Parlando dei nostri assaggi di teroldego adesso non si può non iniziare da quanto giornali trentini e nazionali hanno presentato nei giorni scorsi e cioè la seria presa di posizione di tanti produttori di uve, teroldego in primis, rispetto alle politiche aziendali delle cooperative.
Pare che tutto è cominciato proprio dal Teroldego, che ai conferitori di una cantina sociale è stato pagato molto meno rispetto ad un’altra che si trova praticamente di fronte, scatenando le giuste ire dei primi. In realtà sono anni che noi presentiamo la situazione difficile di questa piccola ma importante denominazione di nemmeno 600 ettari, stretta non solo tra ripide cime trentine ma anche tra importanti cantine cooperative che quasi sempre puntano su altre uve e su altri vini e piccoli (e spesso giovani) produttori che cercano di emergere puntando sulla qualità del Teroldego

La situazione non è certo facile ma nonostante questo gli assaggi ci hanno mostrato una denominazione in crescita qualitativa ed evolutiva. La qualità lo dimostra il fatto che quasi il 75% dei vini ha ottenuto almeno 80 punti (lo sottolineiamo sempre, per noi non sono pochi!) e l’evoluzione si capisce dal fatto che le annate più recenti presentano vini molto più dinamici, freschi, con tannicità e “peso lordo” inferiore rispetto a quelli di annate precedenti, quando comunque la moda del “Teroldegone” era ancora presente.
A proposito di “Teroldegone”, di solito nei nostri assaggi vengono premiati più i vini cosiddetti base rispetto alle selezioni, ma quest’anno è accaduto l’opposto e questo vuol dire proprio che anche nei vini più importanti si comincia a ragionare di dinamicità, freschezza equilibrio, lasciando per fortuna in secondo piano alcolicità importante (non certo facile da evitare in diverse annate), concentrazioni eccessive e pesantezza tannica.

Aldilà della qualità c’è però da considerare un fattore importante, che non parla certo a favore della comunione di intenti: quest’anno su oltre 45 vini degustati quasi la metà sono fuori dalla DOC, presentandosi come Vigneti delle Dolomiti IGT. Se in passato qualche IGT poteva essere solo frutto dei vigneti fuori dalla Piana Rotaliana, una percentuale del genere vuol dire che la DOC non ha più abbastanza appeal e sappiamo bene che una DOC che funziona vuol dire quasi sempre coesione tra i produttori, mentre l’opposto spesso è foriero di problemi anche commerciali.
Questo non è un bel segnale che il mercato, purtroppo, recepisce. Ma quale mercato? Servirebbe infatti un mercato (Italia? Italia del nord? Germania? USA? Giappone?) preciso in cui i piccoli produttori e le cantine sociali decidono di investire. Fino a che non ci sarà comunità d’intenti, se non nel fare il vino almeno nel come e dove venderlo, il Teroldego Rotaliano crescerà in qualità ma tra le “mura di casa”.

La qualità raggiunta dal Teroldego, specialmente in una regione che punta quasi interamente su bollicine e bianchi, non può essere sprecata solo perché ben pochi la conoscono. Questo Silenzio degli innocenti (per parafrasare il titolo di un famoso film) che riguarda la promozione del Teroldego Rotaliano dovrebbe far sentire tutti, dal produttore più piccolo alla cooperativa più grande (non lasciando fuori il Consorzio Vini Trentini) un po’ colpevoli.