Bisogna incominciare a pensare in bianco4 min read

Tutto è nato da uno scambio di battute tra me e Giuseppe Mottura, nella sua cantina a Civitella d’Agliano. Mentre stava aprendo  il Latour a Civitella 2005 dico:

 “La vendemmia 2005 mi è sempre piaciuta moltissimo”

“Anche a me – risponde Giuseppe– però stiamo parlando di due cose diverse.”

“In che senso?”

“Nel senso che la vendemmia 2005 tu la pensi relativa ai vini rossi, mentre io mi riferisco alla 2005 per i  bianchi.”

Da allora questa frase mi  è rimasta in testa, perché profondamente vera. Noi italiani (diciamo almeno al 95%) quando parliamo di una vecchia annata ci riferiamo sempre, sia si pensi al suo andamento o alla sua valutazione, ai vini rossi e praticamente mai ai bianchi.

Pensiamo ma sbagliamo

Qualcuno potrà dire che è normale visto che i bianchi si bevono giovani ma questo, per fortuna non è più vero. Oramai non solo la stra-stragrande maggioranza delle denominazioni in bianco conviene berle almeno dopo un anno, ma sempre più le nostre aziende producono bianchi da invecchiamento e addirittura da lungo invecchiamento: quindi sarebbe il caso di fare come fanno in diverse zone della Francia, dove danno una valutazione per i rossi e una per i bianchi.

Qualcun altro potrebbe affermare che servirebbe a poco perché alla fine le due valutazioni  coinciderebbero ma anche questo è falso perché, per esempio, i momenti di vendemmia sono diversi e certe volte distanti dai grandi rossi di riferimento, di oltre un mese. Se è piovuto a fine settembre o a ottobre e questo ha creato problemi a delle uve rosse, i bianchi vendemmiati fino quasi a fine settembre questi problemi non li avranno avuti e quindi la zona X quell’anno avrà rossi mediocri ma bianchi  molto interessanti. Ovviamente funziona anche il ragionamento opposto.

Purtroppo però siamo tutti mentalmente portati a “pensare in rosso” mentre, se vogliamo veramente far capire al mercato e ai consumatori che i bianchi italiani possono e devono maturare per anni, dobbiamo iniziare a pensare anche in bianco.

Potrebbe esserci un problema ma…

Scrivo queste righe mentre mi trovo in Friuli per gli assaggi della nostra guida e ho quindi davanti agli occhi un possibile problema: se i grandi rossi italiani sono quasi sempre da monovitigno o da blend di uve che si vendemmiano praticamente assieme, nelle grandi zone di bianchi (in Friuli, ma anche in Alto Adige, per fare due esempi)  ci sono almeno 7-8 tipologie di uve bianche che vengono vendemmiate in momenti diversi e temporalmente distanti tra loro.

Forse in questi casi la comunicazione potrebbe essere più complicata ma, se non si comincia da qualche parte, il comune sentire sui bianchi italiani rimarrà sempre ancorato al vino d’annata o poco più.

Basterebbe fare una cosa semplicissima

Come fare? Non sto pensando a convegni, a promozioni stellari a cose complicate o costose ma ad un semplicissimo segnalibro, dove ogni denominazione in bianco, in maniera molto sintetica (con valutazioni da 1 a 5 stelle, per esempio) fa conoscere ai consumatori il valore delle ultime 10-15 annate. Questi segnalibro potrebbero essere distribuiti nelle enoteche, nei ristoranti e in mille altri posti dove si beve e si compra vino e sono convinto farebbero parlare. Magari all’inizio tanta gente si metterebbe a sorridere ma un supporto così semplice e facile da consultare metterebbe più di una pulce nell’orecchio e magari, piano piano, qualcuno “rischierebbe” di bere un bianco di diversi anni perché quella vendemmia è segnalata come una grande annata.

Cari consorzi e cari produttori di ottimi bianchi italiani, non credete potrebbe essere un vero e proprio, piccolissimo, Cavallo di Troia per “far pensare in bianco”?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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