Nel cuore del Veneto, a sud di Vicenza, si estende una zona di dolci colline chiamata Colli Berici. Questi rilievi, di origine prevalentemente calcarea e argillosa, arricchiti da antiche formazioni basaltiche e altri elementi vulcanici, creano un terroir importante per viticoltura e paesaggio. Tra boschi, vigneti, oliveti e cave di pietra celebri in tutto il mondo, i Colli Berici offrono un mosaico di produzioni agricole e risorse naturali che raccontano una storia di tradizione e identità profondamente radicata nel territorio.
Questa ricchezza territoriale si esprime non solo nella viticoltura, ma anche in altre colture. Oltre alla vite, infatti, qui si coltivano olivi da cui si ricava un delicato olio extravergine, come quello prodotto da realtà locali come Rebéne, che abbiamo avuto modo di visitare e apprezzare. A completare il quadro, le cave di Pietra di Vicenza costituiscono un patrimonio geologico e culturale di rilievo, sfruttato fin dall’epoca romana per l’edilizia e l’arte, mentre colture tradizionali come ciliegi, piselli e raccolte di erbe spontanee contribuiscono a definire un panorama agricolo ricco e variegato.

In questo contesto così variegato, è fondamentale capire la distinzione tra due denominazioni spesso confuse: la DOC Colli Berici e la DOC Vicenza. La prima comprende il cuore collinare, contraddistinto da una forte vocazione per varietà autoctone come Tai Rosso e Garganega, che riflettono l’identità del territorio. La seconda, più estesa, abbraccia territori diversificati, dalle pianure alle Prealpi, con una prevalenza di vitigni internazionali come Pinot Grigio, Merlot e Cabernet Sauvignon. Questa differenziazione è essenziale per comprendere la complessità e le potenzialità enologiche dell’area.
Con tenacia silenziosa, i Colli Berici stanno vivendo una nuova fase di rilancio, sostenuta da numeri in crescita e una ritrovata identità territoriale.
Questa crescita è merito di un ecosistema dinamico fatto di vignaioli/imprenditori curiosi e progetti culturali, biodiversità viticola, ma anche di una visione capace di tenere insieme scienza, storia e paesaggio. Un racconto che è stato al centro di un intenso viaggio sul territorio – “Il volto nascosto della DOC” – organizzato da Studio Cru e dal Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza, guidato con intelligenza e passione da Giovanni Ponchia.
Storia, numeri e futuro: i Colli Berici tra identità e rilancio
La DOC Colli Berici non è solo vigneti, ma un patrimonio culturale vivo. A Villa da Schio, a Costozza, si intrecciano storia, architettura e viticoltura: grotte romane, cantine in tufo e una tradizione bordolese introdotta dai Conti da Schio nel 1830 oggi rivivono grazie alla produzione artigianale di Andrea Mattiello.
A pochi chilometri, Vicenza arricchisce il racconto con tesori artistici come la Basilica Palladiana, il Teatro Olimpico di Palladio e la Biblioteca Internazionale “La Vigna”: un circuito enoculturale unico, dove storia e vino si incontrano.
Sul fronte produttivo, il 2024 segna un cambio di passo: +10,3% di imbottigliato rispetto al 2023. Cabernet Sauvignon (+21%), Tai Rosso e Pinot Bianco (+12%) guidano la crescita. La DOC ha coinvolto 567 ettari per oltre 53.000 quintali di uva, con il 73,5% a bacca rossa. Merlot è in testa (37%, +72%), seguito da Cabernet Sauvignon (12%). Nella DOC Vicenza, invece, prevalgono i bianchi, soprattutto Pinot Grigio (51%).

È in corso anche una revisione del disciplinare per introdurre l’allevamento a pergola su tutte le varietà e maggiore flessibilità nei blend, con l’obiettivo di rendere la denominazione più competitiva e adattabile.
Guardando al futuro, il Consorzio ha inaugurato a Lonigo un campo catalogo sperimentale di 500 mq, in collaborazione con GRASPO, per salvare varietà autoctone dimenticate come Gambugliana, Leonicena e Rossa Burgan. Non è un museo della vite, ma un laboratorio all’aperto per la viticoltura del futuro.
Il progetto è raccontato nel libro “100 custodi per 100 vitigni”, presentato nel maggio 2025 durante il convegno “Alla ricerca dell’equilibrio”, come ha spiegato Giovanni Leopoldo Mancassola, vignaiolo e custode del campo:
“Nel mondo viticolo, l’80% del vino proviene da sole 20 varietà. Noi vogliamo ridare voce a uve dimenticate, autentiche e sostenibili”.

Durante la presentazione del libro presentato alla Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza si è svolto il convegno “Alla ricerca dell’equilibrio” e si è aperto un confronto illuminante tra ricerca scientifica, adattamento agronomico e visione climatica a lungo termine.
Tai Rosso, Carménère e Garganega: i volti della DOC
Ma veniamo ai vini. In questo complesso sistema viticolo, Tai Rosso e Garganega si impongono sempre più come i simboli identitari su cui puntare con forza. Il primo – parente stretto della Grenache – regala vini freschi, floreali, digeribili, con un carattere gentile ma riconoscibile. Quando vinificato con mano leggera, come in molte delle etichette assaggiate, si presenta come il rosso perfetto per una bevuta spensierata.
La Garganega, qui più delicata rispetto a quella del Soave, ha il fascino del dettaglio: note di sambuco, acacia, pera, mandorla amara, e soprattutto una salinità calcarea che racconta il terroir meglio di mille parole.
A queste si aggiungono il Carménère, vitigno rosso che con le sue note morbide e speziate può arricchire l’offerta locale con carattere e struttura ma in una versione meno opulenta e snella, e il Tocai Bianco, bianco aromatico e fresco, capace di conferire complessità e personalità ai vini bianchi dei Colli Berici. Questi vitigni, se ben comunicati, possono contribuire a costruire una narrazione enologica più ricca e distintiva.

Valorizzare l’identità per crescere: la sfida dei Colli Berici
Uno dei temi chiave emersi durante il viaggio nei Colli Berici è la necessità di costruire una narrazione territoriale chiara e forte. Il patrimonio ampelografico dell’area è ricchissimo e variegato, ma questa abbondanza rischia di diventare un’arma a doppio taglio senza una strategia efficace di valorizzazione.
Spesso il consumatore si trova disorientato di fronte a un’offerta troppo frammentata, con nomi di fantasia o troppo tecnici per le varietà autoctone, o a denominazioni poco distinte fra loro.
Per intenderci guardiamo il complesso dedalo del disciplinare qui semplificato all’osso:
La DOC Colli Berici oggi comprende ben 17 diciture ufficiali e 13 vitigni principali (7 bianchi e 6 rossi), oltre alla possibilità di utilizzare altre varietà autorizzate nella provincia di Vicenza.
Il disciplinare include una gamma ampia e articolata: vini bianchi, rossi, passiti, spumanti metodo classico e spumanti rosati, oltre all versione base superiore o riserva, e la sottozona Barbarno con la possibilità di valorizzare sia vitigni autoctoni (come Tai Rosso, Garganega e Tocai Bianco), sia internazionali (Merlot, Cabernet, Chardonnay, Pinot Nero).
Tra i bianchi: Garganega, Sauvignon, Pinot bianco, Pinot grigio, Chardonnay, Manzoni bianco e Tocai bianco. Per il bianco base: 30- 60% di Garganega e il 20-50% di Sauvignon.
Tra i rossi: Merlot, Tai Rosso, Carmenère, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Pinot Nero. Le percentuali richieste sono spesso complesse: ad esempio, un rosso base deve contenere almeno il 50% di Merlot e il 20% di Tai Rosso, con altre varietà concesse fino al 30%. Poi ci sono i varietali con un classico minimo dell’85% per uva.
Gli spumanti metodo classico puntano su Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero (anche in versione rosé). Infine, la sottozona Barbarano valorizza il Tai Rosso in purezza.
Va da sé che Il consumatore non locale è ovviamente disorientato, confuso e sposta il suo acquisto in altri lidi più sicuri, chiari e battuti forse anche più costosi ma si sente maggiormente appagato e tranquillo nel suo acquisto.
Numeri come la crescita del Merlot, CS e Pinot grigio sono elementi chiave per costruire un’offerta più riconoscibile e distintiva sul mercato nazionale e internazionale? Ma ha senso in un contesto mondiale dove le varietà internazionali si coltivano ovunque? Mi sembrano più che altri flussi di mercato che sono mirati all’immediato che al futuro, senza metter in dubbio la qualità dei prodotti stessi.

Questi dati offrono, secondo me, una chiara base per la valorizzazione di due “bandiere” territoriali come Tai Rosso e Garganega che secondo me meritano maggior attenzione come il anche Carmenère ed il Manzoni bianco (quest’ultimo forse in minore proporzione) nell’attesa che i vigneti del campo catalogo portano a nuovi orizzonti, ma ci vorranno una decina di anni.
Se vuole emergere davvero, in Italia come all’estero, la DOC Colli Berici dovrebbe focalizzarsi su pochi elementi decisivi:
- Rafforzare la riconoscibilità del Tai Rosso cuore pulsante e territoriale della denominazione e anche su Carménère e ancora su Garganega, e volendo su e Manzoni bianco, che possono ampliare l’identità del territorio. Queste ‘bandiere’ del territorio, se adeguatamente comunicate, possono differenziare i Colli Berici da altre zone vitivinicole venete e italiane, almeno nel breve periodo.
- Semplificare la comunicazione verso il consumatore, evitando eccessivamente complesse letture della denominazione o un numero troppo elevato di etichette per azienda (a volte più di 10 per solo 30 mila bottiglie) . Una comunicazione più diretta e un’etichetta simbolo che metta in risalto il legame con territorio, storia e sostenibilità ambientale sono la chiave per conquistare nuovi appassionati. Es : Vale dire Tai Rosso = Colli Berici e viceversa semplice e diretto
- Esaltare l’eccellente rapporto qualità-prezzo, che rende i vini dei Colli Berici particolarmente competitivi nel mercato nazionale e internazionale. Un punto di forza capace di attrarre consumatori in cerca di prodotti di qualità senza compromessi, ma a prezzi accessibili.
- Integrare il vino con cultura, natura e paesaggio, valorizzando le bellezze artistiche e storiche come le ville palladiane, la Basilica Palladiana e i musei locali. Il Consorzio sta già creando un percorso enoturistico che offre degustazioni guidate, vendita diretta dei vini e abbinamenti con prodotti DOP. Un modo per attirare appassionati e viaggiatori in cerca di esperienze autentiche, magari in bici tra vigne e borghi nascosti.
- La priorità ora è far conoscere l’esistenza del territorio e i suoi vini, per aumentare le bottiglie vendute e ridurre lo sfuso. Per il consumatore medio contano chiarezza, identità e piacere nel bicchiere, più che le spiegazioni tecniche su suolo o microclimi. Questi ultimi restano importanti, ma parlano soprattutto a un pubblico di esperti.
In poche parole…
I Colli Berici sono una zona d’ombra che merita luce. Un territorio con vini sempre più convincenti, un’identità in via di definizione, progetti concreti per il clima e la biodiversità, e un patrimonio culturale che fa sognare. Non c’è bisogno di reinventarsi, ma solo di ascoltare il proprio paesaggio e raccontarlo meglio.
I segnali sono chiari: la crescita c’è, il territorio c’è, la qualità anche. Ora è il momento di osare un racconto più ambizioso, deciso, coerente. E i Berici, finalmente, sembrano pronti.