Assaggi letterari sotto l’ombrellone, con vini abbinati naturalmente4 min read

Per consuetudine le settimane estive sono di stimolo a qualche lettura che duri più di un tweet, si tratti di fiction o non-fiction, su carta o su kindle.  Qui mi piace evidenziare certi episodi di degustazione perché raccontati all’interno di ben note opere letterarie.

Il vino viene infatti celebrato, trattato o almeno citato in innumerevoli storie, romanzi e poemi, ma l’assaggio come lo possiamo intendere su Winesurf e dintorni è merce molto più rara.

Potete cominciare dal poderoso Don Quixote di Miguel de Cervantes. Non è necessario che lo (ri)leggiate tutto, ma vale la pena che vi soffermiate sul capitolo XIII della seconda parte, dove Sancho Panza si dimostra un ottimo sommelier.

Riconosce infatti come Ciudad Real (zona oggi inclusa nella D.O. La Mancha) il vino che gli è stato appena offerto da un collega scudiero in un’anonima fiaschetta. E pur essendo bravo a identificare i vini, ammette saggiamente la relatività della cosa e la sottigliezza dei gusti personali.

A riprova della complessità della questione racconta di una degustazione alla cieca da una botte. Durante l’expertise due provetti assaggiatori (uno dei quali parente dello stesso Sancho Panza) avevano descritto lo stesso vino come “sa di ferro” l’uno e “sa di cuoio” l’altro. Poi la botte venne svuotata e sul fondo fu trovata una chiave legata a un laccio di cuoio…

L’aneddoto dette da pensare perfino al filosofo inglese David Hume, che ne disquisì nel suo trattato di estetica Of the standard of taste.

Abbinamento obbligatorio per la lettura uno dei Fiano di Zampaglione, che sia il Don Chisciotte o il Sancho Panza fate voi. Anzi già che ci siete per darvi una scusa e godervi anche l’altra bottiglia potete fare un salto indietro al capitolo XXXV della prima parte. Qui Don Chisciotte in persona, in camicia da notte, non contento di aver combattuto contro i mulini a vento ingaggia furioso duello con degli otri pieni di vino e li distrugge gloriosamente, inondando la stanza e sé stesso.

 

L’episodio può far riflettere anche sui contenitori in questione, perché discutiamo spesso di legno, vetro, vetroresina, acciaio, cemento o argilla ma per molto tempo e da molte parti si è usata anche pelle animale. Con qualche conseguenza sul gusto, c’è da immaginare.

Dal sedicesimo secolo potete saltare adesso al 1984, quello di George Orwell. Al capitolo VIII della seconda parte trovate un’insospettabile scena di degustazione. Il subdolo O’Brian, membro occulto della Psicopolizia, invita a casa sua il protagonista Winston, sospetto dissidente, e gli mesce del vino rosso, un prodotto esclusivo per i privilegiati dal regime (“non ne arriva molto al Partito Esterno…”).

Winston non ne ha mai bevuto, è abituato al gin delle classi subalterne e il gusto lo disorienta. Si, il gusto in senso stretto: nella sua vaga idea di vino infatti colore e profumo gli suggeriscono marmellata di more, da cui lo sconcerto quando il sapore in bocca non è dolce. La narrazione è esemplare: a parte il contesto surreale e distopico si tratta della reazione classica di un neofita che assaggia vino per la prima volta e rimane deluso dalla discordanza naso-palato. Per accompagnare la lettura è meglio lasciar perdere i vini marmellatosi e mirare giusto a un 1984: per andar sul sicuro un Porto Vintage, di spirito britannico come l’autore del romanzo.

Infine Pinocchio (il testo del Collodi, intendo, prima dell’era Disney). Qui di vino manco una goccia, neanche per il Gatto e la Volpe quando mandano giù tutto quel popò di roba all’Osteria del Gambero Rosso. Ma in un’altra celebre scena viene ribadita la confusione del senso comune già evidenziata in 1984: odore e sapore sono due cose diverse, anche per gli astemi. La Fata dai capelli turchini lo sa bene e non crede al burattino quando Pinocchio deve prendere la medicina e non vuol saperne. “E’ troppo amara!” dice lui. E lei: “Come fai a dirlo se non l’hai nemmeno assaggiata?”. “Me lo figuro! L’ho sentita all’odore…”. Giustamente prima che il capitolo finisca il naso gli è cresciuto di un bel po’!

Per immedesimarvi in Pinocchio basta (e avanza) un decimo di grammo di caffeina pura in mezzo bicchier d’acqua: odore zero (di caffè o qualsiasi altra cosa); gusto amaro, al contrario, indimenticabile!

Dopodiché per rimettervi dallo shock confido che la bacchetta magica della vostra fatina sia capace di convertire la “medicina” in un Tokaji Essencia, magari difficile da considerare vino ma straordinario elisir per burattini e ragazzi d’ogni età.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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