Una delle difficoltà in Puglia, lamentate anche da altri colleghi degustatori, è quella di non avere dei riferimenti e delle strutture presso cui effettuare o far pervenire i campioni per le degustazioni (che non siano quelle delle singole aziende, ovviamente). Intendiamoci, queste difficoltà si riscontrano in altre regioni, ma in Puglia è storia antica e pressoché immutabile. Ci sono però delle eccezioni: tra queste il Consorzio e la Strada del vino del Castel del Monte, presso cui si è svolta la nostra degustazione. Per il resto, sotto questo punto di vista la Puglia è estremamente frammentata: i vari consorzi (pochi) e le strade del vino agonizzano in attesa perenne di sovvenzioni o eventi che rimandano solo nel tempo la loro ineluttabile fine.
Dopo questo doveroso e sconfortante preambolo, veniamo alla degustazione dei Rossi Castel del Monte DOC 2005(ed a qualcuno di annate precedenti). La Doc per quanto riguarda i rossi permette l’uso di Uva di Troia, Aglianico e Montepulciano da soli o congiuntamente, con buona pace spesso di una caratterizzazione territoriale. Per fortuna ed al di là di pochissimi esempi le nuove vinificazioni si indirizzano alla produzioni di vini monovarietali, per cui sai cosa bevi o perlomeno cosa dovresti bere.
L’annata 2005 non è stata tra le migliori ma neanche tra quelle da dimenticare, diciamo media, con una estate dalle temperature non eccessive e con uno stato fitosanitario delle uve soddisfacente. I risultati d’altronde, stando alle nostre degustazioni, parlano chiaro e confermano quanto era prevedibile: una annata mediamente di buon livello con qualche punta di eccellenza. Le degustazioni hanno sottolineato l’ormai buona tecnica enologica di quasi tutte le cantine con una riduzione dell’uso dei legni piccoli e un lento ritorno a quelli grandi. Tuttavia l’identità del Castello del Monte intesa soprattutto come quella del Nero di Troia è ancora da definire. Manca, come ormai da tempo viene sottolineato da più parti, una selezione clonale ed una zonazione. A dire il vero un progetto di ricerca in questo senso , proposto da alcuni produttori, giace da anni nei cassetti dell’Assessorato competente. Evidentemente si reputano prioritari altri progetti che non quello di fornire una carta di identità al vitigno principe del territorio. Fin quando questo nodo non verrà sciolto avremo vini diversi dove spesso il sottile filo che li lega è talmente esile che rischia di non essere percepito. Sensibilità diverse, stili diversi, terreni ed esposizioni diverse contribuiscono, come è giusto che sia, ad una variegata produzione di questo vitigno. Purtroppo proprio la mancanza di una identità più definita rende il Nero di Troia più facilmente omologabile, specie quando si rincorre il “modello internazionale”.
Nelle nostre degustazioni abbiamo trovato di tutto: dal vino che ha visto solo “inox” a quello in barrique e alle botti grandi, tutti si sono espressi con buoni risultati. Senza tema di esagerare possiamo dire che il Nero di Troia ha sicuramente un grande avvenire, una voce diversa nel panorama vinicolo pugliese, capace di essere allo stesso tempo potente ma anche elegante