Dal Gavi al Gablis, ovvero come invecchia bene il Cortese.5 min read

Abbiamo fatto una cosa che non era mai stata fatta ed è andata molto bene! Questo è il succo delle due degustazioni (che mi risulti mai fatte prima) di vecchie annate di Gavi. Avete letto bene! Quel vino che la stampa specializzata e non (nonché la stragrande maggioranza degli stessi produttori locali……) considera adatto per un consumo immediato è stato convocato dal profondo delle cantine per due degustazioni che hanno dato il risultato che, modestamente, mi aspettavo.
Ma andiamo con calma! Dovendo assaggiare l’annata 2006 di Gavi mi è venuta in testa quella che una vecchia pubblicità tricologica avrebbe definito come “Idea meravigliosa!”. Ho quindi domandato al Consorzio del Gavi di chiedere ai produttori, oltre al vino del 2006, una o più loro vecchie annate. Non vi nascondo che i miei interlocutori avevano dei dubbi sulla risposta delle aziende, ma hanno comunque inoltrato la richiesta. Negli stessi giorni parlo del progetto con un mio carissimo amico, Maurizio Fava, Gaviese DOC (pardon Tassarolese…)che da sempre predica sulla longevità del Cortese. Non ci mette nemmeno tre secondi a dirmi che anche lui si impegnava a ricercare vecchie annate di una delle migliori e sicuramente misconosciute aziende locali: Nicola Bergaglio. Fino a qui la semina. Pochi giorni prima di partire per Gavi telefono sia al Consorzio sia a Maurizio e strabilio. Nel primo caso erano arrivati ben 44 campioni, fino al 1991 e dall’altra mi aspettava una verticale di Nicola Bergaglio sino al 1988!!!!!
“Il giorno delle vecchie annate” era fissato per martedì 7 agosto, la mattina al Consorzio e la sera al ristorante Il Moro a Capriata d’Orba.
Di buon’ora iniziamo la degustazione al consorzio, partendo dal 2005 e andando indietro nel tempo. Non vi nascondo che una certa tensione aleggiava nell’aria per poi, mentre andava avanti l’assaggio, trasformarsi in velata incredulità, divertito stupore ed alla fine in palese soddisfazione. Certo alcuni vini ( una sparuta minoranza) erano ossidati ed alcune annate avevano problemi (2003-2000 in primis) ma la stragrande maggioranza dei vini godeva di buona salute. Ma non finisce qui: alcuni campioni erano veramente eccezionali e soprattutto provenivano non da una o due aziende ma almeno da una decina. Le cito in ordine sparso: Sarotto Roberto, La Smilla, La Giustiniana, Castellari Bergaglio, Michele Chiarlo, Santa Seraffa, Villa Sparina, Broglia, La Chiara, Nicola Bergaglio ed ovviamente La Scolca. Quelli che mi sono rimasti più impressi: uno stratosferico per complessità e profondità  La Chiara 1991, un giovanissimo La Villa 1995 di Villa Sparina, una concreta e sapida Montessora 1998 della Giustiniana, un finissimo Broglia del 1994. Ma come non citare il Rovereto 1996 di Castellari Bergaglio o il D’antan 1997 della Scolca. Ora vorrei sapere quante zone italiane “in bianco” possono vantare una decina di aziende con vini che possono maturare e migliorare per quindici anni ed oltre. Mi fermo qui per non tediarvi e passo all’assaggio del pomeriggio, dove Maurizio mi ha fatto trovare una verticale completa di Nicola Bergaglio dal 2006 al 1995, con la chicca del 1988 e l’aggiunta di un 2000 della Cantina Produttori del Gavi e del D’antan 1991 (il primo prodotto!!) della Scolca. La grande finezza e complessità aromatica con profumi che partono dai fiori per spaziare sul balsamico ed arrivare alle famose note minerali, la lunghezza e freschezza al palato ben bilanciata dal corpo (tutte caratteristiche già uscite nei vini della mattina), si sono qui espresse a livelli quasi assoluti. In alcuni casi (2005-2000-1999-1998) ho pensato di avere nel bicchiere un grande Chablis (Valmur? Le Clos?) di Fèvre o di Dauvissat. E quello che ruminavo era nella mente anche degli altri fortunati partecipanti all’assaggio, primo fra tutti Davide Ferrarese che mi aveva dato man forte anche la mattina.
Riassumendo: mi sembra oramai palese che il Cortese è un grande vitigno bianco che senza grossi problemi si esprime in maniera compiuta almeno dopo 6-7 anni dalla vendemmia. Le sue terziarizzazioni ricordano da vicino i migliori Chablis ed in alcuni casi (scusate il campanilismo) li superano. Qui però nasce un grosso problema. A parte i soliti noti (La Scolca, Castellari Bergaglio, forse Broglia e pochi altri) nessun produttore crede – e lo dimostra tenendo da parte bottiglie e magari commercializzandole dopo anni –  nella longevità del Gavi. Diversi campioni, in particolare quelli di Nicola Bergaglio, sono stati racimolate tra fondi di magazzino, bottiglie da esposizione e via dicendo. La corsa a togliersi il vino di cantina, il più velocemente possibile e fino all’ultima bottiglia è la peggior cosa che un produttore locale possa fare, ma che regolarmente fa. E’ come vendere subito al mercato il piccolo anatroccolo perchè non si crede che possa diventare un bellissimo cigno.
Cari produttori: avete dei cigni meravigliosi nelle vostre cantine, basta aspettare che crescano!
Da parte sua il Consorzio potrebbe lanciare la proposta di una specie di “Gavi Riserva” (meglio Selezione o qualcosa di simile) che entri in commercio almeno 16 mesi dopo la vendemmia. Potrebbe essere il primo passo per far capire ai molti affetti da fregola di vendita che la gallina di domani può pagare  molto di più dell’ovetto di oggi.
Chiudo con due ringraziamenti: a Mauro Delfino, Direttore del Consorzio del Gavi ed a Maurizio Fava. Su queste due persone il territorio può e deve contare per crescere!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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