Anteprima Vernaccia di San Gimignano: perfetta per parlare di longevità, non per capire l’ultima annata6 min read

La Maestà di Lippo Memmi in Sala Dante a San Gimignano toglie sempre il fiato e staresti a ammirarla per ore, scoprendo sempre nuovi particolari e magari pensando alle somiglianze con un’altra Maestà, sicuramente più famosa, quella che Simone Martini dipinse nel Palazzo Pubblico di Siena qualche anno prima e a cui probabilmente partecipò anche un giovane Lippo. Due grandi opere, dove una ha preso ispirazione dall’altra ma non è detto che per questo le sia inferiore.

Così come non è assolutamente detto che le dodici Vernaccia di San Gimignano scelte da Gabriele Gorelli MW per celebrare l’Anteprima sangimignanese abbiamo qualcosa in meno di vini di altre, magari più blasonate, denominazioni.

Grazie infatti a Gabriele ogni vino non solo è stato presentato perfettamente e senza dilungarsi, ma spesso è stato avvicinato a vini di altre zone, a “Maestà” enoiche a cui è giusto paragonarsi.

Così, stimolato da Gorelli, mi sono messo a fare un giochetto e cioè trascrivere quale zona enoica o quale vitigno/vino mi veniva per primo in mente partendo dai profumi e dal palato di ogni Vernaccia di San Gimignano degustata. Andando a scorrere questo elenco trovo un interessante miscuglio di zone, vitigni e cantine che vi propongo nell’ordine in cui è stato scritto: Chablis, viura, semillon, Entre-deux-mers, Pouilly-Fuissé, chasselas, riesling, Petit Chablis, Trebbiano d’Abruzzo Valentini, Mas de Daumas Gassac blanche.

Questo sconclusionato elenco gioca a favore delle Vernaccia di San Gimignano degustate, nel senso che, come detto, non avevano niente da invidiare a tanti vini fatti con quelle uve o di quelle zone. Questo è importante perché la degustazione era una  verticale, con vini che partivano dal 2018 e arrivavano fino al 1997. Chi avrebbe detto venti anni fa che la Vernaccia di San Gimignano potesse avere queste impensabili (allora) possibilità di invecchiamento? Ben pochi, e questo è il dato più positivo, da tenere ben presente, che esce dalla degustazione in Sala Dante.

Però permettetemi di fare un po’ l’avvocato del diavolo. Annotazione importante da tenere in considerazione quando si parla di questo vino è che siamo di fronte ad un vino principalmente “di bocca”, cioè che dà il meglio di sé non nella parte olfattiva ma gustativa : meglio di sé che può essere freschezza, sapidità, corpo, struttura, pressi assieme o separati. Questo ovviamente non è sempre vero ma le trame aromatiche, anche fini e complesse, rimangono spesso in secondo piano rispetto a quello che succede in bocca.

Qui arriviamo al rovescio della medaglia: non avendo una connotazione aromatica primaria intensa, precisa e delineata (come tanti altri vitigni del resto) anche i terziari non sono quasi mai riconducibili in maniera chiara al vitigno. Inoltre il legno svolge un buon lavoro ma certamente non caratterizza “in tipicità” il vino. Quindi  “grazie” ad aromi sussurrati ma nello stesso tempo piuttosto diversi tra vino e vino, possiamo giocare a paragonarli con altri vini/vitigni/zone che comunque sono ben presenti nella nostra memoria olfattiva.

Per questo il gioco è stato bello, i vini erano indubbiamente perfetti e sorprendenti ma teniamo presente che solo quando succederà l’opposto, cioè quando assaggiando uno Chablis, o un bianco della Rioja o di Bordeaux,  verrà detto che assomiglia alla Vernaccia di san Gimignano, allora veramente si potrà dire che questo vino ce l’ha fatta, che la sua “Maestà” ha superato quella di altri vini. La strada, degustando i dodici vini di ieri,  sembra molto più spianata di quello che si può credere ma è ancora molto lunga.

Ma la Vernaccia di San Gimignano non solo è un “bianco di bocca” ma oramai, sia perché i suoi profumi non intensi ma fini hanno bisogno di tempo per esprimersi, sia le sue caratteristiche gustative devono digerire note amare date dalla solforosa per presentarsi al meglio, non dovrebbe essere messa in commercio prima di 14-15 mesi dalla vendemmia, magari facendosi almeno 7-8 mesi di bottiglia.

 Ce ne siamo accorti subito dopo l’assaggio in Sala Dante, andando a degustare quelle del 2022. Tra imbottigliamenti recenti, campioni da botte non dichiarati, solforose più o meno marcate e coprenti, non solo abbozzare una valutazione  dell’annata è stato impossibile (almeno per noi, ma attenti a chi sparerà valutazioni di un vino nato da 5 mesi e imbottigliato da 15 giorni) ma anche sperare di trovare segni di piacevolezza è risultata impresa ardua. L’anteprima di un vino bianco appena imbottigliato è solo un modo per non farlo apprezzare! Lo dissi l’anno scorso e lo riconfermo adesso.

Una delle sale di degustazione al Museo De Grada.

La “riprova riprovata” è stato passare alle Vernaccia del 2021 e (anche ripensando agli assaggi dello scorso anno)  ritrovarsi in un altro mondo, con vini netti, precisi e piacevoli, nonché dalle diversità strutturali marcate. Siamo passati da Vernaccia con grande nerbo e sapidità ad altre con bella freschezza per arrivare ad alcune con rotondità quasi piaciona.

Quindi, sia dalla degustazione in Sala Dante che al Museo De Grada quello che dovrebbe fare la Vernaccia di San Gimignano è chiaro: puntare su una caratteristica che pochi le attribuivano in passato e cioè l’evolversi bene negli anni. Capisco che il produttore voglia incassare e subito, ma ora più di prima, assieme alla richiesta della scritta “Toscana” sulla bottiglia occorre inserire nel disciplinare la categoria “selezione” (da vigna singola o aziendale) e darle caratteristiche e prospettive diverse e ufficiali. Solo così si potrà fare chiarezza e il consumatore potrà cercare la Vernaccia di San Gimignano adatta a lui

Altrimenti se una volta all’anno durante l’Anteprima  si celebra la longevità del vitigno, per poi negli altri 364 corriere dietro a vendere Vernaccia non pronta a prezzi non certo superlativi, sarà molto difficile crescere bene e all’interno di quella lunga strada di cui parlavo prima.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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