Ritorno a Vulcanovia5 min read

Vulcania, rassegna dei vini prodotti su terreni vulcanici, è una bella idea ed è bene che vada avanti.

Sono tornato a controllare dopo 4 anni e sono rimasto soddisfatto.

Questa volta la location è stata  Pitigliano, in un’ area crivellata da antichi crateri, sommersa da metri e metri di tufo. Le eruzioni catastrofiche avvennero in un’ epoca in cui non c’era nessuno: in confronto Pompei è roba da ragazzi .
I punti di riferimento locali erano Edoardo Ventimiglia, presidente del Consorzio Bianco di Pitigliano, e il problem solver Carlo Zucchetti , entrambi dello zoccolo duro di Arcigola, quando non si chiamava ancora Slow Food . Allora, nel Giurassico, combattevamo spalla a spalla.

La formula di Vulcania , oggi come ieri , si articola su due filoni: Culturale e Ricreativo, come nelle Case del Popolo di Benigni.

 

SI PRINCIPIA CON IL CULTURALE.

Anno dopo anno , a forza di parlarne , gli organizzatori del convegno, che nascono enologi, sono diventati vulcanologi esperti , che sanno tutto su tutti i vulcani italiani ( una sessantina ! ) e lo raccontano molto volentieri .
Poi ci sono o geologi e i vulcanologi veri , che ci aggiornano sullo stato dell’ arte vulcanologica .
Fra la messe di informazioni che ci hanno fornito , due mi hanno colpito più delle altre.

1) LO STRONZIO È L’ IMPRONTA DIGITALE DEL TERROIR . Il rapporto fra gli isotopi  Sr 87 / Sr 86 è caratteristico di ogni sito e passa intatto nell’ uva e nel vino.
Viene alterato da certi trattamenti, ma soprattutto viene alterato quando si aggiunge alla vasca una cisterna di vino proveniente da altrove.

Non è proprio una novità: infatti ve l’ ho segnalata nel  resoconto di Vulcania 2009. Ma allora era una tecnica d’ avanguardia proposta dal prof.  Conticelli  , che andammo a cercare , nel suo laboratorio, qui a Firenze , in un luogo quasi segreto .  Vedi “ L’ Epifania dello Stronzio “ .

Oggi è una pratica di routine , e ci fa piacere averne visto e segnalato subito le potenzialità.
Carlo Macchi, nel suo commento allo scoop, si chiedeva quanti milioni di euro avrebbe guadagnato l’ autore di questa scoperta . Una risposta indiretta  l’abbiamo avuta a questa edizione di Vulcania: nella relazione sullo stronzio il prof  Conticelli  non è stato neanche nominato.

2) LA PADANIA È AFRICA!
Troppo forte! Avete presente la tettonica a placche ? sicuramente sì . Ebbene , nella sua danza lentissima, da milioni di anni la  placca africana preme sulla placca europea, spostandola e finendole sotto. Ma il gioco avviene con reciproche manovre avvolgenti, il cui risultato è una posizione sinuosa, che ricorda il simbolo dell’ armonia universale  Jing-Yang .
Il mar Tirreno e tutta l’ Italia Tirrenica fino all’ Appennino, dalla Liguria alla Sicilia , sono Europa – mentre l’Adriatico e più su fino alle Dolomiti, e a ovest quasi tutta la pianura Padana , fanno parte della placca Africana!

Ce l’hanno spiegato a Vulcania, perché proprio lungo il confine fra le due placche si sono formati tutti questi vulcani.

 

 

SOSPENSIONE DEL CULTURALE , PRINCIPIA IL RICREATIVO.

Ossia gli assaggi , le degustazioni, le gozzate a garganella.
Vi elenco una sequenza random di impressioni.

a) Effettivamente i suoli vulcanici danno di più ai vini bianchi . Era l’ idea iniziale di Vulcania ,
che, nel 2009 aveva il sottotitolo “tutti i colori del bianco” . C’è lo ricordava Lorenzon
presidente del consorzio Soave e nume protettore del convegno .
La presente edizione ha messo in mostra anche un po’ di rossi , che non hanno contraddetto la premessa .
Non significa che siano poco interessanti . Nella rassegna vulcanica è bene che ci siano.

Come nel caso del Piedirosso – Pierepalommo , un vitigno e una famiglia di vini che mi ispirano grandissima simpatia, perché apprezzo i vini di pronta e facile beva, che mi fanno felice senza darmi problemi – ma la personalità di vini da piedirosso è data dal frutto, più che dai minerali estratti dal suolo .

C’erano tre esemplari di Etna rosso, da uva nerello mascalese e cappuccio.
Promettevano molto all’occhio e al naso, ma in bocca tutto si è confuso , per l’ eccesso di legno .
Mi piacerebbe che il nerello ricevesse un trattamento più umano, senza prenderlo a legnate con tanta foga . Chissà se non si scoprirebbe un altro fratello dei vitigni che più amiamo .

b)   Fra i bianchi sono andato ad assaggiare i vini e i vitigni che frequentiamo di meno.

C’era un solo esempio di vino da Durella , ma mi ha colpito. Spumante metodo classico pas dosè di grande carattere, intenso al naso con l’ effluvio dei lieviti, intenso in bocca ,con grande ampiezza di sensazioni minerali sostenute dall’ acidità austera , ma non tagliente . Vendemmiato nel 2006, sboccato nel 20012 . Prodotto da Fongaro , Lessini Durello DOC .

Il biancolella D’Ambra è ancora e sempre lui, quello che assaggiai in loco  molti anni fa ( quando Arcigola non era ancora Slow Food ), guardando dall’ alto il vigneto scosceso sul mare di Ischia e di Capri .

Fontana Candida  ( Luna Mater )  continua a spiazzarci, perché ancora, dopo anni, il nostro subconscio continua a rifiutare che un Frascati possa essere un grande vino .
Qualcosa del genere mi è successo anche con i Lacryma Christi  di De Falco e di Romano Fioravante , che mi son sembrati troppo buoni rispetto all’ archetipo e davvero segnati fortemente dal suolo vesuviano .

Il  Serprino , dei Colli Euganei,  mi ispira simpatia per il nome arguto, che  fa pensare a una maschera della commedia dell’ arte . A parte questo, i vini che se ne ricavano, sono un po’ troppo semplici .

Sul Soave e il Gambellara, come sul Bianco di Pitigliano ho assaggiato a campione, per star tranquillo che tutto procedesse per il meglio .
Rivisitare  i soave di Cantina Monteforte ,Tenuta Solar e Le Battistelle   mi ha tranquillizzato. Anche Ildebrando, colonna portante del bianco di Pitigliano, rimane una certezza.

 

PER CONCLUDERE ,  NULLA OMETTENDO (o quasi).
la degustazione iniziale, di 14  vini prescelti per i giornalisti, mi ha lasciato in sospeso un interrogativo. Lo rivolgo all’ ottimo Giovanni Ponchia che guidava la degustazione con grande sapienza geologica e che ci assiste perfettamente quando andiamo ad assaggiare a Soave .

Domanda : può la Garganega simulare perfettamente un Sauvignon?

Evidentemente sì , se il produttore dichiara il 100 % di Garganega e se il Consorzio del Soave lo sceglie per farsi rappresentare.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “Ritorno a Vulcanovia5 min read

  1. Quando un Soave é sovrapponibile a un sauvignon blanc, m’informo sempre circa il fornitore di lieviti…
    😀

  2. grazie lorenzo,
    articolo bello e tagliente, una precisazione: il prof. conticelli non era presente perche’ impegnato a scovare minerali in quel di stromboli ma … la dott.sa cifelli che ha fatto la relazione e’ una sua collaboratrice ed e’ stata indicata da lui.
    e poi … nel sud vulcanico della toscana il vino, magari cattivo, non si produce? con affetto. edoardo

  3. Artur Clarkke, la sboccatura 20012 mi intriga assai. Me ne potresti teletrasmettere una boccia?

  4. Caro Pierlorenzo,

    ho letto con interesse il Tuo articolo sui vini assaggiati a Pitigliano in occasione di Vulcania e in particolare il Tuo commento riguardo ai vini rossi , per la prima volta presenti nelle manifestazioni sui vini da territori vulcanici.
    Questa scelta di aggiungere i rossi ai bianchi è stata fatta dall’amico Aldo Lorenzoni che, insieme a Giovanni Ponchia ed altri, hanno deciso finalmente di allargare il campo di osservazione e di giudizio. E debbo dire che, da questo punto di vista, sono forse servite in piccola parte le mie insistenze in proposito poichè dopo quasi trent’anni di critica giornalistica (puoi chiedere a Carlo Macchi che mi conosce da molti anni) ho deciso di saltare la barricata a passare dalla parte di coloro che si pongono sotto osservazione e non più di coloro che giudicano. Tanto per chiarirci, ho inviato a Pitigliano alcune bottiglie del mio Etna Rosso 2011 “La Casa di Filippo”, che produco in esigua quantità  a Linguaglossa (CT) dove ho acquistato una piccola tenuta che opera con due minuscoli vigneti, uno ad alberello e l’altro a spalliera.
    E vengo al punto: il Tuo giudizio sulla degustazione dei rossi mi sembra ben ponderato, riflessivo ed equo ma avrei bisogno di sapere se fra i 3 Etna che Tu citi vi era anche il mio in quanto non ho potuto essere presente per improvvisi motivi familiari. Questo perchè , quando parli di eccesso di legno in tutti i Rossi Etna, rimango sorpreso in quanto il mio riceve solo un passaggio di qualche mese in tonneaux di quinto o sesto passaggio. Tutto il resto è inox e vetro.
    Vogliamo verificare insieme questo dettaglio ?
    Ti ringrazio e mentre Ti saluto mando un grande abbraccio all’amico Carlo

  5. Tecnicamente, devo dire di aver trovato un eccesso di vini fatti in iper-riduzione che omologavano non poco i diversi vitigni e territori.
    In degustazione ho trovato una grande falanghina di Agnanum.
    Saluti a presto

  6. Perlorenzo sei un mito!!!! Con il tuo tradizionale sarcasmo e gelida ironia molto inglese hai reso un’idea precisa e attendibilissima della realtà  vitivinicola del nostro paese. Uno dei mali maggiori è che ci prendiamo sempre troppo sul serio e facciamo di cose semplici e naturali, questioni complicatissime e irraggiungibili per i comuni mortali. Spesso basta lasciar fare il proprio corso alla natura, con minori correzioni e forzature possibili e il vero carattere dei territori esce fuori. Proprio come nel caso dei vulcani, la natura ha sempre il sopravvento, che lo si voglia o meno, e poi mi hai fatto venire in mente i mitici anni dell’Arcigola (diversa da slow food) quando tutto era più semplice e scontato, anche i vini. Ma forse anche perchè anche noi eravamo sicuramente più giovani e spensierati, ma questa è un’altra storia e non c’entra niente con i vini.

  7. caro Edoardo
    ho detto poco del bianco di Pitigliano e deivini maremmani, come ho detto poco del soave e della falanghina .Ilatto è che , in questi casi, il discorso da fare è molto ampio : non riguarda solo quello che si trova nel bicchiere, ma anche i disciplinari e i consorzi, la loro filosofia di prodotto e di mercato.
    In qesa ocasione bisognava parlare più di ulania, un po’ meno elle denominazioni e tutto il resto . Ci vuole un’ altra occasione, nella quale ci diremo tutto quel che c’è da dire ( anche sui rossi della vostra zona, e qelli che fai tu ) .
    Stammi bene e buon lavoro

  8. Edoardo
    d’accordo : d’ora in poi rileggo e correggo i testi prima di inviarli . Scusa

  9. caro Carlo Ravanello
    Gli etna rosso proposti alla degustazione erano 3: San Lorenzo 2010 e “a’ Rina” 2011 di Girolamo Russo , etna rosso 2011 di Graci . Non vorrei provocare un caso diplomatico con questa dichiarazione , ma il catalogo fa fede .
    Questo non significa che chi assaggia colga sempre nel segno. Buon lavoro

  10. ciao Asimov ,
    pardon , chiaramente intendevo dire vendemmia 20006 .
    Klaatu Barada Nictu

  11. ottimo Stefano
    il tuo messaggio mi commuove e mi confonde . Però,io sono assai antiquato e non mi sono abituato a questa epoca senza cognomi. Ma quale Stefano sei ?

  12. Caro Lorenzo,
    se tu fossi venuto a Soave il 24 maggio con Carlo Macchi, in occasione de “Il Soave in 3D”, avresti avuto l’occasione di assaggiarne 78, di Soave, e di ascoltare un interessantissimo dibattito proprio su questi temi: la tipicità , gli aromi, gli effetti dello stile di vinificazione in”riduzione”, ecc.. Troppo ampia la discussione per sintetizzarla qui, magari se accompegni qui Carlo la prossima settimana, per gli assaggi di WineSurf, ne parliamo di fronte a un buon bicchiere.

  13. hai ragione Pier Lorenzo, non è certo facile assegnare al solo nome un volto e un riconoscimento. Sono Stefano Ferrari, vecchio (d’esperienza e non anagraficamente, s’intende) fiduciario dell’allora Arcigola Toscana, compagno (nel senso di merende, pranzi e cene) d’avventura della fine anni 80 e inizio anni 90.

  14. Stefano Ferrari ! e’ un enorme piacere ritrovarti attraverso queste diavolerie moderne . Spero che le nostre strade possano incrociarsi davvero
    Pier Lorenzo

  15. ottimo Giovanni Ponchia
    Come sarebbe bello ! ritrovarci a parlare di Soave ! se soltanto non fossi in Kenya, ad svolgere severi studi e difficili esperimenti . Un lavoro ingrato, che qualcuno deve pur fare .
    Pier Lorenzo Tasselli

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