Arneis 2020: buona annata ma aspettate a berla3 min read

Io c’ero! Ricordo che verso la fine degli anni ’90, nei primi tour dei produttori piemontesi con cene targate (allora) Arcigola, il primo vino era sempre un Arneis che immancabilmente veniva presentato così “E’ un’uva bianca che storicamente veniva messa nei filari vicino alla strada per riparare gli altri dalla polvere. Il vino non ha grandi profumi ma è piacevole e leggero”

Una descrizione non certo incoraggiante che ha purtroppo “ingessato” l’idea di questo vino/vitigno fino quasi ai giorni nostri. Ha ragione Francesco Monchiero, presidente del Consorzio Roero, quando dice che la stampa non ha mai creduto nelle potenzialità di invecchiamento di questo vitigno e a questo aggiungo che anche tanti produttori non è che proprio l’abbiano spinto, almeno fino a quando non sono successe alcune cose. La prima è l’interesse sempre maggiore dei consumatori per i bianchi, la seconda è l’aumento medio delle temperature che ha portato l’Arneis ad avere anche una bella “ciccia” accanto alla classica sapidità, la terza che comunque nella zona della Langa accanto ai grandi rossi mancava un buon bianco e le prove con i vitigni non autoctoni non avevano portato a risultati facilmente moltiplicabili.

roero arneis DOCG

Possono esserci anche altri fattori ma la realtà è che oggi nel Roero l’Arneis è un fiore all’occhiello, il vino che “fa cassa” o, come la chiamano in zona, “La locomotiva dello sviluppo del territorio”. Non per niente per ogni bottiglie di Roero se ne producono sette di Roero Arneis che oramai sta sfiorando i mille ettari vitati.

Nel nostro tour di tre giorni oltre agli assaggi per la guida abbiamo potuto “toccare con naso e bocca” che l’Arneis non solo invecchia benissimo (soprattutto se non lo si fa espressamente da invecchiamento…) ma oramai berlo d’annata è quasi un controsenso. Questo perché gli aromi dell’Arneis non sono certo intensi e hanno bisogno di diversi mesi per iniziare ad esprimersi. Adesso sarebbero da bere i 2019 ma purtroppo (non certo per i produttori…) sono praticamente finiti e i 2020 sono i commercio da mesi.

Un’altra cosa importantissima è che bere un Arneis a temperature inferiori ai 12-13 gradi è il modo sicuro per perdersi la gamma aromatica e spesso anche le caratteristiche di sapidità e stuzzicante “quasi tannicità” del vino.

Da quando si è cominciato a prendere consapevolezza che l’Arneis può maturare per anni (ne abbiamo degustati di ottimi del 2006 e 2008) nei produttori è nata la voglia di certificare in qualche modo questa vocazione. E’ nata così da pochi anni la versione Riserva che purtroppo viene interpretata da diversi produttori come “un’aggiunta” di legno ad un Arneis di buona struttura.

Come spesso accade in questi casi i risultati sono dei vini pesanti, marcati da legno, senza le doti di freschezza e dinamicità che il vitigno predilige. Molto meglio pensare ad una selezione di vigneto, ad un vino “cru” vinificato magari in maniera diversa ma senza aggiungervi sopra il peso del legno.

Venendo a parlare dei quasi 70 Arneis degustati possiamo senza dubbio affermare che la 2019 è stata una bella annata e che la 2020 ci sembra sempre buona ma leggermente inferiore. Consigliamo comunque di non bere quest’ultima almeno prima di settembre/ottobre.

Le caratteristiche dei vini si incernierano sopra una sapidità spinta, nei casi migliori da una lieve tannicità (modello Greco di Tufo per capirsi) che porta i vini ad un fresco e convincente equilibrio. I nasi vanno un po’ attesi e si esprimono più sul fiore che sul frutto, con note che virano verso la frutta secca (mandorle, noci, nocciole)  e con qualche sentore fruttato tra pera e albicocca.

Indubbiamente la qualità media è piuttosto alta e giustifica il successo del vino, che dovrà comunque in futuro trovare una quadra sulla versione Riserva, adesso veramente  “in cantiere” dal punto di vista stilistico.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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