Da Biondi-Santi per capire il futuro gustando il passato6 min read

Ci sarebbero voluti meno di due giorni ai nuovi proprietari di Biondi Santi  per illustrare le strategie aziendali odierne e  future, ma per mia fortuna e di pochi altri giornalisti hanno pensato che era bene prenderla con calma.

Durante questi due giorni l’ amministratore delegato Giampiero Bertolini e l’enologo  Federico Radi hanno ribadito la volontà della proprietà di mantenere la medesima identità e riconoscibilità dei vini  di Biondi Santi, non snaturando quanto ricercato e voluto negli anni da Tancredi, da suo figlio Franco e dal nipote Jacopo.

Giampiero Bertolini

Per fare i vini non sono arrivate barrique e tonneau e non  arriveranno. Gli sforzi sono concentrati su una migliore conoscenza dei vigneti, con  scannerizzazioni profonde per capire da quale tipo di terreno prendono nutrimento le radici. Questo studio  ha portato ad una precisa mappatura dei vigneti, con una parcellizzazione di ogni vigneto in modo da vinificare ogni parcella separatamente,  conoscendo così le caratteristiche di ognuna e creando quindi uno storico di ogni parcella.

Hanno comunque ribadito che per le tre tipologie di vini  prodotti (Rosso, Brunello e Riserva)  verrà sempre seguito il classico metodo Biondi Santi, basato sull’anzianità  delle viti. In pratica nella Riserva andranno sempre i vini dalle vigne più vecchie e poi a scalare.

Altra importante novità è la prossima ristrutturazione e ampliamento della cantina, un progetto importante  che prevede tra l’altro anche la realizzazione di locali interrati in modo da impattare il meno possibile sull’ambiente circostante.

La parola d’ordine  “Non cambieremo niente!” ci è stata ripetuta in varie salse e c’è quindi da credere che la la proprietà francese, abbia la volontà di  mantenere immutato  il valore storico e tradizione del Brunello Biondi Santi.

Del resto si parla di storia vera, con i primi passi fatti da Clemente Santi il quale, con un vino a base di solo Sangiovese “vino rosso scelto (brunello)” (con la dicitura Brunello in minuscolo e tra parentesi) viene premiato ad un concorso del 1869 a Montepulciano. Da qui inizia l’epopea del Brunello di Montalcino.   La storia aziendale  continua con il nipote Ferruccio  Biondi Santi e con la mitica annata 1888:  a questo  succedono Tancredi, Franco e Jacopo.

Dal 18 dicembre 2016 si interrompe la conduzione Familiare dell’Azienda, in quanto diventa di proprietà del gruppo Francese EPI di proprietà di Christopher Descours, che ha in portafoglio tra le altre anche gli Champagne  Piper e Charles Heidsiek.

E proprio con uno Champagne Heidsiek , il Rare 2006, che inizia la nostra due giorni montalcinese. Come aperitivo non era certo male! Abbiamo continuato con una cena degustazione presso l’Osteria Perillà di Rocca d’Orcia. Ottimi piatti preparati dallo chef Marcello Corrado e il suo staff, proposti in una successione intrigante di sapori e contrasti. Come accompagnamento agli antipasti uno Champagne Rare 1998 in magnum, bella interpretazione dell’annata, champagne di carattere di bella beva.

Durante la cena sono stati degustati  quattro Brunello (Biondi Santi ovviamente) del 2004,2008,2010 e 2013,  l’annata adesso in commercio. Il 2004 è un vino in splendida forma, Il 2008 mi è sembrato un po’ bloccato sempre ben sorretto dalla classica fresca sapidità ma con persistenza in bocca inferire agli altri vini. Il 2010 è un degno rappresentante dell’annata a Montalcino, inizialmente scontroso e austero che al naso lesinava profumi ma che piano piano si aprivano su note fruttate e floreali: la bocca è granitica, verticale con un corpo importante. Vino di grande interesse che ha un bel futuro davanti, da bere con calma negli anni a venire. Il 2013 è un fanciullo: bocca che punta più su l’eleganza che sulla potenza, in perfetto stile Biondi Santi.  al momento non c’è l’equilibrio tra le varie componenti  e quindi è da tenere ancora nel fresco della cantina.

Lunedì mattina arriviamo al Greppo mentre c’è un gran fermento: Il sabato precedente  è iniziata la vendemmia. Cassette di neri grappoli di sangiovese arrivano in azienda: le uve provengo da quattro differenti vigneti che è bene presentare brevemente.

Il cuore aziendale dove sorge la cantina, a due chilometri da Montalcino, è la tenuta “Il Greppo”ed è il blocco più grande, posto a circa 560 metri di altezza.  Ad est di Montalcino a 370 metri   è presente il vigneto “I Pieri” esposto ad est. Questo vigneto ha in comune con il Greppo suoli poveri e calcarei con presenza di galestro. Ci sono poi il vigneto “Scarnacuoia” posto a  450  metri, su suoli di galestro e a Nord di Montalcino si trova “Pievevecchia” posto più in basso a 200 metri slm ma con esposizione NE e su suolo argilloso. Le differenze tra questi vigneti apportano ai vini la continuità dello stile Biondi Santi. Vini più eleganti che potenti con una vena acida e sapida che offre longevità.

Quasi tutte le vigne, ad esclusione di quelle più antiche, sono piantate con il clone bbs11, acronimo della selezione massale:  Brunello Biondi Santi 11. Il numero rappresenta il numero della vite  dalla quale è stato scelto il clone impiantato in azienda, registrato nel 1978.

Come accennato i vini aziendali sono tre, più uno: Rosso di Montalcino, Brunello di Montalcino e Brunello di Montalcino Riserva. Il più uno è il Rosso di Montalcino fascia rossa, che viene prodotto nelle annate con andamento stagionale non ottimale nelle quali non viene prodotto il Brunello: le ultime due sono state 2002 e 2014.

Dopo i vigneti abbiamo visitato la cantina rimasta sostanzialmente la medesima.  Dietro una porta c’è la cantina di affinamento delle riserve, “La Storica”, con bottiglie di Brunello che riposano tranquille accatastate e divise per annate senza etichetta con la sola protezione di un velo di cera d’api sull’esterno del tappo: un posto magico. Ma ancora più magico, una sorta di antro delle meraviglie, è un piccolo “bunker”, protetto da una ulteriore porta,  dove sono conservate le bottiglie più antiche: le due del 1888 (di cui una è stata coraggiosamente presa in mano da Tancredi per una foto), 5 bottiglie del 1891 e altre del ventesimo secolo tra cui le mitiche 1955 e 1964.

Dopo questa emozionante visita, abbiamo degustato una verticale di riserve: 1975 (non è un errore di battitura), 1983, 1995, 2006 e 2010. Spiegata e ben condotta da Tancredi Biondi Santi, Brand Ambassador e valente rappresentante della continuità della famiglia, insieme al padre Iacopo, all’interno  dell’azienda,

Che dire, il 1975 è fuori classifica! Eccelsa prova di vinificazione di Franco Biondi Santi, una delle prime senza la guida del padre Tancredi: vino vivo, direi esuberante nella sua bella evoluzione  con profumi tutti ben in tensione senza un accenno di stanchezza all’olfatto. All’assaggio poco da dire, è perfetto. Una bocca dinamica con tannini e alcool soavi, l’acidità ben presente con finale sapido (tanto per cambiare). A pranzo, dopo oltre due ore, l’ho riassaggiato ed era quasi meglio…

Il 1983 meno esuberante e brillante del 1975, un po’ più contenuto nei profumi, come  sempre puliti ed eleganti. Il 1995 è po’ controverso, forse in una fase di chiusura con profumi austeri dove comunque il frutto è ben presente. In bocca mostra un buon corpo non ancora ben equilibrato fra le varie componenti.

Il 2006 annata perfetta a Montalcino ben ribadita da questa Riserva figlia degli anni 2000, dove il corpo marca di più la beva rispetto ai decenni precedenti, specie ‘70/’80 , comunque sempre elegante con tannini ben fusi e rotondi e il tutto sorretto da dinamica freschezza e da sapidità in un lungo finale. Chapeau! La riserva 2010 è il fratello maggiore del Brunello della sera precedente: sentendo questi due vini di una grande annata si capisce il valore della riserva di Biondi Santi, dove la maturità della  vigna fa la differenza. Un vino ancora in trasformazione  ma con complessità e potente eleganza che impressionano.

Un light lunch iniziato con un Champagne Rare rosé 2008 e proseguito con i piatti del Ristorante Osticcio in abbinamento ai Rosso 2015 e 2016 (bevibilissimi entrambi, con più struttura il 2015 rispetto al 2016) ha concluso questa interessantissima visita.

Bruno Caverni

Conosco, ahimè, Carlo Macchi da diversi anni e con lui ho in comune la grande passione per il vino, non quella per l’Inter in quanto sono uno storico e fedele tifoso del Milan.

Una passione, quella del vino, che è sfociata sia nella collaborazione in Winesurf e sia con l’Associazione Italiana Sommelier, della quale sono il Delegato di Prato.

Che altro dire: in Winesurf ho conosciuto persone fantastiche, con le quali ho condiviso e sono felice di poter continuare a condividere questa bella esperienza.


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