Degustazione Morellino di Scansano: ottimi “vini quotidiani” ma si può fare di più3 min read

Qualche giorno fa il caro amico e collega Fabio Rizzari ha scritto che in linea teorica un critico, di vini in particolare, deve mantenersi alla stessa distanza da ogni vino, cioè “è tenuto a mettere tra parentesi i suoi gusti e disgusti personali.”

Scrivendo del Morellino di Scansano non so quanto riuscirò a mantenere questa linea per alcuni motivi che vi elenco.

  • Al contrario di tanti altre denominazione pluriblasonate ma con vini da attendere o da bere con attenzione degna di un testo di filologia romanza, il Morellino di Scansano lo bevo spesso, con piacere e, se mi posso permettere, con goduriosa tranquillità.
  • Il territorio dove nasce non solo è di una bellezza rustica e solare, ma è anche (lo ammetto) un mio rifugio estivo quando sono costretto a frequentare per più di un giorno, pur bellissime località marine.
  • E’ una denominazione “in purgatorio” cioè una di quelle osannate per qualche anno e poi, senza un perché reale, buttata nel dimenticatoio enoico.
  • Riesce a dare un senso “maremmano” ad un vitigno da me non amato come il merlot, grazie ad un uso moderato, che affianca dei sangiovese recalcitranti o ancor più spesso dotati di spigoli ma non di corpo dandogli rotondità di beva.

E sulla facilità e rotondità di beva, in un momento in cui il sangiovese deve essere austero, verticale, dotato di freschezza più che di ciccia non corredata da muscoli indomiti , si gioca il grande misunderstanding del Morellino di Scansano.

Infatti si crede che in un territorio toscano così solare, dove il sangiovese impera, vicino a zone dove  la longevità di un vino si misura in decenni, produrre (soprattutto, ma non soltanto) vini rossi pronti, piacevoli, di buona struttra ma dal prezzo contenuto, sia chiaro segno di appartenere a una zona di serie B. Questa è una sonora bischerata!

Vediamo di capirci.

In Maremma si possono fare grandi rossi (da sangiovese e non solo) da grande invecchiamento, solo che riuscire a piazzarli, a un prezzo remunerativo, su un mercato dove oramai le posizioni sono quasi cristallizzate è difficilissimo. E’ quindi obbligatorio presentare sul mercato vini di buona struttura e spesso con ottime doti di armonia e freschezza, ma dotati di giovanile piacevolezza. Non vengono certo pagati quanto dovrebbero ma così si può continuare ad andare avanti.

Così i molti Morellino 2018 (e un buon numero di 2017) che abbiamo degustato al Consorzio di tutela e che ringraziamo per l’aiuto, pur figli di vendemmie difficili, hanno mostrato una qualità media di altissimo livello, cioè un corpo più che adeguato spesso affiancato da acidità equilibrata e sapidità impensata, e delle gamme aromatiche di buona complessità.  Il tutto, accoppiato a prezzi spesso molto bassi, li pone tra i vini top per rapporto qualità prezzo e non solo.

Però attenzione, e qui mi rivolgo ai produttori maremmani: capisco perfettamente che il mercato adesso vi richiede vini “rotondi e pronti” ma non dovete scordarvi che il territorio può e deve dare anche rossi da grande invecchiamento. Questi però non nascono solo macerando o estraendo di più per poi piazzare il tutto in legno piccolo per più tempo. In altre parole un grosso vino non è quasi mai un grande vino da invecchiamento.

Dico questo perché solo pochissime riserve ci hanno soddisfatto e i nostri migliori assaggi fanno parte comunque di modi di vedere il sangiovese che tecnicamente potrebbero tranquillamente essere riserva ma hanno scelto di non esserlo.

Quindi in zona la strada al “Morellino grande rosso” non passa attraverso una menzione ma una storia aziendale, una scelta e una ricerca che andrebbe conosciuta e valorizzata meglio.

Il problema del mio caro Morellino è tutto qui e può essere sintetizzato in poche parole “A forza di fare ottimi vini quotidiani va a finire che si sanno fare solo quelli”.

Oggi nel territorio  vi sono grandi possibilità per far convivere le due realtà e per permettere a entrambe di aiutarsi a vicenda: una facendo da traino alla seconda, questa portando un po’ più in alto i prezzi della prima.

Le possibilità ci sono.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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