Roero, risultati degustazione e….. se abolissimo le (buone) riserve?5 min read

Storicamente ormai, la prima mattinata di assaggi a Nebbiolo Prima è dedicata ai Roero. Quest’anno erano in campo circa 50 vini, quasi equamente divisi tra annata e riserva. Per l’annata si prendeva in considerazione la vendemmia 2012, per la Riserva la 2011.

 

Annate molto diverse, entrambe calde ma con la 2012 “calda sempre” mentre la 2011 ha avuto un grande picco di calore tra agosto e settembre, riassorbito in parte da uve tardive come il nebbiolo. Quindi l’annata 2011 sembra essere, anche da altri assaggi, molto meglio della seguente. Sarà per questo motivo che, per la prima volta mi sono piaciute più le Riserve dei base: normalmente era il contrario perché le prime avevano dosaggi industriali del legno mentre i secondi si portavano comunque dietro una buona eleganza e finezza tannica, tipica di questo territorio.

 

I 2012 assaggiati invece, sicuramente complice l’annata, mancano spesso di quelle belle note aromatiche floreali e di quella piacevole finezza tannica che i “Roero delle sabbie” si portavano in dote. Se ci mettiamo anche qualche vinificazione non certo accuratissima il quadro non è certamente molto positivo. Molto meglio le riserve, con nasi più definiti, legni (anche se alcuni casi gridano vendetta al cielo) più dimensionati, bocche ben strutturate e di buona pienezza. Non certo una grande annata ma con un livello medio mai riscontrato in diversi anni che assaggio i Roero Riserva.

 

Amando però il Roero mi viene voglia di presentare una mia idea/proposta, nata anche alla luce di alcuni dati che Albeisa e Consorzio di Tutela ci hanno presentato a Nebbiolo Prima.

 

1.    Ettari piantati a Roero: 197 nel 2009        195 nel 2014

2.    Bottiglie Roero: 722.880 nel 2009           716.277 nel 2013

Nello stesso periodo

1.    Ettari piantati a Roero Arneis: 644 nel 2009             833 nel 2014

2.    Bottiglie Roero Arneis: 4.685.733  nel 2009       6.146.996 nel 2013

 

Non c’è bisogno di un genio per capire che il confronto è impietoso: Il Roero DOCG è fermo al palo sia come vendite che come impianti, mentre il Roero Arneis è una denominazione che tira e che ha un buon successo commerciale.

 

Questo successo è dovuto ad un vino che è (e viene anche presentato) facile ma di buona struttura, quasi sempre vinificato senza passaggi in legno, è da bere preferibilmente giovane ma con discrete possibilità di maturazione. In realtà l’Arneis è sempre stato così ed il suo successo è quindi figlio di una coerenza tipologica che è andata di pari passo con un miglioramento delle tecniche in campagna e in cantina.

 

Il Roero invece era un rosso basato su fini e particolari profumi, con una struttura non certamente importante (per un rosso piemontese da nebbiolo) e che andava bevuto nell’arco di 2-3 anni. Vino quindi che si basava su una grande piacevolezza e non certo su potenza e concentrazione.

Oggi invece la strastrastragrande maggioranza dei Roero (base e riserva) sono vini che cercano più la potenza e la longevità che l’immediatezza. Sono d’accordo che le cose cambiano ma forse il vero problema del Roero è che ha girato le spalle al suo passato, al suo essere, per divenire un “similbarolo”.  All’interno di questo passaggio epocale ci sono stati e ci sono anche produttori a cui questo cambiamento è ben , ma la stragrande maggioranza è rimasta nel guado tra un passato rinnegato e un futuro mai raggiunto.

 

Per questo, non solo torno a dire  (e scientemente proprio nell’anno in cui mi sono piaciute più le riserve)  che il Roero dovrebbe puntare quasi esclusivamente su vini rossi piacevoli e profumati, ma che per far capire chiaramente il cambiamento di rotta dovrebbe dare un segnale forte e chiare, come quello di abolire la Riserva.

In futuro chi comprerà un Roero saprà senza ombra di dubbio di avere di fronte un nebbiolo che, AL CONTRARIO DI BAROLO E BARBARESCO, punta sulla piacevolezza e facilità di beva anche se, grazie a babbo nebbiolo, ha sempre possibilità di durare nel tempo.

 

Per fare un vino del genere, che il mercato già apprezza se diamo un’occhiata alle vendite di Langhe Nebbiolo (da 11.383.867  di bottiglie nel 2009  a 13.472.997 nel 2013) La dizione Riserva non solo non serve ma è controproducente. Inoltre il battage mediatico di una denominazione che, credo unica in Italia, rinuncia alla dizione Riserva, potrebbe attirare l’interesse del consumatore finale.

 

La mia proposta non è assolutamente “marketing oriented” come potrebbe sembrare; prende atto di una situazione di stallo che dura da molti anni  e cerca di risolverla andando in una diversa direzione, quella tra l’altro per molte aziende più storica e forse semplice da seguire.

Certo, non si tratterebbe solo di un cambio “ministeriale” di disciplinare, ma di una vera e propria presa di coscienza trasferita più o meno velocemente in vigna e in cantina.

 

Capisco, si fa bene dall’esterno ad inventarsi le cose più astruse, ma poi nel campo e in cantina i  conti devono farli i produttori, ma proprio perché (oltre ad avere diversi amici) ho anche profondo rispetto per i roerini mi permetto di fare questa proposta controcorrente, forse campata per aria o…… forse no!

Parliamone.

 

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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