Bibbiano: avere 50 anni è bello con Capannino e Montornello!3 min read

Avviso ai naviganti: non sarò imparziale  parlando di Bibbiano e dei suoi 50 anni, per vari motivi.

  • E’ una delle cantine dove Giulio Gambelli ha lavorato e vissuto di più la sua meravigliosa storia e dove si ritrovano ovunque tracce del suo passaggio.
  • L’amicizia che mi lega a Tommaso Marrocchesi è talmente particolare e profonda che rende difficile se non impossibile una presentazione freddamente cattedratica dei suoi vini.
  • Dieci anni fa, per i festeggiamenti dei 40 anni di Bibbiano, ero seduto accanto a Giulio Gambelli, che riusciva a commentare i vini semplicemente con un’occhiata o un’alzata di spalle, ammiccando in maniera sorniona quando qualcuno descriveva uno dei suoi vini con una lunga serie di aggettivi.

Per questi e per altri motivi che vi risparmio, la verticale di 5 annate (le stesse per i due vini) sia di Chianti Classico Riserva Montornello che di Riserva  Vigna al Capannino, che si è svolta martedì 15 gennaio all’Hotel Savoy di Firenze per celebrare i 50 anni di vini imbottigliati (l’azienda produceva vino da molto prima)  di questa piccola ma significativa cantina chiantigiana, non può essere da me  catalogata tra le degustazioni modello “veni, vidi, vici” ma come un incontro tra vecchi amici, dove gli amici sono i dieci vini, Tommaso Marrocchesi e naturalmente Giulio Gambelli.

C’era anche un altro amico, Maurizio Castelli, da poco tempo enologo della cantina e scelta azzeccatissima per proseguire nella strada schiettamente chiantigiana.

Ma passiamo ai “dieci amici” Montornello e Capannino  con le annate in degustazione: 1994-1996-1999-2005-2008. Non  trovate strano che non ci sia nessuna grande annata come 1990, 2001 o 2006? La spiegazione per me è semplice: lasciando un attimo da parte la 2008 che è stata “in comproprietà” con Stefano Porcinai per motivi di salute, la mano di Gambelli si sente di più nelle annate non blasonate, quelle in cui serve  quel qualcosa in più  per far nascere un grande vino.

1994, 1996 e 1999 in Chianti possono essere tranquillamente definite “annate fredde” ma soprattutto figlie di un periodo in cui si spacciavano vini grossi (concentrati, iperconcentrati, iperbarriccati) per vini grandi. In quegli anni, pieni di legni piccoli e concentratori, a Bibbiano si teneva la barra dritta e si vinificava e maturava il vino come sempre, cioè fermentazioni in  cemento e legno grande per l’invecchiamento. I risultati li abbiamo degustati ancora una volta e non hanno stupito solo me, ma soprattutto i molti colleghi presenti. La stessa 2005, annata poco considerata, ha sfoderato un eleganza e uno charme di grande livello.

Attraverso le annate è stato divertente anche confrontare Capannino e Montornello: il primo  più sicuro dei suoi mezzi, in gioventù spesso ombroso ma col tempo si trasforma sempre in un ragazzone dalle spalle larghe e dal sorriso solare, il secondo più contrastato, nervoso, magari più espansivo da giovane  ma con qualche idiosincrasia andando avanti negli anni. Tutti e due hanno mostrato una stoffa chiantigiana che gli anni sono riusciti non solo ad affinare ma ad evidenziarne le logiche  differenze, meno marcate infatti nei due 2008.

Tommaso Marrocchesi

Adesso mi toccherebbe parlare di ogni vino, ma ripensando a 10 anni fa, ai sorrisetti di Giulio e alla sua “passione” per gli aggettivi mi è sembrato più giusto provare a giocare e definire ogni vino degustato semplicemente con un termine o un concetto non mutuato dal mondo della degustazione ma che provi a rappresentare l’anima di quel vino. Un gioco come detto, fatto forse per pudore e per inadeguatezza a descrivere i vini di una persona a cui devo molto se non tutto, Giulio Gambelli.

Capannino 1994:  inatteso

Montornello 1994: ragazzaccio di buona famiglia

Capannino 1996: principe sfacciato

Montornello 1996: capocantiere con tuta macchiata di grasso

Capannino 1999: giocoliere felice

Montornello 1999: tirchio

Capannino 2005: erudito affabulatore

Montornello 2005: spigliato

Capannino 2008: gioviale

Montornello 2008: serafico

Dopo questo giochetto non posso esimermi da decretare anche quelli che per me sono stati i migliori assaggi: tra i Vigna al Capannino il 1996 e tra i Montornello il 1994: in questi due vini ho sentito in maniera più chiara parlare un territorio che amo e persone che conosco e  ammiro.

 

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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