“Cuius regio eius religio”. A questa antica massima, ho spesso pensato nei due giorni di assaggi per l’International Wine and Spirit Competition (IWSC). Avevo già spiegato cosa si nasconde dietro questa sigla ma penso sia bene riassumere. L’IWSC è un concorso enologico internazionale che si svolge nei dintorni di Londra, da quaranta’anni precisi. Cosa ha di diverso dai nostri concorsi? Prima di tutto serve veramente ai vini che vi partecipano, i quali vedono aumentare le loro vendite (si dice attorno al 5-8%)se ottengono uno dei premi più importanti. Quindi il concorso ha credibilità e non posso che confermarlo dopo i due giorni di assaggi. Vini rigorosamente bendati, giudici esperti (esclusi i presenti ovviamente) provenienti dai quattro angoli del mondo (anglosassone), medie matematiche inappuntabili per ogni vino etc. etc. Quindi nessun problema? Dal punto di vista organizzativo certamente no, mentre per quanto riguarda il metodo …..torniamo alla citazione d’ apertura.
Infatti chi pensa che in tutto il mondo si degusti con gli stessi parametri è completamente fuori strada: solo in Italia vi sono vari metodi di degustazione e tutti ( o quasi) hanno le loro buone ragioni di esistere. Quando si incontrano degustatori di nazioni diverse questo fattore si amplia notevolmente perché un metodo di degustazione serio nasce sempre dalla Cultura (notate la C maiuscola) di quella nazione, che non può essere se non diversa da quella di altre. Per questo un francese avrà parametri cultural/degustativi diversi da un inglese, da un tedesco e ovviamente da un italiano (cuius regio…appunto!).Inoltre i francesi conosceranno meglio i loro vini per continue “frequentazioni aziendali”, così gli italiani con i propri e via cantando. Se poi ci aggiungiamo anche il fattore “T”, cioè Trade, le distanze possono aumentare. Infatti uno che il vino deve venderlo giudicherà ricercando fattori positivi, utili nel commercio, mentre un giornalista avrà in mente altri parametri.
Negli assaggi ci siamo quindi scontrati con queste diverse realtà che, per quanto ci hanno riguardato, possono essere riassunte in una parola: tipicità. Molti dei vini italiani inviati a questo concorso erano prodotti anche buoni ma molto orientati verso l’internazionalizzazione del gusto, fossero essi Chianti Classico, Brunello di Montalcino, Barolo, Amarone etc. Soprattutto qui scattava un diverso modo di vedere le cose: noi davamo punteggi sufficienti a questi vini, gli altri in alcuni casi arrivavano addirittura a cifre sopra i novanta (la scala era 1-100). Nella successiva ed inevitabile discussione cercavamo di spiegare (nel nostro inglese non proprio oxfordiano…..) che quel vino era si un prodotto ben fatto ma ricordava solo da lontano le caratteristiche di quella denominazione. Questo, gli altri assaggiatori non italiani non riuscivano a capirlo e ci facevano varie domande “Ma se il vino è buono perché lo penalizzi..se non ci fosse stato scritto sopra Amarone o Barolo lo avresti giudicato bene, allora perché…..ma tu che vieni da quella nazione penalizzi proprio il tuo vino?” Provati a spiegare che era proprio perché c’era scritta sopra una certa denominazione che ci aspettavamo una determinata rispondenza ai vitigni che, per legge, devono essere usati. I nostri amici, quasi tutti provenienti dal “trade” cioè commercianti ed importatori di vino, non capivano questa differenza per noi basilare. La cosa interessante è stata che In questa “singolar tenzone” molto amicale non mi sono mai sentito completamente dalla parte della ragione o dalla parte del torto perché, oltre alla differenza “cultural nazionale” prendevo atto che certe diversità sono quasi logiche, visto che noi partivamo, (estremizzando molto) da un concetto di “valutazione territoriale” e loro dal punto di vista del “come riuscire a trovare la motivazione per venderlo”.
In conclusione: tutte e due le strade sono per me valide e giuste se seguite con correttezza e professionalità. Per questo non posso che dire grazie a IWSC per il confronto serio e approfondito avuto nei due giorni di degustazione, sperando che l’anno prossimo mi invitino nuovamente per “confrontarsi” di nuovo.
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