Troppo facile parlar male della pubblicità. Allora penso, se proprio lo devo fare cerchiamo le più indigeste. Voglio così parlare di una che ultimamente mi demoralizza fino allo stadio più nero. Trattasi di quel giovinetto un po’ fighetto che ordina un menu gridato più che ordinato, affinché tutti i commensali del ristorante possano udire quanto è bravo e corretto lui. Tutto sorrisi di compiacimento ed approvazione finché non si arriva al momento dove il cameriere domanda: da bere? Silenzio assoluto di tutti, suspense, e poi l’idea geniale e in linea con le migliori tradizioni della cucina mediterranea. Vino? Acqua del Sindaco? No? E allora? Ma certo, una bella confezione in plastica di tè industriale.
E giù applausi e approvazioni liberatorie.
Non credo che questa pubblicità sia sciocca, anzi. Per chi non sa ancora cosa bere per essere alla page è l’imbeccata giusta. Ma anche per gli scorretti come me che mai berrebbero in un pranzo cose come queste, si deve dire che il messaggio non lascia indifferenti. Al contrario per me è diventato un tormentone. E ogni volta che accenna a partire questa pubblicità non solo non cambio canale, ma l’ascolto di nuovo, come in un raptus masochista o forse per vedere se c’è qualcosa che mi è sfuggito. Sicuramente lo spot non passa indifferente.
Passati sono i bei tempi che per lo stesso prodotto si poteva godere: “Antò, fa caldo……” con il successivo liberatorio e inequivocabile “Auuuuuuuuuuuuuu” finale.
Tanto ho pensato al nuovo spot che mi sono ricordato una cosa e ho (un po’) trasecolato.
Diversi anni fa avevo collaboravo con un tecnico che era anche un grande amico. Era più grande di me: all’epoca lui era nella seconda decina degli “anta”. Vorace come pochi dimostrava il suo stile quando arrivando a tavola faceva incetta di tutte le buste di grissini che si trovavano nel raggio di azione e poi da soli o inzuppandoli nel bicchiere dell’acqua e poi nella formaggiera se li spolverava tutti. E allora passava al pane. Spesso prima ancora di aver ordinato.
Fatta questa premessa non stupirà il fatto che, vivendo con moglie bellissima e innamoratissima e con mamma, anziana ma arzilla, veniva coccolato dalle due come un cittino di pochi mesi.
Le due non erano in conflitto classico di suocera e nuora, erano solo in gara a chi gli dava più vizi e mangiarini.
Con lui non mi stupivo più di niente nel mangiare. Fino a quando riuscì a stupirmi. Mi confessò che la sera le sue donne gli preparavano sempre un bel piatto di pastasciutta, preferibilmente al ragù. Sistematicamente abbondante perché doveva avanzare un po’. Per fare che? Ma per fare colazione alla mattina successiva, appena alzato.
Si doveva alzare piuttosto presto Mario, perché poi andava a scuola ad insegnare. Una delle due sante donne (ma anche in tandem) si affrettava a preparargli l’abituale colazione preferita. Cos’era? Ma certo, la pasta avanzata la sera e saltata nel padellino alla mattina! Io sapevo che si poteva fare con l’avanzo se si era sbagliata la dose, ma che uno ne facesse apposta di più la sera per averla poi la mattina appena alzato, quando ancora è buio, non l’avevo mai sentito dire.
Ma sentii anche di peggio.
Mario non gradiva un bicchiere di vino mangiando, ma se questi erano tre o quattro il discorso cambiava. Allora gli piaceva eccome.
E quando gli chiesi: ma come fai alla mattina, così presto a bere il vino? Lui mi spiegò pazientemente: ma guarda io mica bevo vino a quell’ora. E cosa bevi? Bevo una bella tazza di tè. Come? Bevi tè con la pastasciutta al ragù della sera prima e saltata in padella? Si, certo, mi piace così!
Ho sempre pensato che questa bizzarra moda fosse una mania dell’amico, qualcosa di più unico che raro.
Domenica pomeriggio mi sono voluto regalare l’ennesima puntata vintage del tenente Colombo. Puntate spesso già viste, ma se non c’è niente di meglio mi sevizio con queste visioni più per rivedere dettagli e per la cattiveria di vedere come Colombo si cucina piano piano il colpevole che noi capiamo quasi subito chi è. Nella puntata in questione il tenente fa un interrogatorio volante in un ristorante di lusso dove viene poi invitato a sedersi per mangiare un piatto. Il nostro accetta e all’esterrefatto cameriere che gli propone i piatti tra i più più raffinati ordina un piatto di Chili. Negli USA si tratta di un piatto tipico di origine messicana a base di fagioli, carne macinata, pomodoro e altre spezie tra cui il peperoncini piccante. Poi il cameriere mostrando la carta dei vini chiede cosa vuole da bere e il tenente se ne esce con uno stupefacente: una tazza di tè freddo!
Ma allora sono io che sono un po’ fuori dal mondo, è qualcosa che mi è sempre sfuggito e che invece non è una novità!
Insomma, niente di nuovo sotto le stelle.
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Nota 1: il noto tè in confezione standard da 20 cl costa al supermercato mediamente 50 centesimi, il che vuol dire evidentemente 2,50 euro/litro. Al ristorante presumibilmente dai 5 ai 7,50 euro a bottiglia. E poi si dice che l’acqua minerale è cara. Questo si che vuol dire dare una mano al PIL!
Nota 2: ho parlato male di questa pubblicità perché è il contenuto che non condivido, ma devo ammettere che ce ne sono di fatte così bene che rischiano di essere le cose più interessanti e belle che passano sul piccolo schermo.