Bourgogne Aujourd’hui, n. 142, settembre 20186 min read

Il pezzo forte di questo numero è la maxi-degustazione di Chablis, Santenay, Maranges e Bourgognes (i vini delle appellations régionales) delle  ultime annate già in commercio, 2015 e 2016. Il titolo è quanto mai esplicativo: “E’ il momento di comprare”, e allora che cosa di meglio dei vini di Chablis, ossia i migliori bianchi borgognoni ancora acquistabili a prezzi ragionevoli,  delle appellations minori della Côte de Beaune, Santenay e Maranges, meno conosciute, ma ancora di buona qualità, oltre ai vini più convenienti di tutti, i Bourgognes regionali? Ad accompagnare il titolo che li annuncia, quattro bottiglie , una per ciascun tipo.

Gli altri titoli: incontro con i “guardiani del tempio”, ovvero con il grand maître e l’intendente generale della Confrérie des Chevaliers du Tastevin;  Côte de Nuits segreta, Fixin;   cuveries fuori dal comune. Si comincia con l’édito di Tupinier, che commenta la difficoltà di fare previsioni sulla prossima vendemmia 2018, l’ennesima annata precoce (si inizierà a raccogliere uve a fine agosto), termometro in alto, ma  anche volumi più alti, da Chablis al Beaujolais, e poi  la pressione della peronospora, dopo il caldo-umido di primavera, l’incertezza del tempo.

E allora? Mentre si attende la conferma dell’annata 2017, non  ancora  disponibile, una ragione di più per comprare i vini del 2016, un millesimo di grande qualità specie per i rossi di tutte le appellations. Cominciando ovviamente dai buoni vini delle appellations cosiddette minori, che ancora si possono comprare a meno di 25 euro la bottiglia.

Lupus in fabula: l’articolo che segue, di Elisabeth Ponavoy, ci aggiorna sull’evoluzione dell’annata 2018, che si annuncia , ancora una volta, come una probabile vendemmia di fine agosto. Poi le notizie: la grandine a Nuits-Saint-Georges e nel Mâconnais, e-a proposito di prezzi del vino- le vendite a cifre record dei vini della cantina di Henri Jayer. Eccoci dunque all’intervista ai “guardiani” degli 84 anni di storia della Confrérie du Tastevin: Arnaud Orsel , l’intendente generale, e Vincent Barbier, il grand maître. Si parla di regole (promuovere la Borgogna, non le aziende vinicole), del Tastevinage (la grande degustazione annuale dei vini della Confrérie),  della Saint-Vincent Tournante, istituita nel 1928 e dei  suoi rischi di gigantismo (a Mercurey, nel 2017, sono stati 100.000 i visitatori, e a Prissé, in gennaio, 85.000), e naturalmente del gioiello Clos de Vougeot.

Fiori, api e altri insetti colorati sono il tema di un bel servizio fotografico dedicato alla biodiversità, poi è ancora aligoté, una varietà oggetto di un vero e proprio innamoramento collettivo. Dopo l’ampio report sulla  degustazione dei  migliori aligoté di tutta la Borgogna, questa volta Bourgogne Aujourd’hui presenta la “prova del tempo” dei vini prodotti con questa varietà. Quattro vignerons e 20  bottiglie dal 2015 al 1985 mostrano che l’aligoté può invecchiare altrettanto bene dello chardonnay.

Eccoci intanto al grande banco di assaggio, partendo dallo Chablis, dove , dopo quarant’anni di nuovi impianti, si discute ancora dell’opportunità di aumentare le superfici o cercare piuttosto una qualità più alta. Ad aprire gli assaggi degli Chablis del 2015 e del 2016, è un focus su Les Preuses, uno dei 7 grand cru di Chablis. Situato tra altri due grand cru, Bougros  e Vaudésir, e il premier cru Vaulorent, Les Preuses   sono ripartite tra una quindicina di  proprietari, tra i quali quelli con le parcelle più grandi sono il Domaine William Fèvre e il Domaine Nathalie et Gilles Fèvre (entrambi con più di 2 ettari ciascuno) e Vignobles Dampt Frères (un ettaro e mezzo).

Utilissima la carta del cru ,con il dettaglio di tutti i Domaines proprietari. Ma veniamo alla degustazione. I vini degustati sono stati 285, con una percentuale “di riuscita” del 57%. Un’ottima annata “classica”, insomma, anche se, forse, senza la concentrazione di 2014 e 2017. I vini migliori : 19/20  per i grand cru Grenouilles del Domaine Jean-Paul et Benoît Droin, e, con lo stesso punteggio, la cuvée réserve del premier cru Côte de Léchet del Domaine Bernard Defaix, e due  eccellenti village, lo Chablis del Domaine Guillaume Vrignaud, e il Faucertaine del Domaine Jean-Hugues et Guilhem Goisot. Quanto alle altre denominazioni della Yonne, è andata assai meno bene, a parte Irancy, l’unica AOC rossa della regione, e particolarmente male a Saint-Bris, l’”isola” di sauvignon .

E di fatti il miglior risultato è di un vino di appellation régionale (Bourgogne Côtes d’Auxerre) del Domaine Verret (in vendita a 9 euro), con 17.5/20. Più alto il livello dei rossi di Santenay e specialmente di Maranges, la più meridionale delle appellations della Côte de Beaune, nella quale le percentuali di riuscita superano l’80%, sia  nel 2015 che nel 2016. Addirittura 19.5/20 i punteggi raggiunti da due Maranges: un premier cru, La Fussière del Domaine Jean-Claude Regnaudot et Fils del 2015, e un semplice village della stessa annata, il Sur le Chêne del Domaine Chevrot et Fils. Il costo? Rispettivamente 18 e 19 euro. Molto bene anche i Santenay rossi : lo Champs Claude 2015  del Domaine Bachey-Legros spunta addirittura 20/20 . Di più: dallo stesso Domaine , ben quattro cuvées raggiungono i 19/20.

Eccoci dunque alle appellations regionali. Tra queste spiccano i Bourgogne Côtes Chalonnaises e Côtes du Couchois, con l’80% di riuscite, ma  ne escono abbastanza bene anche gli Hautes Côtes de Beaune e gli Hautes Côtes de Nuits. Tra i rossi spicca il Bourgogne Côte Chalonnaise dello Château de Chemirey  2016 (18.5/20), e tra i bianchi il Bourgogne blanc Les 2 Dindes del Domaine Antoine Olivier 2016 (18/20), un vino da poco più di 12 euro la bottiglia. Nonostante l’aumento del 23% dei prezzi negli ultimi sei anni, dunque, i vini delle appellations régionales consentono ancora delle buone opportunità con vini molto piacevoli intorno ai 10 euro.  Dei due  articoli  restanti, il primo riguarda il terroir di Fixin, probabilmente il meno conosciuto, insieme con quello di Marsannay, della Côte de Nuits.

Eppure a Fixin sono situati alcuni climat che, a fine ottocento, erano reputati tra i migliori dell’intera Borgogna, come La Perrière (tête de cuvée come Chambertin) e Le Chapitre (considerato come première cuvée al pari di Bonnes Mares). Quello di Fixin, come evidenziato anche da un recente studio geologico commissionato dai produttori, può essere considerato un terroir classico della Cote, in grado di creare grandi vini. Lo conferma la degustazione presentata da Bourgogne Aujourd’hui in questo numero. Tra i grand cru, La Perrière, Clos du Chapitre e Clos Napoléon sembrano un po’ più su di Les Arvelets-Les Hervelets, ma anche tra i semplici villages ci sono piccoli gioielli come Les Craies de Chêne (grandi Fixin da René Bouvier) e, in misura minore, La Cocarde.

L’altro  articolo è un servizio fotografico sulle nuove cuveries della Borgogna. Impressionanti quella dei grands crus del Domaine Faiveley, 11 metri di altezza e travatura alla Gustave Eiffel, e la nuova cuverie dedicata ai vini di alta gamma di Jean-Claude Boisset, costruita nell’ambito dell’antico convento delle Orsoline a Nuits-Saint-Georges: interamente  ricoperta di vegetazione,in continuità  con le vigne, poggia su tre antiche cantine sotterranee. Per la serie “Art de vivre/Bonnes Adresses”, Elisabeth Ponavoy propone nove indirizzi d’eccezione, da Chablis a Macon, per bere un bicchiere di vino tra le vigne .Per la gastronomia, questa volta si parla de Le Sufflot, gastro à vins a Meursault, e della sua impressionante carta dei vini. Infine , i libri: tra questi “Cent ans de millésimes en Bourgogne, 1917-2017) di Jacky Rigaux, del quale si riparlerà sulla nostra rivista.

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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