Come nelle barzellette più viete inizio con due notizie, una cattiva ed una buona. La cattiva è che la Taverna Colonna a Paliano, ( uno dei comuni dell’areale del Cesanese del Piglio) uno dei punti di riferimento per chi voleva mangiare bene e di territorio,(ne avevamo fatta anche una scheda…sigh!!) ha chiuso i battenti. La buona è che la famiglia Colonna si è trasferita armi e bagagli all’agriturismo la Polledrara, dove continueranno a fare cucina di territorio, con materie prime di territorio, vini esclusivamente laziali e con la stessa bravura e competenza di prima (ho provato di persona..).
Ammetto che per parlare dell’Anteprima “Rosso Cesanese” svoltasi ad Anagni dal primo al quattro aprile sia un’apertura abbastanza strana. In realtà quello che volevo evidenziare è che il Cesanese del Piglio oramai più che un vitigno sembra diventato una bandiera per questo territorio che di bandiere unificanti ne ha proprio bisogno. Tanto per fare un esempio la manifestazione, organizzata in maniera egregia da due gentilissimi mostri di competenza, passione e conoscenza del territorio travestiti da esseri umani (al secolo Pierluca Proietti e Maria Berucci,rispettivamente presidente e direttore della strada del Vino Cesanese) ha riguardato solo il Cesanese del Piglio perché i produttori di Affile (tanto per fare un nome a caso) non hanno trovato un accordo, grazie alla politica, per unire le forze. Sarebbe come se a Montalcino al Benvenuto Brunello non partecipassero i produttori di Castelnuovo dell’Abate: un’assurdità.
Assurdo invece non è il Cesanese del Piglio, un vitigno che è passato indenne da una prima massificazione “ad usum Romae”, con il mercato romano che storicamente assorbiva tutto, bastava che costasse poco, e da una seconda chiamata cantine sociali vecchio stile, dove bastava conferire roba ed il gioco era fatto. Solo all’inizio degli anni novanta alcuni produttori si sono messi in testa di ridare valore ad un vitigno che di caratteristiche positive ne ha da vendere, come ha da vendere problematiche di cantina che, se non risolte per tempo, portano a riduzioni importanti e ad imperfezioni al naso difficilmente rimediabili.
Oggi l’areale del Cesanese, che tra l’altro è di una bellezza assoluta nonostante la cementificazione di diverse zone, non arriva a produrre un milione di bottiglie con una superficie vitata che arriva a malapena ai 300-350 ettari. Numeri minimi, per di più suddivisi in appezzamenti quasi microscopici, permettono comunque alla trentina di produttori imbottigliatori di mantenersi a galla senza essere schiacciati da concorrenza interna.
Ma veniamo alle caratteristiche del vitigno: qui sta il punto. In linea teorica dovrebbe essere un vitigno di notevole colorazione con un acidità viva ed una tannicità importante ma non esagerata. Un vino che al naso ricorda il frutto ma anche note floreali e balsamiche. Questo in teoria, perché i vini che abbiamo assaggiato, sia all’anteprima che nelle nostre visite o nelle cene sono solo in parte riconducibili a questo modello.
Per esempio: nella degustazione in anteprima Tra i Cesanese del Piglio “base” DOCG assaggiati abbiamo trovato alcuni vini color porpora con una quasi eccessiva morbidezza al palato, dei vini rubino molto scarico con una tannicità ed un’acidità quasi eccessiva, e altri vini che si muovevano all’interno di questa ampia forbice. Più che dal vitigno credo che in questo momento il carattere ai vini sia dato dalla mano (che in alcuni casi andrebbe affinata e “pulita”) del viticoltore. La riprova l’abbiamo avuta delle Riserve 2008, in alcuni casi assolutamente caricaturali per eccesso di estrazione e di partecipazione del legno. Non si poteva fare a meno di notare la quasi spasmodica ricerca del grande vino ma che portava a cadere inevitabilmente nel grosso vino, spesso con “movenze” internazionali.
Forse la migliore espressione di questa anteprima (in cui troppi vini erano campioni da botte, senza che noi lo sapessimo prima dell’assaggio…) è venuta dai Superiori 2009. In alcuni ho trovato (superando alcune imperfezioni momentanee al naso) quelle note floreali ampie fini e quella austera freschezza che, quasi come una bonaria lama di rasoio ti porta verso dei tannini importanti ma dolci. Pochi campioni, devo ammetterlo, ma sono bastati per farmi capire come il Cesanese del Piglio possa avere “il piglio” essere uno dei miei vitigni preferiti.
Un vitigno che, se lavorato bene (e magari nelle vecchie vigne che ancora esistono) porta a risultati altissimi, a vette notevoli. Purtroppo, come in ogni montagna ci sono le zone basse sempre all’ombra, sicuramente meno belle e che per sempre lo rimarranno. Così tra i produttori di Cesanese (spero di sbagliarmi) ci saranno sempre quelli che rimarranno un passo indietro, che cureranno meno la pulizia in cantina e la produzione in vigna, mettendo in commercio vini che, una volta aperti, non ti faranno certo innamorare di questo vitigno e quindi non porteranno avanti il territorio.
Tutto questo nonostante il grande lavoro della Strada del vino Cesanese e di molti personaggi ed associazioni (non ultima Slow Food) che le ruotano attorno.
Visto che si trattava di un’anteprima con molti campioni da botte e del nostro primo approccio con questo vino e con il suo territorio non ci sembra giusto spararvi alcuni nomi di prodotti che ci sono piaciuti. Vi rimandiamo alla degustazione che sicuramente organizzeremo per Winesurf.