Bottiglie tristi o sbagliate? Poche, fortunatamente4 min read

Il tema che m’ha dato il Carlo mi ha spiazzato: parlare delle peggiori bottiglie che ho bevuto o di quelle che per qualche ragione mi hanno provocato qualcosa di negativo. Io mica avevo mai pensato  di guardare l’erba dalla parte delle radici. Ricordo abbastanza bene quelle che ho amato, quelle che mi hanno stupito e sorpreso, ma sempre in modo positivo. Anche perché se non sei proprio sotto la canna di un mitra appena ti accorgi che il vino non ti piace lo pianti lì e non lo bevi più.

E poi anche perché se un vino non è il massimo cerco sempre se c’è un lato positivo in quello che ho. Magari cerco l’effetto che fa con il cibo che sto mangiando. Per esempio con il riso a burro trovo che il vino, in particolare quello rosso, offra mille sensazioni, quasi sempre positive diverse  e certe volte pure assai seducenti.

Certo il periodo migliore per il tema, cioè quello del peggior vino, è quello riferito al “vino del contadino”. Non sapevi mai cosa ti poteva capitare in bocca quando ti veniva offerto il vino in quelle case. Dato che non era l’epoca dei bicchieri tipo degustazione, il più delle volte si trattava di cinquini. E questi non permettevano di provare ad annusare: bevevi con una certa prudenza e speravi andasse bene.

In fondo era come un gioco, la sorpresa di scoprire i sapori più vari e sorprendenti. L’asprigno e il quasi aceto era il gusto predominante. Ma si poteva arrivare pure a qualcosa di veramente sgradevole. E lì dovevi fare per forza il martire, buttare giù e non fare le boccacce o altre espressioni simili.

Ho cantato per diversi anni “il Maggio”, quando si andava per poderi dal pomeriggio fino a notte inoltrata, pure fino all’alba. E ad ogni fermata c’era sempre qualcosa da mangiare e sicuramente del vino da bere. In una nottata si poteva fare anche una ventina di poderi e di conseguenza si sperimentava almeno una ventina di vini. C’erano pure di quelli discreti e qualcuno perfino molto buono. Ma la maggioranza erano una tavolozza di dispiaceri. Eri loro ospite, erano generosi, ci volevano bene e ci regalavano le uovo fresche dal pollaio: come si poteva deluderli rifiutando il loro vino?

Ma il caso eclatante ce l’ho! A livello di casa mi ricordo un cugino della mamma, lo zio Fausto, che stava in un podere al Bottegone, all’inizio di Vallerotana. Si volevano molto bene con la mia mamma, che era sua cugina, e quando veniva a Braccagni ogni anno ci portava sempre un bottiglione da un litro e mezzo di vino rosso nuovo. Non saltava mai un anno: si vedeva che ce lo dava con orgoglio e diceva che l’aveva fatto lui con le sue mani. Aveva anche un bel colore rosso tendente al violaceo. Ma come lo mettevi nel bicchiere e poi in bocca, erano dolori.

Il suo vino piuttosto forte era già asprigno a novembre, a gennaio aveva lo spunto, da marzo in poi ci si condiva direttamente l’insalata. E loro lo bevevano tutti i giorni! In casa mia non era un gran problema perché mio babbo ed i miei nonni annacquavano il vino con l’acqua, mia mamma era l’unica che ci capiva qualcosa, ma era il vino dell’amato suo cugino Fausto e beveva in silenzio.

Poi raschiando il barile rammento uno spiacevole caso occorso durante una serata del circolo “Il mandriolo”. Questo era un circolo di una quindicina di amici amanti del vino con il quale organizzavo serate di degustazione su vari temi che via via inventavo. I vini variavano dai 5 fino ai 7/8 per serata. Dal pretenzioso “Vini rossi d’Italia” in cui piazzai un top di ogni regione (Barolo, Sforzato, Amarone, Brunello, Sagrantino, Montepulciano d’Abruzzo) a più curiosi come “I bianchi della Toscana”. Finalmente arrivò la volta dei Vermentini. Ne selezionai 3 o 4 dalla Toscana, un paio dalla Liguria e un paio dalla Sardegna. A me piace il Vermentino e ammetto una certa predilezione per quelli sardi. Tra questi ultimi selezionai uno che conoscevo bene e uno che non conoscevo ma di cui avevo letto un gran bene. Penai non poco per trovarlo ma riuscii ad averne due bottiglie.

La serata prevedeva prima un giro di degustazione alla cieca, poi, sempre alla cieca si passava ad una cena accompagnata dai diversi vini ancora numerati che restavano a disposizione sul tavolo.

Devo dire che nelle numerose serate organizzate si sono bevuti sempre vini buoni o discreti o molto buoni. Raramente vini cattivi o difettati.

Quella sera uno dei Vermentini sardi fallì alla grande: stappato e versato si rivelò un poco frizzante e con un sapore strano, per cui stappai la seconda che come la prima risultò assai frizzante! Qualcuno sentenziò che si trattava di rifermentazione in bottiglia. Nessuno ne fece un dramma, ma io ci rimasi molto male: il vino risultò stranissimo e indecifrabile. Oltretutto era il vino più caro della serata e il caso volle che si trattasse di un vino del tipo di quelli che vengono definiti naturali.

 

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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