Da Capitoni al compleanno delle Frasi5 min read

A un compleanno si fa festa, giusto? E festa è stata da Capitoni, poco a sud di Pienza, per il ventennale del loro primo Orcia DOC. L’azienda preesisiteva rispetto al vino, gestita dalla stessa famiglia e dedita alla più diffusa coltura di zona: i cereali.

Va detto, anzi è parte rilevante della storia, che c’era da tempo anche un ettaro di vigneto, il cui frutto non aveva scopo commerciale; serviva piuttosto al consumo di chi viveva e lavorava intorno. Marco Capitoni, nel suo racconto puntuale, ha ricordato  come quel vino riuscisse gradito in particolare durante le stagioni di lavoro che poi finivano sul conviviale, come la mietitura.

Ebbene quell’ettaro-madre, risalente al 1974, ha poi originato un’etichetta: Frasi. Qui per ogni millesimo imbottigliato (solo alcuni lo hanno meritato) si può leggere una frase diversa. Ricordo volentieri la prima, del 2005: “Una lepre a correre sfidai, la raggiunsi…mai. Sfide”. Parole che ritraggono bene lo spirito di questi vent’anni, e certamente di quelli a venire. Adesso le sfide vengono raccolte anche dal figlio di Marco, Angelo, ed è in arrivo il frutto di un nuovo piccolo vigneto.

Le uve del Frasi? Quelle prevedibili nel ’74, maggioranza Sangiovese con saldo di Canaiolo e Colorino, sui 2500 ceppi.

Nel frattempo però tutta la zona è cresciuta, è nata la DOC Orcia certo anche per la spinta di Marco, e sono entrati in produzione altri cinque ettari piantati a Sangiovese e Merlot negli anni ’90. Il risultato è l’Orcia Riserva chiamato giustamente Capitoni: prima uscita appunto il 2001, donde il compleanno.

Il tutto è stato celebrato lo scorso cinque settembre con una maratona mattutina nel corso della quale noi invitati siamo stati intrattenuti dall’assaggio di un vino per ognuna delle venti annate. In realtà tutto è scorso fluido anche per la bravura di Armando Castagno, impegnato nel commento come pure nella gestione della tempistica della degustazione, dato che Marco Capitoni è intervenuto a sua volta annata per annata con racconti puntuali e a tratti anche sfiziosi (come quando ha citato giorno e ora di tutte le grandinate). Castagno da parte sua ha premesso anche un bel quadro del territorio citando documenti storici e ha concluso con la lirica di Mario Luzi dedicata a questa terra.

Abbiamo fatto zig-zag fra il Capitoni e il Frasi, per necessità quando il Frasi non è uscito. Lo slalom ha riguardato anche l’utilizzo di magnum o bordolesi standard, semplicemente secondo disponibilità. Alcuni assaggi mi hanno colpito in particolare: il 2001 d’esordio per la splendida forma, ad esempio; o il 2007 dal bouquet complesso molto ben replicato in bocca. Il 2010 ha rivelato un carattere particolare, con profumo terroso quasi tartufato confermato in una  persistenza aromatica ragguardevole. Bel risultato persino dal 2014: non esuberante al naso ma saporito in bocca. Il che per quanto riguarda il timoniere ne sottolinea la bravura nel gestire la materia prima, in questo caso con drastica selezione (5000 bottiglie laddove la media è sulle 20000 totali). Tra gli ultimi campioni da botte è apparso grande anche a me il 2018, descritto da Castagno come borgognone nel suo carattere verde, clorofilloso.

L’intero percorso ha senza dubbio messo in rilievo la competenza e lo scrupolo nel curare il vigneto come nel selezionare le uve e trasformarne il succo. Quindi terroir, certo, ma l’impressione è che tra lieviti spontanei e legni poco invasivi molto abbia contato l’intuito nel destinare cosa e quanto alle tre etichette.

Già, perchè a dimostrazione della bravura di Marco nel maneggiare il tutto c’è pure il Troccolone! Suona ammiccante e simpatico, ma anche qui c’è una storia: era il soprannome di un vendi-compratore che girava la Val d’Orcia proponendo modesti baratti e condendoli con un sacco di chiacchiere, oggi si direbbe come strumento di marketing. Adesso è il nome sulla terza etichetta, un Sangiovese in anfora dove abbiamo scoperto che la terracotta per l’anfora non nasce dall’argilla della val d’Orcia come si darebbe per scontato guardandosi intorno, viene invece da Impruneta dove la tessitura finale risulta meno porosa. L’origine delle uve è da un appezzamento particolare, stavolta per un vino più disinvolto, giusto da “festa della mietitura”. Noi che non siamo mietitori ce lo siamo goduto a un tiro di schioppo nel ristorante Podere il Casale, dove abbiamo assaggiato dei grandi formaggi prodotti sul posto, dal latte di animali che si potevano vedere e sentire, intorno. Anche caprini, e siamo a Pienza!

Festa finita? Non ancora, fra gli amici invitati c’era anche Roberto Dario, creatore di profumi e consulente per la cosmetica, a nostra disposizione. Il nome non mi era nuovo: qualche anno fa ho collaborato a una proposta di percorsi olfattivi intorno al mondo gastronomico, scrivendo qualche riga sul vino. Roberto Dario, che non avevo ancora avuto il piacere di incontrare, è il professionista che ha preparato i profumi per quella proposta. E non è nuovo a certe collaborazioni.

Armato di boccette e di mouilletes ha dato inizio a un gioco sensoriale assolutamente raccomandabile a chiunque assaggi vino (ma di fatto qualsiasi altra cosa) con un minimo di metodo. Qualche striscia impregnata di essenze ci ha ricordato la degustazione della mattina: Roberto ci ha spiegato che alla divisione fra aromi primari, secondari e terziari, familiare a noi del vino, si può far corrispondere quella dei profumieri fra note di testa, di cuore e di fondo (che sono le più persitenti).

Nei vini di Capitoni ha identificato in particolare rosa e arancia per il primo gruppo, ciliegia e viola nel secondo, vaniglia e cacao nel terzo. Diverse essenze ce le ha fatte sentire in purezza tramite la sostanza chimica dominante, per esempio la benzaldeide della mandorla (ma anche della colla tipo Coccoina…). E per ogni sniffata ha invitato ciascuno di noi a pensare subito a un ricordo personale, giacchè sappiamo del legame forte tra odori e memoria del nostro vissuto.

E via col legno di cedro associato al temperamatite dell’infanzia scolastica (almeno per le generazioni pre-tablet). Con un leggero caramellato sotto il naso qualcuno ha avuto subito la visione dello zucchero filato. Ci siamo inebriati con più di una ventina di fragranze, dall’autentico rizoma di iris, dal timbro terroso e “secco”, al calone definito all’opposto “umido”, che ricorda il cocomero…Termini efficaci ed evocativi che però, ci avverte Roberto, richiedono cautela. Ad esempio nel linguaggio dei profumieri il “balsamico” è associato al “dolce”, cosa che per noi del vino richiede un chiarimento.

In chiusura, lasciate le singole molecole e liberati per una volta dalla gastronomia, ci godiamo il bouquet di una delle sue creazioni.

Al momento dell’arrivederci Roberto e Marco ci lasciano anche un “Set di aromi del vino Capitoni”, sette boccette curate per l’occasione con cui allenarsi a casa per le danze della prossima festa.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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