Certe cantine ad Orvieto hanno, per fortuna, un certo modo di vedere l’Orvieto4 min read

Transitare sull’autostrada e alzare gli occhi verso Orvieto è come sbirciare in una stanza buia dal buco della serratura: non si riesce nemmeno ad immaginare cosa ci sia!

Questa “pensatona” mi è venuta mentre stavo attraversando panorami meravigliosi per andare da Palazzone (che si trova sul lato Nord-ovest della denominazione) a Decugnano dei Barbi, che invece è sul lato est. Ma l’avrei pensato anche se fossi andato verso la zona con il terreno composto prevalentemente da rocce vucaniche, verso sud, o mi fossi spinto verso il lago di Corbara. Le sontuose e verdi colline attorno ad Orvieto non sono nemmeno immaginabili dall’autostrada.

Orvieto visto dalle colline

A proposito di inimmaginabile: molti non immaginano che alcuni Orvieto (non tutti, alcuni, diciamo quelli di almeno 5-6 cantine) abbiamo delle possibilità di invecchiamento paragonabili a grandi rossi. Ho voluto averne l’ennesima conferma andando prima da Giovanni Dubini a Palazzone e poi da Enzo Barbi al Decugnano dei Barbi.

Giovanni Dubini

Il bello è che nessuno dei due  ottiene  Orvieto di alto livello facendo sfaceli in vigna e in cantina. Le vigne sono piantate a densità normali, dai 4000 ai 5000 ceppi per ettaro, le rese non sono bassissime ma nemmeno alte (diciamo attorno agli 80-90 q.li per ettaro) e in cantina l’acciaio la fa da padrone, con alcuni casi di minimali aiuti del legno. Le due cantine differiscono comunque in diverse cose, prima fra tutte le percentuali di uve ammesse dal disciplinare utilizzate nell’Orvieto (Giovanni usa molto procanico e verdello, Enzo, d’accordo con suo padre, preferisce percentuali alte di  grechetto), ma questa  è forse una delle bellezze di queste colline, cioè il potersi esprimere in modi diversi all’interno di un un’idea precisa di vino.

Enzo Barbi e suo padre

E qui casca l’asino, perché quest’idea è quella di un bianco che possa essere buono subito (o quasi) ma abbia la capacità di maturare e migliorare  nel tempo non è facile da far capire al mercato, specie se il mercato è invaso da Orvieto da 2-3 euro a bottiglia e circa l’80% del vino viene spedito  fuori zona ad imbottigliatori che vedono nell’Orvieto solo un vino bianco da vendere e non un territorio da valorizzare, da far conoscere e crescere.

Per questo è importante capire che la strada intrapresa da Enzo e Giovanni è forse l’unica in grado di dare frutti futuri e permanenti. Entrambi si sono attrezzati per una ricettività di alto livello, entrambi hanno creato una gamma di vini, anche particolari per la zona, che affiancano l’Orvieto, entrambi puntano su una qualità che sembra non tener conto dei prezzi che può spuntare l’ Orvieto o comunque un vino di questa zona, specie se non ti chiami Cervaro della Sala e hai dietro di te uno dei nomi storici del vino mondiale.

Per questo degustare il 2001 del Campo del Guardiano (sapendo che in cantina ci sono ancora diverse bottiglie di annate  molto più vecchie) è un’esperienza che ti rimane impressa. Sei di fronte ad un bianco che non mostra il minimo cedimento, si propone con una complessità incredibile, virando da aromi fruttati a spezie e idrocarburi, per  presentarsi con un palato reattivo, sapido, giovanissimo e di grande lunghezza.

Per questo degustare i Bianco del Barbi del 2013 e 2015, con le loro belle differenze ma con una giovinezza che prende strade diverse, una brutalmente verso l’idrocarburo, l’altra verso il floreale e note marine, affiancata però da una vitalità e croccantezza quasi prorompente, ti fa pensare che certi Orvieto non vanno assolutamente toccati prima di 2-3 anni.

Insomma, ci sarebbero tante cose da dire ancora ma questa volta mi preme puntare su  tre concetti chiari.

  • Il territorio dell’Orvieto non può non essere visitato (ce l’avete a portata di casello autostradale!)
  • Certi Orvieto non vanno bevuti prima di almeno 2-3 anni.
  • Certi Orvieto possono maturare alla pari di un Brunello di Montalcino.

Se questi tre input non vi fanno venire voglia di scoprire di più su questa terra enoica cambiate passione e dedicatevi al polo subacqueo o al biliardo acrobatico.

Se invece volete anche scoprire come sono questi e gli altri Orvieto dell’ultima annata in commercio basta che aspettiate qualche giorno e pubblicheremo i risultati dei nostri assaggi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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