Campania Stories 2023 torna in Irpinia tra conferme, dubbi e speranze8 min read

Si chiamava Anteprima Taurasi ed erano i primissimi anni duemila. Mi ricordo che la prima volta facemmo un anda-rianda in giornata, partendo prestissimo la mattina e tornando a notte fonda, stanchi ma soddisfatti di quello che avevamo visto e degustato.

Sono passati 20 anni, más o menos, e oggi parliamo di Campania Stories, la manifestazione che è il “modello evoluto” di quella nata dalla passione di alcuni amici. Oggi gli amici ci sono sempre ma Miriade & Partners è una vera macchina da guerra, tanto che organizza non solo questa ma diversi altri eventi.

Ma Campania Stories è il loro fiore all’occhiello e quest’anno è tornata in quell’Irpinia che l’aveva vista nascere.

Una terra meravigliosa quella delle tre DOCG campane, ma con alcune difficoltà logistiche che qualche problema l’hanno creato. In primo luogo non esiste un albergo capace di accogliere tutta la stampa (italiana e estera) e dotato di una sala adeguata per le degustazioni. Questo ha portato a spostamenti non sempre molto agevoli, comunque organizzati e gestiti con la solita attenzione.

Spostamenti a parte le due giornate di degustazione sono state impeccabili per servizio e organizzazione e vi garantisco che mettere in degustazione quasi 350 vini di oltre 90 cantine non è uno scherzo.

A proposito di cantine, saranno le eterne diatribe e insulse prove di forza tra produttori e consorzi in Irpinia, sarà lo spostamento da settembre a maggio, sarà quel che sarà, ma rispetto agli altri anni ho notato un lieve calo di partecipanti. Questo, oltre a non giovare all’evento, non giova alla Campania del vino, a cui manca, nei fatti, quella coesione tanto sbandierata nei discorsi.

Ma lasciamo i discorsi e veniamo ai vini, in particolare all’ultima annata in commercio, la 2022. Forse in altre zone della Campania è andata diversamente ma quando anche gli stessi produttori irpini te la presentano come una vendemmia difficile, estremamente siccitosa e calda fino a inizi agosto, poi  piovosa ( o molto piovosa, dipende dalle zone)  per i due-tre mesi successivi tu non puoi che prenderne atto.

Tra i molti discorsi fatti mi ha colpito quello di un produttore, che mi ha confidato “in camera caritatis” che  dai primi di settembre, data di vendemmia della sua base spumante, alla fine del mese, quando ha raccolto il fiano per il vino fermo, gli zuccheri erano aumentati solo dello 0.3%. Non per niente la Regione Campania per la vendemmia 2022 ha autorizzato, con deroga, l’utilizzo di mosto concentrato rettificato anche per le DOCG.

Insomma, non mi sono seduto al tavolo di degustazione con sensazioni estremamente positive e gli assaggi hanno, almeno in parte, confermato che siamo di fronte ad una vendemmia difficile, anche se è oramai chiaro di dover considerare Fiano di Avellino e Greco di Tufo come vini a “due marce”. La prima è quella usata per i prodotti che devono uscire giovani, nei primi mesi dell’anno successivo, la seconda è quella che si mette per le selezioni, le riserve o comunque per quei vini a cui viene dato il tempo necessario  per maturare un giusto equilibrio e poi entrare in commercio. Oramai da tempo è presente questa dicotomia nelle due denominazioni e, per me, non giova all’immagine creata col tempo e una notevole fatica di vini da lungo invecchiamento. La prova provata la troviamo infatti delle annate immediatamente precedenti, 2021 e 2020, dove sia nei Greco di Tufo che nei Fiano di Avellino, ho trovato quella potenza, croccantezza, eleganza, complessità che me li confermano ai primissimi posti tra i grandi bianchi italiani. Sarà la 2022, la voglia/necessità di entrare in commercio ( o tutte due) ad averci presentato vini non certo eccelsi? Lo sapremo tra un anno.

Le Falanghina invece sono la rappresentazione della giovinezza e dell’immediatezza anche se, in particolare quelle del Sannio, adesso mostrano gamme aromatiche molto simili, derivanti da fermentazioni che rendono omogenei i nasi ma, alla fin fine, un po’ noiosi e scontati. Capisco che il mercato vuole questo ma ormai è dimostrato che “sedersi” sulle richieste del mercato porta alla lunga a non percepirne i reali cambiamenti e, in definitiva, a rimanere spiazzati. Certo è che esistono anche  Falanghina di ogni zona campana che possono maturare per anni, ma forse questo vitigno è oggi la principale risposta campana a chi vuol bere, con semplicità, un vino d’annata.

Mi scuso con i produttori di bianchi (e anche di rossi) delle altre zone campane, ma purtroppo non c’è stato il tempo fisico per degustare i quasi 350 vini presentati. Abbiamo dovuto obbligatoriamente fare delle scelte e forse il futuro di Campania Stories sarà impedire che i degustatori debbano lasciare indietro, per mancanza di tempo, la stragrande maggioranza dei vini presenti. Un terzo giorno, dedicato esclusivamente agli assaggi, è una mia vecchia richiesta ma credo che anche il prossimo anno rimarrà lettera morta.

A questo punto vorreste dei nomi: abbiate pazienza, tra qualche giorno e pubblicheremo i risultati degli assaggi dei Greco di Tufo, dei Fiano di Avellino, delle Falanghina delle varie zone campane nella nostra guida.

Quelli relativi agli Aglianico invece li pubblicheremo assieme agli altri vini rossi, a partire da settembre, però due parole sul Taurasi  le possiamo dire, magari rifacendoci proprio alle Anteprime Taurasi di 20 anni fa. Allora il discorso che facevano in molti era che il Taurasi era un vino importante e sicuramente da lungo invecchiamento ma in diversi casi  troppo concentrato, duro, con importanti marche di legno, difficile da bere, che doveva essere messo in commercio dopo anni ma ancora non pronto. Sono passati 20 anni e siamo a dire le stesse cose: nel frattempo il mercato è cambiato, si è evoluto, ma il Taurasi è rimasto praticamente quello di allora, magari anche nel numero di bottiglie vendute.

Mi viene in mente una frase del Macbeth “Macbeth non sarà vinto sino a quando il gran bosco di Birnan muoverà contro di lui”, così, per assurdo ma neanche tanto,  il Taurasi non cambierà fino a quando continueranno ad esistere Fiano di Avellino e  Greco di Tufo, i vini che adesso fanno il mercato e che lo hanno di fatto relegato  in un “limbo nobiliare”, in produzioni ristrette e solo sulla carta “top di gamma”. Bisogna anche dire che forse è anche vero l’opposto, cioè che è solo grazie ai bianchi si riesce a vendere anche questo vino, ma sotto sotto, nel cuore della maggioranza dei produttori irpini percepisco che il Taurasi  sia qualcosa che si ama come si ama la nonna: si spera viva molto a lungo ma per farlo ha bisogno di sempre più cure, soldi e tempo da dedicarle e in quel caso l’amore può anche diventare sopportazione. Addirittura sono convinto che qualche azienda potrebbe venderne di più se togliesse il nome Taurasi, sostituendolo con un generico Campania Rosso.

Se il Taurasi è la nonna dell’Irpinia il figlio, cioè l’aglianico, declinato tra Irpinia Doc e Campi Taurasini Doc, non è mai stato in forma come adesso, mostrando vini più dinamici, meno estratti, meno marcati da legno e molto più piacevoli. Questo sia tra i 2021 che tra i 2020 e i 2019.  Una strada auspicata da tempo e che finalmente pare compresa dai produttori.

Produttori che, Taurasi a parte,  stanno sempre più adeguandosi alle nuove richieste (posso dire mode?) del mercato: non per niente non ci sono mai stati in degustazione cosi tanti rosati e vini spumanti (metodo classico o charmat), provenienti da tutte le zone della Campania. Anche questi non li ho potuti assaggiare per mancanza di tempo e qui si torna al discorso fatto prima.

Non abbiamo potuto degustare molti vini ma purtroppo abbiamo visto che le bottiglie continuano a diventare sempre più grosse e pesanti, inutilmente pesanti. Cari produttori, la domanda è sempre la stessa: “Vendete vino o vendete vetro?” Smettetela di usare delle corrazzate al posto di normali bottiglie e provate a capire e a far capire che solo chi usa bottiglie leggere dimostra di credere realmente nel risparmio energetico, in un minore inquinamento da Co2, in un minor inquinamento della terra che tutti viviamo: tutto il resto sono bubbole!

A questo punto vi do appuntamento tra pochi giorni, quando pubblicheremo i risultati dei nostri assaggi (fatti assieme al mio alter ego Pasquale Porcelli) relativi al Fiano di Avellino, al Greco di Tufo  e alle varie Falanghina prodotte in Campania.

Per quanto riguarda Campania Stories l’appuntamento è per l’anno prossimo nel Sannio, magari con un giorno in più per poter degustare molto di più e molto meglio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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