Con piacere mi è capitato in questo fine marzo di riassaggiare i Chianti dei Colli Fiorentini. E per giunta in presenza, accanto a colleghi seduti a debita distanza e serviti dai produttori stessi in mascherina. Presentazione “alla cieca”, comunicate solo annate e tipologie. Il Consorzio ha organizzato il tutto alla Villa Medicea di Lilliano della proprietà Malenchini (azienda socia), spaziosa sede adatta all’occasione e pure decisamente bella. Va detto che molto bella è la zona tutta, ricca tra l’altro di oliveti che forniscono prodotti d’eccellenza.
Non si può dire che la relativa DOCG sia particolarmente nota, credo innanzitutto per via dei volumi limitati. Si tratta di una delle sette sottodenominazioni del Chianti, che mi capita di conoscere da vicino per ragioni residenziali e professionali avendo anche collaborato con il Consorzio stesso in un passato ormai lontano. La zona è come compressa fra l’area urbana del capoluogo toscano e i territori relativi ad altri Chianti (Montespertoli, Rufina, Montalbano, Colli Aretini) nonché al Chianti Classico e al Valdarno di Sopra. Ettari vitati 610, che nel mare del Chianti non sono un granchè (2,6%). A volo d’uccello le colline presentano pendenze moderate e godono pertanto di soddisfacente insolazione diffusa. Dal punto di vista storico, l’estensione intorno a Firenze ha garantito investimenti e un ovvio sbocco commerciale.
Il profilo medio di gusto che ricordo “da sempre” è di una discreta concentrazione, e scrivendo “discreta” intendo dire di buona intensità ma pure di carattere non invadente. Non sono dei vinelli ma neppure dei vinoni, offrono strutture bilanciate e la caratteristica sapidità del buon Sangiovese. La degustazione di adesso, spalmata su quattro anni, mi ha confermato questa impressione, con un miglioramento semmai della tipologia Riserva che in passato presentava troppo spesso disuguaglianze di qualità oltre che – ed era quasi peggio – di stile.
Sarà perché adesso le aziende si sbizzarriscono in direzioni diverse con gli IGT, assaggiati in abbondanza nell’occasione. Ce n’erano ventiquattro a fronte dei diciannove della denominazione di riferimento, il che ha allargato il panorama sui colli di Firenze (vista anche la presenza di qualche “semplice” Chianti e di tre Vin Santo, tutte cose più che valide).
Dunque gli IGT: a parte qualche bianco e due rosati mi sono piaciuti i diciotto rossi, pur prevedibilmente assai diversi fra loro. Nascondono bene certe gradazioni dichiarate (sei vini con 15°, uno a 15,5°) con buona sapidità e tracce di legno sostanzialmente moderate.
In questo gruppo la sorpresa è arrivata da ben quattro Canaiolo in purezza, di altrettante annate. Le strutture sono assai più gentili degli altri IGT: mediamente una bella concentrazione aromatica tra frutti e spezie, ben espressa non solo al naso ma anche in una bocca di piacevole rotondità. Sono monovarietali in ascesa, da tenere d’occhio.
Last but not least, i prezzi medi dei Chianti Colli Fiorentini e di questi altri vini collegati sono più che ragionevoli. Il Presidente Marco Ferretti ha sottolineato che il Consorzio intende intensificare queste occasioni di conoscenza. Ottimo, c’è sostanza da comunicare.
Resta il fatto che nell’occasione abbiamo assaggiato i vini di un dozzina di aziende mentre i soci sono ben più numerosi. Per un quadro della DOCG va considerato poi chi produce ma del Consorzio non fa parte: al momento il volume fornito dai membri è poco più di metà del totale.
L’immagine-logo è il leone rampante che potete scorgere in cima alla torre di Palazzo Vecchio. Uscendo dalla villa di Lilliano ho pensato che, sembrandomi questo leone in buona salute, il ruggito si dovrebbe sentire più forte.