Quando, verso il 20 di agosto, ho deciso di andare a trovare Antonio Camillo, pensavo di passare una mezza mattinata tra interessanti assaggi di ciliegiolo. Invece, oltre agli assaggi più che interessanti, Antonio mi ha fatto fare un viaggio a ritroso nel tempo, in un vigneto che ho definito “meravigliosamente archeologico”.

Ma andiamo con calma: ci vediamo vicino a Manciano verso le 9 di mattina per un giro nei vari vigneti che ha in affitto. Il primo che visitiamo è quello della Vallerana Alta, da dove Antonio trae il suo omonimo cru di ciliegiolo ed una buona fetta delle uve per il “base”.
In macchina mi spiega alcune cose “Come vedrai la vigna è divisa in due parti: una la coltiviamo direttamente noi e da lì prendiamo l’uva per il ciliegiolo d’annata. L’altra metà è un discorso un po’ particolare perché , anche se tutte le uve le prendo io per fare il Vallerana Alta, i proprietari, due fratelli, hanno insistito a voler coltivare loro e solo loro il vigneto.”
Fino a qui niente di strano, se i due fratelli Corrado e Aristeo Rovai, non avessero rispettivamente 87 e 90 anni!
Arriviamo al vigneto e la prima cosa che Antonio mi fa vedere è la “doccia per gli operai” che, come potete vedere dalla foto: è un condensato di genio e “modernità”.

Siamo appena entrati in vigna che vediamo venire verso di noi Aristeo, Corrado invece è assente perché è andato al mare: questi ragazzi…
E con Aristeo e Antonio inizia una passeggiata in vigna che ricorderò per molto tempo. Su una terra rossa e quindi con forti componenti ferrose ci sono due appezzamenti di vigna, uno piantato nel 1964 e uno nel 1954. Il sesto di impianto è per quella del 1964 un 3 x 1 (circa) mentre quella del 1954 è piantata a 4 x 1 (sempre circa).

Il bello viene girando per i filari, tenuti con maestria assoluta e con alcune tecniche che credevo abbandonate.
La più interessante è quella della propaggine: se una pianta muore, invece di impiantare una nuova barbatella o, al limite, lasciare vuoto lo spazio, si prende un tralcio della vite vicina, lo si interra e questo, dopo qualche tempo “risorgerà” dal terreno dando vita ad una nuova pianta. Era una pratica molto utilizzata in passato ma oramai quasi abbandonata dalla moderna viticoltura.
L’impatto visivo è meraviglioso: una parte della pianta madre si “tuffa” nella terra per poi rispuntare un po’ più in là e naturalmente l’uva è della stessa qualità dell’ altra pianta.
A proposito, se una pianta viene colpita dal mal dell’esca, cosa fanno Aristeo e Corrado? La aprono “a V” in verticale, ci mettono alla fine del taglio un sasso perché le due parti non si riuniscano e la lasciano così. Quest’apertura quasi sempre riesce a salvarla, e nel vigneto di esempi ce ne sono tantissimi, con viti “a V” vigorose e che producono ottima uva.
Esiste anche il caso della vite con una propaggine colpita successivamente dal mal dell’esca: allora si è di fronte ad un’enoica Medusa, con tralci che sembrano chiome della Gorgone che vanno a destra e sinistra, in un meraviglioso “caos ordinato” .
Quando invece la pianta non si salva viene tagliata a raso e lasciata così fino a quando non ributta da sola uno o più tralci ,tra i quali poi verrà scelto quello che, allevato, ritornerà ad essere una vite. Il bello è che anche con tralci di un anno queste viti producono uva!
Dovevamo visitare altri vigneti, ma l’incontro con Aristeo e la passeggiata nella vigna di Vallerana Alta si sono protratti per più di due ore: ore volate in un baleno, in cui mi sono sentito trasportare in un mondo antico, con regole diverse ma di assoluta validità pratica. Naturalmente da queste vigne, con decine e decine di piante con propaggini, o aperte a V, o fatte ripartire da terra nascono delle uve di ciliegiolo spettacolari, anche se quest’anno Aristeo mi ha confidato che la vigna “Non mi riempie l’occhio!” perché per lui c’è poca uva.
Giudicate voi dalle foto se il nostro ragazzo di 90 anni abbia o non abbia ragione.
Ora dovrei parlare anche dei vini di Antonio, che poi siamo andati a degustare, però come faccio a parlare del Vallerana Alta (abbiamo degustato 2014-2015-2016 e 2018 ancora dalla botte) in maniera meno che entusiastica dopo aver visitato quella meraviglia “quasi preistorica” del vigneto da cui nasce?
Antonio mi scuserà ma, dopo aver citato il suo Ciliegiolo 2018, che da quanto è buono ti obbliga a berne non meno di una bottiglia per volta e le sue prove interessantissime con altre uve rosse che vedranno la luce in futuro, non posso non tornare alla vigna che Aristeo e Corrado coltivano.

Attenzione, non la coltivano assieme ma un pezzo per uno! Infatti c’è competizione tra i due fratelli che, mi dice Antonio, non si risparmiano frecciate sui modi di condurre a maturazione l’uva.
Credo che sarà bello, quando berrete una bottiglia di Vallerana Alta, pensate per un attimo a questi due giovanissimi novantenni che coltivano con maestria e memorie antiche una vigna che di media ha circa sessant’anni.
A proposito, ultima chicca: mi diceva Antonio che Corrado, il “giovane birbante” tra i due fratelli, ha un modo tutto suo per evidenziare quella che in qualche caso reputa uva di prima e seconda scelta: sulle cassette piene, pronte per essere messe sul trattore e andare in cantina scrive con un gessetto “CB” o“CC” o “AB” o “AC”, che vuol dire “Corrado buone” ,“Corrado cattive”, “Aristeo buone” e “Aristeo cattive”.
A questo punto non vi resta che telefonare ad Antonio Camillo e “con la scusa” di assaggiare qualche ottimo vino, farsi portare a conoscere Aristeo e Corrado. Che state aspettando?