nota dolente in molti ristoranti, che proprio per questo preferiscono i dolci più semplici e meno rischiosi. Questo era un trionfo di sapori, sentire balsamicità in un dolce del genere non è certo sensazione frequente, chapeau!
L’altro dolce, infine, si chiama “Salt Bae”, una sfera croccante di tiramisù con cuore liquido al caffè, crumble di cacao e cristalli di sale. E qui la citazione rivisitata del suggerimento di Humphrey Bogart a Woody Allen mentre tenta di conquistare Diane Keaton in “Provaci ancora, Sam” è d’obbligo: “in vita mia di tiramisù ne ho visti e mangiati tanti, ma questo è qualcosa di realmente diverso!”.