Ca d’Gal: nel Paradiso del Moscato d’Asti6 min read

Alzi la mano chi non ha mai stappato una bottiglia di Asti Spumante  o comunque di moscato spumante per Natale o per festeggiare il nuovo anno.

Del resto cosa c’è di meglio da abbinare al panettone di un vino come quello:  profumato, semplice, immediato, leggero, con pochi gradi alcolici e che costa poco?

Credo che mai come in questo caso una serie di aggettivi positivi si siano trasformati di fatto  in negativi, creando problemi quasi insormontabili e decretando la lenta agonia di un territorio, di un vitigno, di un modo di fare vino, di una  o più  denominazioni.

Del resto rialzi la mano chi pensa che quel vino/vitigno da abbinare al panettone possa sdoganarsi da quella  morbida prigione, abbinarsi a molti altre preparazioni non dolciarie e maturare/migliorare per molti anni in tutta tranquillità, diventando un vino complesso, armonico, composito e di notevole corpo.

Il sottoscritto e  tutta la redazione di Winesurf facevano parte di quelli che avrebbero tenuto la mano bassa, fino a quando non siamo andati a Ca d’Gal.

Siamo a Valdivilla, vicini a Santo Stefano Belbo, nel cuore delle colline del moscato ma a un tiro di schioppo dalla Langa. Sembra di essere su un confine immaginario: da una parte i vigneti di nebbiolo che fanno storia e hanno successo planetario, dall’altra il moscato che di storia ne avrebbe da vendere ma che purtroppo il successo, oggi,  se lo sogna.

I titolari, Alessandro Boido  e  sua moglie Carla,  di successo ne meriterebbero molto di più ma, come tutti quelli che vanno controcorrente e per di più in una zona, come dice Alessandro, “Non utilizzata dai giornalisti per consumare penne  biro”  devono sudarselo ogni giorno.

In particolare se lo sudano dal 1988 da  quando Alessandro  prese in mano l’azienda di famiglia, una decina di ettari di moscato che allora si vendevano bene. Decise subito di non conferire alle cooperative e di produrre una sua etichetta di moscato a tappo raso. Nel 2005 si mise  produrre, su richiesta di un importatore americano, anche un Asti Spumante che purtroppo è troppo buono, più caro e soprattutto per il particolare metodo produttivo che Alessandro usa, entra in commercio troppo tardi, tanto che a Natale c’è sempre quello dell’anno prima. “Perché l’Asti ha bisogno di almeno 5-6 mesi di  bottiglia per essere buono. Bisogna aspettarlo un po’”.

In effetti il 2018 che abbiamo degustato era una sboccatura di aprile 2019: molto floreale e “moscateggiante”,  grasso e di corpo pur con bella freschezza al palato  e  bollicine fini, Insomma un  Asti veramente di alto livello.

A questo punto, dopo aver dato giusto risalto al buonissimo Asti, di cui abbiamo degustato anche il 2012 (avete letto bene!)  e prima di parlarvi del resto dell’assaggio mi ispiro alla Divina Commedia e vesto, assieme a tutta la redazione di winesurf,  i panni del  pellegrino Dante che proviene dall’Inferno dei moscati da tre lire o dal Purgatorio di prodotti che comunque qualche peccatuccio ce l’hanno.

Sulla porta  del paradiso del Moscato c’è  Alessandro (non posso immaginarlo nei panni dell’eterea Beatrice, a tutto c’è un limite!)  che ci accoglie con il  Lumine 2019, ultima annata di questo Moscato d’Asti a tappo raso, loro cavallo di battaglia che nasce da otto ettari di vigna con anzianità fino a  45 anni e una resa di circa 70 q.li/he, molto bassa per il Moscato. Questo 2019 sembra proprio un… Moscato, nel senso che i sentori primari di frutta e fiori sono in prima linea e in bocca ha la classica grassezza di questo vino, magari resa meno evidente da un’acidità ben presente.

E’ con il Lumine 2018 che le cose iniziano veramente a cambiare, in primo luogo dal naso dove i profumi ricordano più un Gewürztraminer, mentre la bocca è molto più grassa e rotonda del 2019. Già questa è una sorpresa perché assaggiare dei Moscato d’Asti che hanno caratteristiche peculiari della vendemmia di provenienza sfata il mito che li vede fatti con lo stampino.

Le cose cambiano ancor di più con il Sant’ Ilario 2018, da vigneti che arrivano fino a 70 anni e produzioni mai superiori ai 55 q.li/he. Intanto il colore punta decisamente verso il giallo dorato brillante, nota floreale netta con sentori di  ginestra e salvia, escono anche profumi di pesca matura. In bocca estremamente equilibrato, con tanti grammi di zucchero ma fresco e piacevole, quasi austero.

Il Sant’Ilario 2017 è invece più speziato al naso e stupisce perché con un numero di grammi di zuccheri residui non omeopatici è addirittura sapido e così il notevole corpo  viene  ben indirizzato verso l’eleganza.

Nel Paradiso di Serie A  c’entriamo con il Moscato d’Asti  Vite Vecchia 2015 (2015! Avete letto bene  e non ancora in commercio) . Anche questo da vigna vecchissima, una resa di 40 q.li/ettaro (nemmeno tra i Barolo!) e  con un affinamento particolare:  dopo l’imbottigliamento a primavera viene messo a maturare in cassoni pieni di sabbia (per mantenere costante la temperatura) per almeno 30 mesi. Ha anche una piccolissima parte di appassimento naturale in pianta, che in questo 2015 adesso si sente bene con note di miele, mandorle e fico, accanto a fini sentori floreali. Bocca rotonda, equilibrata e ci scordiamo di avere di fronte un vino di nemmeno 6 gradi alcolici.

Il Vite Vecchia 2014(!) attualmente in commercio ha chiari sentori di idrocarburi e note balsamiche con contorno di mandorle e nocciole. Un naso ampio e netto e una bocca filante e piena, con una dolcezza che accompagna e non sovrasta.

Siamo poi passati, oramai seduti nell’Empireo del Moscato,  al Vite vecchia 2010, anche questo stracolmo di aromi di idrocarburi, camomilla, miele e in bocca di una dinamicità e freschezza incredibile.

Il viaggio in paradiso si è concluso con il Vite Vecchia 2009: menta, salvia, miele e grande finezza gustativa.

Ora mi devo scusare con Alessandro Boido ma mentre prendevo queste note e anche adesso mentre le riporto mi sono sentito “Come se parlassi di un vino, non di un  moscato” perché le sensazioni e le caratteristiche di questi vini e degli altri degustati a tavola, ti fanno scordare il concetto di Moscato d’Asti a noi conosciuto e ti portano verso un prodotto che, oltre ad essere buonissimo  si può osare abbinarlo a tantissimi piatti non dolci: in primo luogo formaggi, ma son convinto che accanto a un bel cotechino  o a del bollito con salsa verde e  mostarda di Cremona il Vite Vecchia ci starebbe benissimo.

Per capire con chiarezza fin dove può arrivare il Moscato d’Asti di Alessandro e Carla bisogna osare e superare tabù mentali che ci bloccano da sempre, relegando questa particolare tipologia al panettone.

Come diceva quello della pubblicità di Aiazzone? Provare per credere! Se oserete e proverete una bottiglia di Lumine, Sant’Ilario o  Vite Vecchia sono convinto che rimarrete stupiti e la sola frase che vi verrà in mente sarà “Ma perché fino a ora non l’ho mai bevuto?”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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