Se l’assaggio degli Arneis 2020 (e di altre annate) ci ha dato dei responsi piuttosto chiari, quella dei Roero è stata una degustazione a più facce, che però crediamo rappresenti in maniera chiara il momento di una denominazione che ha avuto varie fasi e problemi, derivanti sia dalla vicinanza con le grandi denominazioni a base nebbiolo, sia con denominazioni “cugine” particolarmente in crescita come il Langhe Nebbiolo e, last but not least, con il successo del fratello Roero Arneis.
Andiamo con calma: il Roero, cioè l’altra sponda del fiume Tanaro, produce nebbiolo da sempre, ma nebbiolo con caratteristiche diverse: dato che si parla di terreni marnoso-arenari, con una maggiore presenza di arenarie, quando la componente sabbiosa prevale si arriva a nebbioli profumatissimi, di buona acidità ma senza “il grip” del nebbiolo da Barolo. Quando invece l’argilla è maggioritaria si hanno vini più strutturati e corposi, più tannici e difficili da domare. In realtà difficilmente in Roero si trovano suoli univoci e non per niente il consorzio parla divari tipi terreni: con sedimenti sabbioso-ghiaiosi continentali, con sedimenti sabbioso-marini e con sedimenti argilloso-marini, spesso l’uno accanto all’altro per non dire soprapposti.
In soldoni In Roero si producono nebbioli di varie tipologie, che ad un certo punto si sono “scontrati” con la tipologia imperante, quella barolesca: quindi c’è stato un periodo in cui “il rospo” Roero provò a gonfiarsi per assomigliare al “toro” Barolo, e rischiò seriamente di esplodere.
Per fortuna molti produttori capirono che la strada per farsi conoscere doveva a essere diversa e tornarono a Roero più umani ma non meno importanti, sicuramente più territoriali, più schietti, molto meno impostati e ammiccanti. Questo anche perché, nel frattempo, stava crescendo molto l’Arneis e il Roero non era più l’unico vino su cui il territorio poteva puntare: senza considerare che comunque c’era sempre “la valvola di sfogo” del Langhe Nebbiolo.
Oggi il Roero imbottiglia sette volte meno dell’Arneis ma è un vino molto più centrato: anche se in diversi casi si notano particolari non convincenti dovuti soprattutto ad una viticoltura non proprio modernissima e a vinificazioni di vecchio stampo, molto estrattive, la situazione rispetto anche a 7-8 anni fa è notevolmente cambiata. La crescita è indubbia e spalmata su molte aziende e vede soprattutto in auge la versione Riserva, quella che in passato sembrava una brutta copia del Barolo e che invece oggi assume un tono ed un valore proprio, presentando vini importanti ma equilibrati, con nasi ben modulati e profumati, dove il legno è ben giocato. Vini che possono invecchiare bene per molti anni. I Roero invece, pur avendo avuto buoni risultati, pagano forse vendemmie “sahariane” come la 2017, dove esprimere freschezza aromatica non era certo facile.
In generale abbiamo visto un bel cambio di passo, che in futuro anni coinvolgerà l’intera denominazione, grazie anche ad un lavoro di “riscoperta delle aziende” che il consorzio sta facendo. Un lavoro non certo semplice, certosino, ma è l’unico modo per rivalorizzare tante piccole cantine e permettere un cambio generazionale che darà frutti nel tempo.
Un frutto l’ha già dato, almeno dal punto di vista del web, ed è il completo e facilmente consultabile sito del Consorzio, dove si possono anche trovare e scaricare tutte le mappe del territorio con evidenziate le recenti menzioni geografiche. A parte il sito web dobbiamo dire ancora grazie al Consorzio del Roero per averci dato una mano fondamentale nell’organizzare la degustazione.