Degustazione Barbaresco 2017: annata difficile ma ben superata3 min read

Non si può certo dire che la 2017 sia stata un’annata dove tutto è andato per il meglio: gelate, siccità, alte temperature estive hanno sicuramente portato le vigne e i produttori a sudare le proverbiali sette camicie (facciamo anche otto) per arrivare a dei buoni risultati.

Non per niente il mio amico Giancarlo Montaldo nel suo calendario delle annate del Barbaresco l’ha definita “Arida” e controllando il numero di bottiglie prodotte ci si accorge che bisogna scendere al 2006 (con circa 60 ettari in meno) per avere un numero più basso. Quindi annata sicuramente povera dal punto di vista quantitativo e, come detto, difficile per tutti i produttori che volevano (e volevano!) fare qualità.

Prima di parlare della qualità permettetemi però di parlare di prezzi, perché per fortuna si profila sempre di più la tendenza a mantenerli bassi o comunque a proporre un sempre molto interessante rapporto qualità prezzo. Molti Barbaresco stanno attorno ai 20-22 euro in enoteca, pochissimi superano la soglia dei 32-35 e questo è sicuramente un bel viatico per chi vuole investire in vini che possono essere dimenticati tranquillamente in cantina.

I 2017 fanno sicuramente parte di questi vini da dimenticare al fresco e al buio e non credo che l’annata complicata abbia inficiato più di tanto le loro possibilità di invecchiamento. Sicuramente ha messo a dura prova chi cercava di portare in cantina uve con componenti aromatiche ancora fresche e tannini dotati di buona maturità, ma oggi i produttoridi Langa (e non solo) hanno conoscenze che solo 10 anni fa erano quasi impensabili.

Per me adesso i Barbaresco 2017 i problemi li hanno alle spalle e il tempo non potrà che distenderli e renderli sempre più capaci di mostrare quella “ruvida grazia” di cui sono capaci.

L’assaggio, che si è svolto ai primi di novembre, ha presentato vini ancora molto concentrati e abbastanza rigidi, con gamme aromatiche spesso ancora sincopate, registri che puntavano molto sulle note del legno, in qualche caso con frutti piuttosto maturi e solo in pochi casi su sentori floreali .

Naturalmente qualcuno più e qualcuno meno, anche e soprattutto a causa della posizione e dell’esposizione del vigneto. Non possiamo infatti non notare che una buona parte dei  vini più interessanti provengono da zone abbastanza alte (spesso con esposizioni sud-sud-est, che nell’annata 2017 sembrano aver fatto spesso la differenza) dei tre principali comuni della denominazione. Treiso è il comune che più ne ha beneficiato, Barbaresco ha dato ottimi risultati soprattutto  in un cru storico abbastanza alto come Rabajà e anche a Neive i migliori risultati si sono avuti andando verso il Bricco di Neive, il punto più alto del comune.

Vigneti di Treiso

Oramai è chiaro che il cambiamento climatico sta un po’ rimescolando le carte in tavola, chiedendo ai produttori ancora più attenzione in vigna per adattarsi a situazioni difficilmente immaginabili venti anni fa.

Sotto questo punto di vista i 2017 si sono difesi più che bene e anche la “chiusura” trovata in diversi campioni non può che far ben sperare per il loro invecchiamento: mi sarei più impaurito li avessi trovati già maturi. Per questo, a parte pochi esempi, vi consigliamo di attendere almeno altri due-tre anni prima di cominciare a stapparli e, se proprio lo volete fare adesso, dategli un po’ di tempo per respirare.

Venerdì prossimo parleremo dei Barolo 2016 e come anticipazione vi diciamo che quest’anno siamo riusciti a degustarne quasi 250, facendoci un quadro sicuramente esaustivo. In chiusura non possiamo non ricordare che questo “quadro esaustivo” ce lo siamo potuto fare grazie al Consorzio Del Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani, che ogni anno raccoglie tonnellate (termine non scelto a caso) di bottiglie, ce le spedisce  e ci permette così di lavorare al meglio in attesa di poter tornare in Langa per i nostri assaggi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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