Barbera d’Asti, Monferrato e Nizza: i veri Vinosauri4 min read

Anni fa (diciamo una ventina) un collega attaccò all’Amarone l’etichetta di Vinosauro, per rappresentare un vino molto particolare, fuori dai parametri classici, molto diverso dagli altri, non omologato e per questo non compreso dal mercato ed a rischio d’estinzione. Per fortuna dell’Amarone è successo proprio il contrario: il mercato,  specie quello estero, è andato verso vini rotondi, armonici,magari con qualche grammo di zucchero e questo ha decretato il successo dell’ex-vinosauro.

In realtà, mano a mano che andavano avanti i nostri assaggi di Barbera del Monferrato, Barbera d’Asti (Superiore e non) e Nizza, si palesava sempre più che i veri vinosauri erano proprio questi vini.

Pensateci bene: in tempi di morbidezza e rotondità propongono l’acidità spiccata come caratteristica principale. Nel momento in cui siamo arrivati ad apprezzare tannini imponenti la barbera si presenta tannicamente esile. In un mondo che ama profumi fruttati ed avvolgenti, continua a mettere in  campo la famosa “puzza” della barbera.

 Di essere di fronte ad un vitigno antico lo si capisce anche dal suo rapporto con la “modernità enologica”, incarnata dalla barrique. Al momento del  “contatto” (a parte alcuni casi) la barbera si chiude a riccio (ovviamente un riccio del giurassico..)e tende a mantenere il tannino del legno completamente slegato da quello (poco, come dicevamo) del vino. Inoltre in molti casi, per giungere ad una moderna “fusion”, sacrifica la sua giurassica acidità per trasformarsi però spesso in un  vino rotondo ma piatto, con notevoli sentori di legno e senza grande appeal.

Parliamo un attimo del vitigno: la sua acidità non si riesce a smorzare nemmeno in moderni impianti molto fitti: in compenso le “moderne” basse rese per ettaro, accanto al “modernissimo” aumento delle temperature, accentuano spesso  l’alcol senza far diminuire l’acidità, portando così a vini spesso all’opposto di quanto pensato all’inizio.

In realtà noi, giurassici di costituzione, amiamo questi piccoli/grandi vinosauri ed i nostri assaggi (partiti dall’annata 2010 per arrivare sino al 2007) ci hanno ancora più convinto che la nostra è una scelta giusta. Li amiamo però moooooooooolto di più quando si esprimono in maniera giurassica, quando i profumi (che, partendo dalla suddetta “puzza” arrivano alla viola ed a notevoli gamme di frutta rossa)  non sono inibiti dal legno. Quando le loro freschezze si sprigionano senza che vi siano tannini ridondanti in rotta di collisione.

Li amiamo anche perché , in tempi di aperitivi, happy hours e via cantando, sono vini che hanno bisogno di  “cibo seri” per esprimersi al meglio e perché con loro tanti piatti crescono di piacevolezza e di valore.

Questo ci ha portato (assaggiando i vini raccolti all’Enoteca del Monferrato grazie agli amici del Consorzio del Nizza) ad una media stelle di tutto rispetto: 2.58.

Ci ha molto colpito il miglioramento medio dei vini: la “puzza” ci deve essere ma se è affiancata da frutti piacevoli e da note floreali aggraziate, mettere sotto il naso una barbera giovane è una delle cose più sfiziose che si possano fare. Dall’acidità non si può prescindere ma solo pochi anni  fa ci trovavamo di fronte a note quasi taglienti, da “lemon aficionados”. 

Oggi le barbere d’Asti e del Monferrato giovani (addirittura quelle frizzanti, che nascondevano spesso puzzette non legittime) sono un bel bere, fresco elegante e  a prezzi veramente modici.

Se passiamo alle Barbera d’Asti Superiori il discorso cambia un po’ ma non molto e solo dove l’imbracatura del legno è veramente eccessiva. Anche qui però si sta tornando ad un espressione giurassica,  si sta trovando un equilibrio che piano piano privilegia il frutto e le caratteristiche antiche, portando sempre più piacevolezza e pulizia nella categoria.

La tipologia che ancora non ci soddisfa in pieno è proprio il Nizza. Occorre dire che non ne avevamo molte, forse perché le nuove entrate in commercio avvengono quando l’annata precedente non è più presente in cantina (e questo non depone certo a favore di un boom di mercato…), ma quelle assaggiate ci hanno parlato ancora di vini piuttosto ingessati, senza quelle lunghezze e aperture che molti  superiori hanno raggiunto.

In definitiva comunque una degustazione in positivo, nell’attesa che il mercato non abbia più paura dei vinosauri.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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