Verdicchio: qualità semper certa est, pater…4 min read

Gli assaggi annuali incentrati sul Verdicchio questa volta sono stati più movimentati del solito. Infatti la nostra richiesta di campioni (e credo anche quella di altri colleghi, Masnaghetti in testa) è capitata nell’interregno dovuto alla chiusura di Assivip ed al passaggio di consegne all’ente pubblico denominato IMT (Istituto Marchigiano di Tutela Vini).

Se dal punto di vista organizzativo la rivoluzione non è stata da poco sul fronte vini il Verdicchio si è confermato, specie con la vendemmia 2009, quel grande vitigno bianco che conosciamo da tempo.

Alcuni dati: su circa 60 vini del 2009 più della metà hanno ottenuto 3 e più stelle e solo 6 campioni si sono attestati da 1.5 stelle in giù. Una media punti di 2.61 (considerando sia vini “base”sia Superiori) è, tanto per darvi un’idea, più alta di quella ottenuta negli anni scorsi da tanti blasonati rossi toscani e piemontesi. Se ci mettiamo anche il fatto che il prezzo medio dei vini si aggira per i “base” attorno ai 5-6€ e per i Superiore  ai 10-11€,  sembra di trovarsi di fronte al vino perfetto: è buono e costa poco.

Dato che queste due caratteristiche ( con qualche andamento altalenante dovuto alle annate) gliele riconosciamo da tempo sia noi che altri colleghi, la domanda è la seguente: “Perché il Verdicchio non ha ottenuto la posizione che si merita nel panorama enologico italiano?” Da anni cerchiamo di darci una risposta e da anni ci quelle che troviamo non ci convincono del tutto. Mancanza di un marchio leader trainante, poca amalgama tra le aziende per una promozione collettiva del marchio, scarsità di fondi regionali o nazionali per la promozione del vino e del territorio, difficoltà di togliersi l’immagine di vino semplice da hard discount, imbottigliamento fuori zona incontrollabile che propone Verdicchio di bassa o bassissima lega nella grande distribuzione. Nessuna di queste risposte ci ha mai soddisfatto.

Inoltre, tanto per non fare nomi, la notorietà ottenuta in pochi anni dal Fiano di Avellino o dal Greco di Tufo attorno a Jesi se la sognano, come del resto la fama internazionale di tanti bianchi del nord, Friuli in testa.

Il “rompicapo” Verdicchio non è stato comunque risolto e ritorna prepotentemente alla ribalta in annate come quest’ultima: vediamola più nel dettaglio.  Sul fronte dei vini base siamo di fronte a prodotti corretti e di discreto corpo, anche se le componenti aromatiche (non certo una delle caratteristiche principali del verdicchio)  non spiccano molto.  Nella categoria esistono anche grandi prodotti ma mediamente siamo di fronte a vini più che corretti con una vita media attorno ai due, massimo tre  anni. Passando tra i Superiore assistiamo ad un salto incredibile di qualità. Complessità e profondità aromatiche, corpo, struttura, lunghezza, possibilità di invecchiamento: sembra di essere di fronte veramente alla vendemmia del secolo.

Sono andati abbastanza bene anche gli assaggi dei Superiore 2008 entrati quest’anno in commercio e delle Riserve 2008 e 2007. In particolare i Superiore 2008 mostrano una gran bella giovinezza ma non raggiungono la profondità dei colleghi del 2009, mentre le riserve pagano dazio nell’utilizzo del legno o nel voler a tutti i costi creare un “Superverdicchio”. Quindi aromi incerti, freschezze sacrificate sull’altare di presunte profondità gustative sono le due chiavi di lettura (more solito) dei vini targati Riserva.

Su Matelica che dire? I pochi prodotti assaggiati (ma non è che ci siano centinaia di aziende in zona) non ci permettono di avere le idee chiare. Ci sembra però di non sbagliare nell’individuare una certa staticità nei vini e nello stesso sviluppo del territorio, quest’ultimo molto più sconosciuto all’universo mondo della zona di Jesi.

Quindi, per concludere, il Verdicchio 2009, Superiore in particolare, non ha praticamente difetti? Uno per la verità ce l’ha e si chiama “Verdicchion”: sto parlando degli aromi riconducibili al Sauvignon che troviamo in sempre più vini. Sarebbe l’ora di porvi rimedio, in un modo o nell’altro, perché continuare a giocare sul fatto che certi aromi siano presenti in certi cloni di verdicchio….. crea solo confusione se non danno a chi invece “certi cloni” non li ha e non li usa. Visto che per disciplinare vengono ammesse anche un  15% di altre uve, perché non dichiarare in etichetta quello che qualsiasi naso non può non sentire. Spetterà poi al consumatore scegliere il Verdicchio o il… Verdicchion, ma almeno potrà farlo consapevolmente. Al contrario, se effettivamente tali cloni esistessero, parlatene esplicitamente in retroetichetta, presentabili alla stampa, sdoganateli, toglietegli d’attorno quella fumosità  che assomiglia molto alla ben conosciuta furbizia italica.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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