Forse mai messaggio è stato più chiaro! La trentina di vini che abbiamo degustato, suddivisi quasi in parti uguali tra Orvieto Doc (tra questi inserisco di diritto i Civitella di Agliano IGT) e i vari Umbria IGT hanno dimostrato in maniera chiara a cosa possa servire una DOC, peraltro storica come questa.
Serve a mantenere una linea comune, a evitare “fughe aromatiche e gustative” verso vini più semplici e piacioni, a costo anche di dover sacrificare un po’ la gamma aromatica. In parole semplici serve a dare identità negli anni ad un territorio e anche se alcuni Orvieto non sono eccezionali sono comunque tipologicamente riconoscibili e i migliori hanno scelto la strada della profonda teritorialità, privilegiando non solo il grechetto ma anche un vitigno non certo adesso sugli scudi come il procanico.
Sull’altro fronte troviamo aromi magari anche intriganti, ma alla fine sono vini che spesso si esauriscono con bocche troppo rotonde e piacione, senza una grande freschezza e soprattutto senza poter essere accomunati (per fortuna…) alla storica finezza e incisività dei vini del territorio orvietano.
Bisogna anche ammettere che la Doc è piuttosto permissiva ma anche se si inseriscono uve come il sauvignon o lo chardonnay l’accoppiata grechetto-procanico (minimo 60%) riesce comunque a rendere “orvietano” il vino.
Veniamo ai vini degustati: ribadiamo che avrebbero bisogno di più tempo in bottiglia ma la 2020 si presenta già di buono/ottimo livello e sono convinto lo dimostrerà ampiamente con i Superiore che usciranno nei prossimi anni. Già adesso alcuni presentano un bel nerbo, nasi abbastanza aperti, fini e “un’austera piacevolezza”. I migliori dei nostri assaggi sono vini buoni adesso ma che potranno migliorare come minimo nei prossimi 5/10 anni.