Il castagno del Chianti nel Chianti Classico (un anno dopo)3 min read

Dopo l’illustrazione culturale e colturale di un anno fa presso l’Accademia dei Georgofili a Firenze abbiamo avuto il modo di apprezzare del Chianti Classico affinato in legno di castagno del territorio.

Il luogo non era stato casuale, visto l’impegno dell’Accademia stessa nell’esplorazione tecnico-scientifica del possibile utilizzo (in realtà un recupero) delle specie arboree chiantigiane a scopo “barriccadero”.

Dei possibili alberi utilizzabili la roverella (quercus pubescens) è stata accantonata per la difficoltà tecnica di trasformare i tronchi in fustame utilizzabile allo scopo. Rimane il fatto che questo tipo di quercia è diffusissimo in Chianti, come del resto in altre parti della Toscana e un po’ dovunque lungo la penisola.

Ed è sempre bella la roverella, in particolare in inverno quando le foglie restano attaccate ai rami e macchiano di rosso-bruno un paesaggio caratterizzato tutto l’anno dal verde degli arbusti di macchia, dallo scuro dei cipressi e dei lecci, dall’argenteo degli ulivi.

Andando per vigne, infatti, non potrete fare a meno di notare la bellezza chiantigiana di tutto quello che vigna non è, dato che il vigneto occupa solo poco più del 10% della superficie della DOCG.

Sul castagno l’Accademia ha lavorato di ricerca, analizzando vecchie botti in abbandono così come il legno vivo di varie zone. E questo delle zone di provenienza degli alberi si è rivelato un particolare non secondario al momento della degustazione: la promessa infatti era stata di farci assaggiare un qualche risultato, ed eccoci di ritorno il diciotto maggio scorso nella gloriosa sede del Piazzale degli Uffizi, stavolta forniti di bicchieri e cavatappi.

Luigi Cappellini, proprietario del Castello di Verrazzano e convinto protagonista dell’esperimento, ha orgogliosamente presentato tre campioni ancora in affinamento del suo 2015 destinato alla Gran Selezione Valdonica, nonché un 2013 della stessa etichetta a mo’ di benchmark, anche se risultato di un’annata indubbiamente meno valida. Per il 2015 si trattava quindi dello stesso Sangiovese del cru Valdonica: prima senza legno, poi in castagno di Monteluco, infine sempre in castagno ma proveniente da Coltibuono. Un matrimonio tra uve dalla valle della Greve e legni dalla parte orientale del comune di Gaiole: una zona, quest’ultima, di maggiore altitudine e non a caso dall’aspetto più montano.

Il sangiovese “puro” si è rivelato sapido e palatabile, tra il floreale e il fruttato, ben espresso e volendo da bere anche adesso. Assaggiata subito dopo, la materia prima riposata in legno di Monteluco si sarebbe detta diversa se non avessimo saputo che era la stessa: struttura  solida,  sorso austero, naso quasi chiuso. Almeno per il momento, viene da pensare. Poi l’influsso del castagno di Badia a Coltibuono: matrimonio uva-legno già riuscito, bei profumi complessi con una certa speziatura balsamica e bocca anche aromatica con piacevole persistenza. Risultati intriganti, dunque, tutti legati (ceteris paribus) all’origine degli alberi. Monteluco e Coltibuono come Allier e Nevers?

Al momento, come succede, il futuro di questi vini campionati è un po’ difficile da prevedere. So’ bbòni, ho sentito commentare un assaggiatore locale; e non posso non condividere, anche se l’assemblaggio finale è questione che lasciamo all’enologo Marco Chellini, al quale toccherà la confezione delle poche migliaia di bottiglie.

Più che altro abbiamo assaggiato il territorio. Il lavoro di tonnellerie si è svolto in Monferrato, è vero, presso Gamba che è una garanzia. Tostatura media, ci hanno detto. Comunque nonostante il tocco monferrino siamo davvero vicini al millantato “km 0”; e se un domani gli enoturisti in giro per il Chianti Classico potranno vagabondare per i boschi all’ombra di castagni destinati a contribuire al sapore del vino sarà un bel colpo di marketing.

Come ha detto Cappellini, “…riscoprire il castagno ha un forte valore romantico”. Occorre però fare più di un conto: economico, tecnico e di semplice fattibilità. Al momento, anche volendo, il materiale stagionato di castagno locale scarseggia assai.

La consulenza dell’Accademia dei Georgofili è attiva da più di due secoli e mezzo e staremo a vedere dove porta la sua expertise: intanto ci siamo goduti le castagne.

Magari gli snob vi diranno che quelli non sono veri marroni, ma una passeggiata sui Monti del Chianti a metà ottobre darà i suoi frutti.

Garantito come la Denominazione.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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3 responses to “Il castagno del Chianti nel Chianti Classico (un anno dopo)3 min read

  1. Sandro bravo come sempre. Volevo chiederti in definitiva: ma una nota olfattiva particolare che lo possa differenziare dal rovere si sente oppure no ?
    Un abbraccio. Simone Coppi

    1. Caro Simone, ricambio affettuosamente l’abbraccio. Il timbro olfattivo condiviso fra i presenti a questo assaggio era del tipo “balsamico”, qualcosa fra la resina e l’incenso ma come ho scritto questo si ritrovava solo in uno dei due vini passati in castagno, essendo l’altro molto chiuso al naso. Inoltre quel vino esprimeva un bel bouquet dove si ritrovava anche altro, e il balsamico era sfumato. Quindi è prematuro tirare conclusioni; certo è che l’argomento è intrigante e che lo seguiremo.

      1. GRAZIE
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        From: Disqus
        To: palagio@chianticlassico.com
        Sent: Thursday, June 01, 2017 10:12 PM
        Subject: Re: Comment on Il castagno del Chianti nel Chianti Classico (un anno dopo)

        “Caro Simone, ricambio affettuosamente l’abbraccio. Il timbro olfattivo condiviso fra i presenti a questo assaggio era del tipo “balsamico”, qualcosa fra la resina e l’incenso ma come ho scritto questo si ritrovava solo in uno dei due vini passati in castagno, essendo l’altro molto chiuso al naso. Inoltre quel vino esprimeva un bel bouquet dove si ritrovava anche altro, e il balsamico era sfumato. Quindi è prematuro tirare conclusioni; certo è che l’argomento è intrigante e che lo seguiremo.” Settings

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        Alessandro Bosticco
        Caro Simone, ricambio affettuosamente l’abbraccio. Il timbro olfattivo condiviso fra i presenti a questo assaggio era del tipo “balsamico”, qualcosa fra la resina e l’incenso ma come ho scritto questo si ritrovava solo in uno dei due vini passati in castagno, essendo l’altro molto chiuso al naso. Inoltre quel vino esprimeva un bel bouquet dove si ritrovava anche altro, e il balsamico era sfumato. Quindi è prematuro tirare conclusioni; certo è che l’argomento è intrigante e che lo seguiremo.
        4:12 p.m., Thursday June 1 | Other comments by Alessandro Bosticco

        Reply to Alessandro Bosticco

        Alessandro Bosticco’s comment is in reply to Simone Coppi:

        Sandro bravo come sempre. Volevo chiederti in definitiva: ma una nota olfattiva particolare che lo possa differenziare dal rovere si sente oppure no ? Un abbraccio …

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